Di portieri, nella sua lunga carriera di calciatore, ne ha visti parecchi. E con tanti big Cristiano Scalabrelli ha lavorato spalla a spalla. Due su tutti: Giovanni Galli e Francesco Toldo. Oggi Scalabrelli di mestiere fa il preparatore dei portieri della SPAL e allena quotidianamente uno dei protagonisti indiscussi della stagione biancazzurra, quel Pietro Menegatti diventato rapidamente uno degli idoli del pubblico del Paolo Mazza. Abbiamo voluto incontrarlo, per capire quali sono i segreti di “San Pietro” e approfondire un po’ i tratti del suo lavoro in via Copparo.
Mister, non possiamo che partire da Pietro. In cosa è migliorato durante gli ultimi mesi e in cosa, invece, può ancora migliorare?
“In cosa sia migliorato non so dirlo con certezza, perché fino ad un anno fa lo avevo visto giocare soltanto un paio di volte a Ravenna. La base dalla quale siamo partiti quest’anno era già molto buona. Anche se ha solo ventidue anni, Pietro ha già una grande fisicità e forza mentale capace di fargli mantenere la calma anche davanti a qualche migliaio di persone senza troppi problemi. Gli aspetti sui quali abbiamo lavorato molto e sui quali è molto migliorato sono sicuramente le letture delle azioni, le palle alte ed il posizionamento, ma sono capacità che si acquisiscono anche e soprattutto con l’esperienza. I margini di crescita sono certo ci siano tutti: uno dei prossimi obbiettivi riguarda il potenziamento fisico per quella che è la zona più critica per un portiere, le caviglie. Con lo staff tecnico e medico abbiamo già iniziato un programma di ginnastica propriocettiva con le tavolette, per rinforzare le articolazioni, che sono poi quelle che permettono di avere una buona reattività”.
Le prestazioni di Menegatti hanno attirato l’attenzione di tanti addetti ai lavori, e si vocifera addirittura di osservatori dalla Serie B. Secondo lei sarebbe pronto per un simile salto?
“Qui bisogna fare molta attenzione, perché quello del portiere è un ruolo molto delicato. Secondo me bisognerebbe fare un passettino alla volta: ha fatto due anni di serie D e questo è il suo secondo anno in Seconda Divisione di Lega Pro. Onestamente mi piacerebbe vederlo in quella che sarà la C unica, che a mio avviso assomiglierà molto ad una B-2. A quel punto, con quattro o cinque campionati da titolare alle spalle in piazze importanti, si potrà valutare se sia pronto per il salto di categoria. Ovviamente se arriverà un’offerta clamorosa da un club di categoria superiore ci si guarderà, ma se devo dare un giudizio tecnico da preparatore dei portieri, preferirei vederlo crescere un po’ alla volta”.
Menegatti è un ragazzo particolarmente pacato e tranquillo, mentre in campo è un leader. Di norma queste due qualità non sono in antitesi per un calciatore?
“Sinceramente fuori dal campo non lo conosco, è giusto dividere la vita privata dal lavoro. Anche in campo tuttavia è abbastanza tranquillo, un leader non per forza deve essere estroverso, può anche parlar poco, ma quando parla deve sapere cosa dice, guidando i compagni di squadra. Evidentemente in partita è un buon comunicatore”.
Gli altri due portieri, Coletta e De Marco, come vivono la loro posizione?
“In realtà bene. Tutti e tre traggono beneficio dall’atmosfera di concorrenza leale che si è creata: sono molto legati e si rispettano, allo stesso tempo ognuno cerca di lavorare per se stesso cercando di ritagliarsi uno spazio da titolare. E’ innegabile che per il campionato che sta facendo Pietro, per gli altri due la cosa sia molto complicata. Ma attenzione, la storia calcistica italiana è piena di esempi in cui il portiere titolare si infortuna e si scopre che le riserve sono meglio dei titolari. Basti pensare ad Abbiati nel Milan, a Pegolo nel Siena passando per Udine, con il ragazzino Scuffet che costringe in panchina due nazionali. De Marco è un ragazzo giovane ma ha fatto enormi progressi negli ultimi tempi sotto gli aspetti fisico, mentale e tecnico. Lo scorso anno ha avuto la possibilità di mettersi in mostra giocando una decina di gare in C. Per quanto riguarda Coletta, dopo l’arrivo di Menegatti in estate, si è trovato un po’ chiuso dalla concorrenza del nuovo arrivato ma ha dato ampie garanzie di affidabilità come secondo portiere. Purtroppo questo non è un ruolo come gli altri, dove nel corso dell’anno ci può essere più volte la possibilità di entrare a partita in corso per farsi vedere; il gioco del calcio prevede un solo portiere in campo e bisogna fare delle scelte. Guardando al futuro, per come sono fatto io, se fossi in loro, cercherei di giocare sempre, anche accettando categorie inferiori’’.
Nel corso degli anni a Ferrara si sono succeduti diversi preparatori dei portieri, ognuno col proprio stile e e con le proprie particolarità. Che tipo di tecnico è Cristiano Scalabrelli?
‘’Niente di particolare (ride). Scherzi a parte mi piace lavorare molto sulla tecnica e sull’aspetto coordinativo preferendo i carichi naturali. Non uso macchinari particolari, per me la miglior palestra è il campo. Per il resto sono della vecchia scuola, cerco di curare il situazionale. Non invento niente di nuovo, cerco solamente di trasmettere ai ragazzi quello che ho imparato durante la mia carriera”.
Una carriera di tutto rispetto: Torino, Napoli, Fiorentina, Cesena e molte altre. La stagione sta per volgere al termine ed ormai ha conosciuto la Ferrara calcistica. Dall’alto della sua esperienza, dove può arrivare questa SPAL?
“Le strutture, lo stadio e la città sono almeno da Serie B: se la società continua a lavorare in questa maniera eccellente non vedo perché non ci si debba arrivare. Dopo può anche capitare di trovarsi in serie A come il Chievo, per carità. Quest’anno è stato l’anno zero, lo abbiamo detto più volte. Qui era tutto da ricostruire, qui dietro c’era mezzo metro di erba, la fascia di tifosi tra i venti e i trentacinque anni era stata perduta, come sappiamo tutti qui per anni ci son state dirigenze che non si sapeva bene cosa volessero fare. I presupposti per fare bene, ora, ci sono”.
Chiudiamo parlando di lei. Da quale portiere si sente di aver appreso più trucchi del mestiere?
“A dir la verità io rubavo un po’ a tutti (ride). Non ho avuto una grande scuola, si può dire che sia stato quasi un autodidatta. Quando giocavo io la figura del preparatore dei portieri non esisteva proprio, quindi ognuno si arrangiava come poteva. Molte cose che dico ora ai ragazzi, fino a vent’anni fa non si sapeva nemmeno cosa fossero: il passo spinta e l’attacco della palla ad esempio non erano contemplati. Io attaccavo la palla perché me lo diceva l’istinto, non perché in settimana mi fossi allenato su quell’aspetto. Avendo imparato un po’ da molti portieri non ho un vero unico modello a cui ispirarmi. Un portiere che mi ha entusiasmato molto per come parava anche se tecnicamente non era bellissimo da vedere è stato Sebastiano Rossi, ricordo ancora a Cesena, in occasione della mia prima volta da raccattapalle, quando in un uscita tra due avversari riuscì a catturare il pallone con una sola mano. Non posso non citare inoltre Giovanni Galli, portiere non plateale ma molto concreto, che mi ha dato molti consigli su come gestire determinate situazioni e, ovviamente, Francesco Toldo portiere di indiscussa valenza”.