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Domenica 11 febbraio 1962 andava in scena al Comunale uno SPAL-Inter da brividi. I nerazzurri erano reduci da un perentorio 2-0 rifilato al Milan nel derby e giungevano a Ferrara quasi per onor di firma. Nessuno dei venticinquemila che gremivano gli spalti avrebbe scommesso un centesimo bucato sulla truppa di Mazza, che entrava in campo con l’obbiettivo di  limitare i danni e muovere a compassione qualche santo del Paradiso. I nostri ex, Picchi, Balleri e Morbello, zampettavano dall’altra parte assieme a Suarez, Hitchens, Corso e compagnia bella, e non dubitavano di riuscire a romperci le ossa senza troppa fatica. Diecimila interisti erano scesi da Milano per assistere allo scempio e ripartire contenti dei due punti utili a mantenere la media scudetto.

Solo che quella domenica qualcosa andò storto e i loro diabolici cugini meneghini si fecero delle grasse risate. Infatti, senza neanche scomodare i santi del Paradiso, la SPAL inventò una magia che mise un freno alla baldanza nerazzurra. Al quinto del primo tempo, infatti, un possente centravanti ventiquattrenne incornò in rete un pallone che rimandò a casa con le pive nel sacco i prodi soldatini di Helenio Herrera. Quel bomber si chiamava Silvano Mencacci, aveva esordito in serie A con la SPAL nel campionato 1958-1959 e poi era stato affidato al Prato perché maturasse in serie C.  Nel 1961, dopo essere stato determinante per la promozione in B dei lanieri, era tornato a Ferrara e  nella stagione ’61-’62 stava mettendo in luce buone doti realizzative, tanto da meritarsi anche una convocazione nella nazionale maggiore.

Ebbene, dopo oltre cinquant’anni da quell’epica impresa e alla vigilia dello scontro diretto tra Prato e SPAL, abbiamo rintracciato Mencacci e gli abbiamo chiesto se volesse rispondere a qualche domanda per i nostri lettori, siano essi di fede biancoazzurra residenti sulle rive del Bisenzio o all’ombra del Castello estense. Egli ha accettato di buon grado e noi lo ringraziamo per la cortesia che ha voluto riservarci. Così ora dobbiamo chiedere ai lettori di fede pratese di volerci perdonare se iniziamo la nostra conversazione da quello straordinario evento accaduto a Ferrara mezzo secolo fa. Si trattò infatti di una vittoria così esaltante, che ancora oggi il ricordo suscita emozione. Se poi a parlarcene è il valoroso artefice di essa, allora ci sembra che il tempo si sia fermato a quel lontano boato di esultanza.

Ricordo un cross dalla sinistra di Dell’Omodarme su calcio da fermo, – esordisce Mencacci – il pallone attraversò tutta l’area in diagonale, rischiando di perdersi sul fondo. Invece Massei la rimise al centro di testa e io incornai a mia volta, anticipando Picchi, Guarneri e il portiere Buffon. Poi – continua ridendo, come ammiccando ad una furberia che si dimostrò vincente – ci si mise tutti in difesa”.

Ma si rende conto, signor Mencacci? Resisteste per 85 minuti contro la grande Inter di Herrera! Mi dica una cosa: faceste proprio catenaccio puro, quello di cui Mazza era detto maestro, o tentaste anche qualche contropiede?
Qualche contropiede si tentò, ma se ne fece pochi perché il pallone l’avevano sempre loro!”. Lo dice in tono beffardo, come a sottolineare la sterilità del gioco nerazzurro contro una difesa spallina impeccabile. Poi si fa più serio e continua: “Ma ci si difese bene. Anche se avevano loro in mano il gioco, non è che abbiano sprecato una decina di gol. Oh, intendiamoci: se pareggiavano, non rubavano nulla, ma noi ci si difese con ordine fino alla fine. Avevamo una discreta squadra quell’anno lì. S’andò anche in finale di Coppa Italia col Napoli, dove io sbagliai un gol che ancora mi leva il sonno”.

Inter_1961-62

Che clima c’era tra voi giocatori quell’anno? C’era intesa, dentro e fuori dal campo?
Devo dire che si era tutti dei bravi ragazzi. Tra noi, Massei era un esempio che manteneva unito tutto il gruppo. C’era Gori, di Viareggio, come me. E Cervato, uno che aveva giocato una trentina di partite in nazionale; e quel portiere … come si chiamava? Non Bruschini…”.

Patregnani forse?
Ecco sì, Patregnani. Tutti ragazzi eccezionali: eravamo davvero una bella squadra. Dell’Omodarme, e il tedesco Waldner, e Crippa…” Li snocciola uno ad uno, come per il piacere di lasciarsi cullare dal flusso dei ricordi. Poi prosegue: “Mi pare impossibile che una società come la SPAL sia rimasta per tanti anni così in basso. E intanto io sono diventato tifoso… lo sa per che squadra son diventato tifoso? Del Pisa. Sa, la fase gloriosa di Anconetani, qui in Toscana, ha alimentato molte simpatie per il Pisa, e io sono trent’anni che vi fo l’abbonamento”.

 Così quest’anno avrà modo di vedere la SPAL giocare col Pisa.
Certo. Del resto l’ho vista parecchie volte a Pisa”.

Torniamo ancora un po’ al passato, signor Mencacci. Volevo chiederle: com’era il rapporto con Mazza? Era facile o difficile andare d’accordo con lui?
Mazza è stato il miglior presidente tra tutti quelli che ho incontrato. Aveva un modo di fare che mostrava una bontà di fondo in un carattere che appariva burbero. Negli affari poi era di una correttezza esemplare e sempre di parola, con tutti. Quando io, a vent’anni, giunsi a Ferrara dalla Massese, squadra che militava in quarta serie (quindi tra i dilettanti), andai da lui, in via… Come si chiamava quella via?”.

Via Borgo dei leoni?
Esatto, via Borgo leoni. Andai da lui, dicevo, e mi disse: ‘Lei, Mencacci, è venuto per l’ingaggio?’; io risposi: ‘Beh, sa, se mi dà qualcosa…’. Pensi che fino a quel momento, in quattro anni, non avevo mai visto una lira. ‘Bene, qualcosa le do, Mencacci’, fu la risposta. E mi diede ottantamila lire che mi fecero contento, se si considera che mangiavo e dormivo in sede. Sa, quell’anno lì – era il 1958-’59 – disputavo il campionato riserve, al sabato, e il mercoledì la primavera. Poi mi fece debuttare in serie A a Milano col Milan: io e Scappi, un altro giovane, come me”.

Alla fine del campionato 1961-’62, in cui segnò dieci reti in ventisette partite, Mazza la cedette al Venezia, in serie B. Eppure, nel gennaio di quell’anno era stato anche convocato in nazionale da Herrera. Perché, secondo lei, non tentò di valorizzarla ancora per un anno per poi trasferirla ad un grosso club?
Per quanto riguarda la nazionale, Herrera faceva dei raduni, ora limitandosi ai giocatori dell’alta Italia, ora del centro, ora del sud. Quell’anno convocò anche me, ma mi ritrovai assieme a gente superiore a me, come Altafini e Milani. Così la mia storia con la nazionale si limitò a quell’esperienza”.

E perché Mazza non aspettò a cederla, per darla, magari, ad un grosso club l’anno dopo?
Molto semplice: perché gli offrirono un centinaio di milioni. E Mazza sul quel fronte era sensibile…”.

Quindi andò a Venezia.
E vi rimasi fino al 1968, quando smisi…, perché non avevo più le ginocchia in buone condizioni”.

250px-Silvano_MencacciSe mi permette, la correggo: tornò a Ferrara nella stagione 1963-1964. Purtroppo giocò solo 19 partite, quell’anno, ma ebbe il tempo di fare quattro gol a un giovane Zoff in una sola partita.
E’ vero. Vincemmo 5-2 in casa, contro il Mantova. Poi ebbi dei problemi fisici e quell’anno giocai poco”.

Che ricordo ha di Ferrara? Ci torna qualche volta? Ha ancora degli amici?
Ho tanti amici a Ferrara. Ho due sorelle ‘de la mi’ moglie che stanno a Ferrara, per cui ci torno di tanto in tanto”. (C’è una genuinità toscana nell’eloquio di Silvano Mencacci, che è un peccato non trasferire nella trascrizione delle sue parole. E’ un interlocutore che ti mette a tuo agio come fossi nel tuo salotto di casa in compagnia di un amico di vecchia data).

Dei due anni di Prato che ricordo ha? Vedo che giocò 61 partite segnando 30 gol e portando il Prato in serie B.
Anche di Prato ho un buon ricordo. Vi arrivai perché l’allenatore della Massese, Meucci, che mi conosceva, andò ad allenare il Prato. Dopo quella stagione disputata con le riserve, nella quale tuttavia debuttai in A a Milano, Meucci venne a richiedermi a Mazza, il quale mi mandò volentieri a farmi le ossa a Prato. Io ne fui anche contento perché a Ferrara prendevo novecentomila lire di ingaggio, mentre il Prato mi dava il doppio”.

Ma lei poteva dire la sua riguardo ai trasferimenti, o era obbligato ad accettare le decisioni delle società?
Guardi, in quel caso Mazza mi disse: ‘Senti, Mencacci: te vai a Prato. Nel frattempo fai il militare – tenga presente che allora erano due anni -, ti fai le ossa, prendi il doppio e poi torni qui’. E io fui contento di quel trasferimento. C’è da dire che s’aveva una buona squadra: in due anni arrivammo in B”.

Lo credo bene, lei fece trenta gol in sessantuno partite: un buon ruolino di marcia, mi pare. E adesso, così, da tifoso o appassionato di calcio, segue le vicende attuali di Prato e SPAL? E’ in grado di esprimere un suo parere sulle potenzialità delle due squadre?
Mi trovai bene a Prato  – continua, come riflettendo tra sé – ma, nel complesso, mi trovai bene un po’ dappertutto. Anche a Venezia, dove disputai più di cento partite e feci una trentina di gol. Un mio parere mi chiede? Son due belle squadre. Io le seguo tramite il giornale e, indirettamente, quali avversarie del Pisa. La SPAL mi pare sia ben organizzata, anche se, forse, la difesa dovrebbe essere potenziata”.

Parliamo adesso del calcio in generale. Lei si ritiene fortunato per aver giocato qualche decennio fa o avrebbe preferito giocare in quest’epoca?
No, a me va bene così. Rimpianti non ne ho, anche se ho dovuto smettere ad appena ventinove anni. Pensi che nel 1968 il Padova mi aveva chiesto al Venezia. Allenatore era Rosa, l’argentino. Pensi che mi fecero un contratto di cinquecentomila lire al mese e cinque milioni se giocavo tre partite. Dovetti rinunciare, perché mi faceva troppo male un ginocchio. Ormai ero fuori uso: avevo subìto tre operazioni. Ma nonostante questo, come dicevo, rimpianti non ne ho”.

Come mai, attaccate le scarpe al chiodo, decise di chiudere completamente con il calcio?
Guardi, qualche squadra di quarta serie mi chiese di fare l’allenatore, o anche allenatore-giocatore, ma io non sono adatto per quell’ambiente lì, non sento la vocazione per quel ruolo. Così ho preferito dedicarmi ad altro”.

 Si ricorda chi fu ad accorgersi del suo talento e ad aprirle le porte per le alte sfere del calcio?
Fu un dirigente della Massese, che mi vide giocare a Pietrasanta e mi prese”.

E in famiglia, questa sua passione per il pallone fu favorita o osteggiata?
Fu favorita, senz’altro. I miei non se ne pentirono perché poi guadagnai anche dei bei soldini. Mi feci la casa e, a fine carriera, pensavo di sistemarmi con un negozio, ma poi mio padre mi propose di mettermi con lui, nel suo lavoro. Io accettai e ancora oggi svolgo la sua attività nel ramo  del legname: solo oggi ne ho caricati un paio di autotreni per varie zone d’Italia. Devo dire, sinceramente, che non mi lamento, nonostante la crisi. Mi ritengo ancora uno di quelli fortunati”.

Beh, se non le dispiace, signor Mencacci, concludiamo ancora con un pensierino sulla SPAL…
Guardi, lei non sa quanto mi dispiace a vederla relegata nelle categorie inferiori. Una piazza come quella di Ferrara, che ancora adesso fa più di cinquemila spettatori a partita, merita ben altri scenari. Però devo dire che adesso mi pare che il vento stia cambiando e che quest’anno le cose le facciano bene. Il pubblico, forse, dovrebbe seguire un po’ di più le trasferte, come fanno quelli del Pisa, che si porta fuori anche tremila tifosi a trasferta”.

Allora, in conclusione, cosa si sente di dire ai tifosi di Prato e SPAL alla vigilia di questo big match tutto bianco e azzurro?
Intanto direi vinca il migliore, poi mi butto in un pronostico: la SPAL a Prato non perde. Con tutto il rispetto che ho per il Prato, la SPAL non perderà, creda a me”.

Avete sentito, amici lettori, il pronostico di Silvano Mencacci? A questo punto, credo che tanto all’ombra del Castello quanto sulle Rive del Bisenzio non resti che fare gli scongiuri e ringraziare il nostro comune indimenticato goleador per la sua cordialità e l’amabile conversazione che ha voluto intrattenere con noi. A presto, signor Mencacci.