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A poco meno di dieci anni di distanza dalla sua ultima apparizione al Paolo Mazza – era il 9 dicembre 2004 – Luigi, per tutti Gigi, Consonni è ancora lì, in mezzo al campo, a dettare i tempi della manovra, a disegnare traiettorie precise col suo sinistro. Lo fa nel Roselle, Prima Categoria toscana, dieci minuti di macchina da Grosseto. In barba alla carta di identità che alla voce di anno di nascita segna 1977. Con 45 presenze (e 4 gol) con la SPAL e 198 presenze (e 10 gol) con il Grosseto, Consonni è probabilmente il doppio ex più famoso con cui parlare della sfida di sabato prossimo. Senza disdegnare una passeggiata sul viale dei ricordi.

Gigi, è impossibile non partire dall’inizio dell’intreccio, ossia da quel tuo periodo di un anno e mezzo a Ferrara. Cosa ti è rimasto di quella esperienza?
“Un bel ricordo, sicuramente. Anche se la SPAL in quegli anni era una società con tanti problemi. Nonostante gli sforzi economici della famiglia Pagliuso c’erano altri fattori extra-calcistici che condizionavano l’ambito sportivo. Quando me ne sono andato l’ho fatto davvero a malincuore, perché a Ferrara stavo bene e così la mia famiglia, ma la situazione era diventata insostenibile”.

Nonostante questo nella tua prima stagione (2003-2004) ci fu anche qualche risultato importante.
“Sì, penso che quello sia stato uno degli anni tra i più positivi della mia carriera, anche se gli inizi con Sonzogni non furono proprio dei più semplici. Non avevo proprio un rapporto idilliaco con lui, anche se a essere onesti erano pochi ad averlo. Lui all’epoca aveva chiesto un attaccante in più, invece quel posto era occupato da me. Per cui è normale non mi vedesse di buon occhio. Quando se ne andò le cose cambiarono e arrivò Discepoli. Da lì iniziò un altro tipo di campionato: vincemmo diverse partite, fino a quella di Prato in cui il pareggio ci tagliò le gambe. Però nel complesso fu una bella stagione. Quella era una squadra con giocatori forti. Penso a Pierobon, Pirri, Selva, Succi, Artico. Se non ci fossero stati i problemi societari avremmo potuto sicuramente fare qualcosa in più”.

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Poi arrivò Allegri, ma la tua permanenza durò solo altri sei mesi.
“L’arrivo di Allegri avvenne in una situazione davvero difficile e ne nacque un campionato travagliato. Nonostante questo la squadra si compattò e credo che anche i tifosi capirono come stavano le cose. Ci furono contestazioni, ma ci sostennero sempre. Ricordo SPAL-Napoli davanti a diecimila persone e anche la loro presenza notevole al ritorno, quando giocavo per i partenopei”.

Piccola parentesi: avresti mai creduto di vedere Allegri arrivare ai livelli in cui si trova ora?
“Sì, mi aspettavo di vederlo così in alto. Perché già a quei tempi si vedevano il suo livello di preparazione e la sua capacità di insegnare calcio. Quando venne alla SPAL aveva smesso da poco di giocare e ricordo che mi diede l’impressione di faticare a staccarsi dalla sua identità di giocatore. Partecipava alle nostre partitelle e si vedeva che si sentiva ancora tale. Penso abbia faticato nella prima fase della sua carriera anche per questo, ma poi le sue qualità nel campo della tattica e della lettura delle partite è venuta fuori. Merita di stare dove è adesso”.

A gennaio la SPAL ti cedette al Napoli del nuovo corso di Aurelio De Laurentis. Un contesto abbastanza diverso da Ferrara.
“A prescindere da proprietà e ambizioni Napoli è comunque una piazza unica anche solo per il modo di vivere la settimana calcistica. È stata un’esperienza breve ma intensa, e spesso mi dico che sei mesi a Napoli valgono come tre anni da un’altra parte per il tipo di emozioni che si vivono. Mi è dispiaciuto non rimanere, ma ebbi con problemi con Reja che voleva un  centrocampista  con caratteristiche diverse dalle mie. Così, visto che ero in comproprietà, tornai alla SPAL. Anche perché quell’anno nacque il mio secondo figlio e volevo stare vicino alla mia famiglia. Ovviamente non pensavo che per la SPAL sarebbe finita così male”.

Deve essere stato un bel salto passare dal Mazza al San Paolo, anche se per poco.
“A dire la verità per me non c’è stata troppa differenza. O meglio, è solo una differenza di dimensioni. Che allo stadio ci siano cinquemila o cinquantamila persone, le emozioni che si provano sono sempre quelle. Per dire, io non dimenticherò mai la gioia che mi ha dato segnare su punizione il 2-1 contro la Reggiana nella mia ultima partita al Mazza”.

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Dopo il tuo ritorno a Ferrara la situazione precipitò, fino alla mancata iscrizione.
“Furono dieci giorni veramente brutti. Ricordo che ero in ritiro a Cosenza con tutti gli altri giocatori quando Pagliuso ci disse che la squadra non si sarebbe iscritta. Fu una sensazione terribile, anche perché era tutto dovuto a storie che col calcio c’entravano nulla”.

A lanciarti un salvagente ci pensò proprio Max Allegri…
“Sì, la telefonata di Allegri fu provvidenziale, anche se devo ammettere che dopo le esperienze con SPAL e Napoli mi aspettavo di avere opportunità un po’ più in alto. Invece Max mi chiamò e mi disse ‘Vieni a Grosseto a darmi una mano’. Ammetto di aver dovuto guardare la cartina dell’Italia, perché sapevo che Grosseto si trovava in Toscana, ma per il resto non è che avessi molte altre informazioni! (Ride)”.

Una telefonata che è finita per pesare molto sul tuo percorso calcistico. Sette anni da capitano e diversi record.
“Senz’altro. Firmare per il Grosseto è stata la scelta che ha cambiato non solo la mia carriera, ma anche la mia vita, visto che lì sono rimasto sette anni e sono cresciuto come uomo. Non a caso oggi vivo ancora a Grosseto con la mia famiglia. Qui ho ricordi importanti e di tanto in tanto c’è ancora qualche tifoso che mi chiede di tornare a giocare col Grosseto, anche solo per fare mezz’ora. Mi tocca dirgli che ormai ho trentasette anni e che ormai ho fatto il mio tempo (Ride)! A un certo punto è bene lasciare spazio ai giovani, anche se non condivido le modalità con cui li si fa giocare da regolamento. Se uno è bravo deve giocare, ma se lo deve fare solo perché fa comodo in quanto under non serve a nulla. Forse è anche per questo che il livello della serie C è calato così tanto”.

Nel 2007 con l’Unione ti sei tolto lo sfizio di contribuire alla prima e unica promozione in B della storia della squadra.
“Penso che quello sia destinato a rimanere un risultato indelebile nella storia del calcio a Grosseto e sono ovviamente felice di aver fatto la mia parte. Di fatto ci siamo ripresi quello che ci era sfuggito l’anno precedente nei playoff col Frosinone”.

Due anni più tardi sei riuscito addirittura ad arrivare a giocarti la promozione in serie A nei playoff contro il Livorno. E solo quello che ebbe tutta l’aria di essere un suicidio negò a te e ai tuoi compagni uno storico traguardo.
“Sì, per molti aspetti fu una sorta di suicidio sportivo. A volte, quando si è dentro a certi momenti, si fatica a capire cosa sta succedendo. O meglio: riesci a capirlo solo successivamente, a mente fredda. Ricordo che, dopo aver vinto in casa 2-0 la gara di andata, andammo a Livorno con la consapevolezza di poter davvero portare il Grosseto in serie A. Purtroppo al Picchi successero molte cose strane, a partire dalla conduzione arbitrale. Fu tutto a senso unico, cartellini compresi, anche se i rossi alla fine ci potevano stare. Di fatto erano espulsioni dettate dalla rabbia che si provava nel vedere svanire un sogno che potevi materialmente realizzare. Sull’1-1 si vedeva la paura di non farcela nei giocatori del Livorno. Ricordo che dopo averla pareggiata prendemmo anche un palo con Stendardo, prima di cadere nel nervosismo. Provai una delusione enorme, perché davvero c’era la possibilità di scrivere una pagina di storia del tutto irripetibile”.

Si può dire che quella sconfitta rappresenti il più grande rimpianto sportivo della tua vita?
“Senz’altro è il rimpianto più grande della mia carriera. Superiore anche a quello di non aver mai giocato in serie A”.

Durante i tuoi anni a Grosseto non ti è stato mai offerto di giocare per squadre di serie A?
“A essere onesto no, anzi, mi hanno sempre offerto di scendere di categoria (Ride)! Penso sia abbastanza normale per giocatori che hanno fatto la serie C e poi sono saliti in B. Quando ero vicino alla scadenza del contratto col Grosseto fui contattato dal Pescara e dal Benevento, che mi fecero offerte piuttosto importanti dal punto di vista economico. Ma ho preferito la serenità di Grosseto, anche per diventare un punto di riferimento per l’ambiente”.

Insomma Grosseto è diventata casa tua. Segui le vicende dei biancorossi?
“Certo, oggi seguo sempre la squadra da tifoso. Ho visto quasi tutte le partite e posso dire che è una squadra forte, che può contare su giocatori di livello come Gambino, Verna, Torromino, Formiconi, Pichlmann, Morero e Burzigotti. Mentre la squadra che venne promossa in B nel 2007 aveva costruito le sue fortune in casa, questa tende a vincere più spesso in trasferta. Forse dipende anche dall’atteggiamento votato più alle ripartenze che al possesso palla. Per questo spesso sento dire che manca un Consonni in mezzo al campo, uno in grado di gestire palla e far rallentare i ritmi. Ecco, non proprio io per ragioni di età, ma uno che faccia le cose che facevo io (Ride)”.

Peraltro hai avuto modo anche di allenare il Grosseto nel novembre 2012, seppure per poco più di un mese e in tandem con Lamberto Magrini.
“Sì e per quanto breve fu un’esperienza comunque fantastica. Lasciai l’Albinia con cui giocavo in Eccellenza per accettare la proposta del presidente Camilli. Solo che avevo il problema del patentino: con quello Uefa B non potevo allenare in serie B, ma solo fare l’assistente. Così chiamarono Magrini come tutore, diciamo così. Per me rimane un bel ricordo, perché ho avuto l’opportunità di allenare molti di quelli che erano stati i miei compagni. Anche se dovevamo fare i conti con qualche problema di spogliatoio e con un calendario abbastanza sfavorevole. Ricordo che perdemmo male in trasferta con due squadroni come Livorno e Varese, però ci comportammo bene in casa contro Brescia e Pro Vercelli, facendo quattro punti. Un bottino tutto sommato in linea con gli obiettivi della squadra in quella stagione. Tuttavia rimaneva il problema legato al mio patentino. Potevo vedere le partite solo dalla tribuna, e questo ha costretto il presidente a fare una scelta diversa”.

Nell’estate precedente eri anche stato coinvolto nell’inchiesta sul Calcioscommesse.
“Quelli sono stati i due mesi più brutti della mia vita. Essendo capitano del Grosseto venivo accusato di non poter non sapere di eventuali combine. Ed è terribile essere additato come uno che si vende le partite. Più brutto di qualsiasi infortunio o ingiustizia che puoi subire in campo. Anche se devo dire che a Grosseto quasi tutti sono stati fin da subito dalla mia parte.  Nel mio caso non si poteva dubitare della mia correttezza. A un certo punto avrei potuto patteggiare una pena di tre mesi di squalifica e togliermi un peso, come peraltro hanno fatto tanti che evidentemente non avevano la coscienza proprio a posto. Ma ho voluto andare fino in fondo, rischiando un anno, perché sapevo che ne sarei uscito pulito. E così è stato”.

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In quella stessa estate la SPAL fu costretta a ripartire dai dilettanti e il nuovo presidente Ranzani dichiarò di volerti coinvolgere nel progetto. Ci fu effettivamente un contatto?
“Sì, Ranzani mi chiamò quell’estate. Però gli dissi di no principalmente perché non me la sentivo più di spostarmi ancora per giocare a calcio. In quel periodo ebbi anche una proposta dalla Salernitana, ma rifiutai per la stessa ragione. Si è trattato di una decisione su cui ho dovuto riflettere a lungo, perché mi attirava molto l’idea di tornare in una piazza in cui mi è stato mostrato affetto. Ma nella vita bisogna considerare anche altri fattori e così ho deciso di restare a Grosseto con la mia famiglia, e di giocare da queste parti nel caso si fosse presentata la possibilità”.

Per cui ti sei accasato al Roselle, in Prima Categoria.
“Sì, ho ancora voglia di giocare e divertirmi e qui ho l’opportunità di farlo. Il Roselle è una società importante, di alto livello nonostante la categoria. Non a caso in tanti vorrebbero venire a giocare qui. Perché sanno che ci sono grosse ambizioni e che la società non fa mancare niente ai propri giocatori. Ho trovato un’organizzazione che certe volte non si vede neanche in realtà professionistiche. A fronte di questo la dirigenza giustamente pretende di vedere i risultati e dopo una partenza incerta ci siamo rimessi in carreggiata, facendo quattro vittorie consecutive”.

Domenica avete vinto 7-1, ma tu sei stato costretto a uscire per infortunio.
“Eh, quando si va avanti con l’età sorgono anche questi problemi (Ride)! Ho accusato un po’ di dolore alla schiena e visto che eravamo già sul 4-0 ho preferito non rischiare e lasciare il campo”.

Che effetto fa trovarsi di fronte un giocatore col tuo curriculum in Prima Categoria?
“Diciamo che ci sono reazioni contrastanti. Da un lato quelle negative, che vengono da avversari che cercano di farmi innervosire. Mi dicono ‘Sei finito, sei vecchio’ e cose del genere. Magari a palla lontana, complice il fatto che non ci sono i guardalinee, mi danno anche qualche colpetto. Cose abbastanza normali che mi danno un’ulteriore stimolo. Dall’altro lato mi capita di incrociare tifosi che venivano a vedere il Grosseto o addirittura ragazzi che facevano i raccattapalle a bordo campo: loro mi trattano un pochino meglio (Ride)”.

Di fatto il tuo è un ruolo anche di guida per tutto il resto della rosa.
“Beh sì, essere il più vecchio e quello che ha giocato più in alto vuol dire mettersi a disposizione dei compagni, creare un valore aggiunto. Ma è impossibile farlo senza la giusta umiltà del calarsi nella realtà dei campi di periferia. Va anche detto che al Roselle ci sono diversi altri giocatori che hanno fatto categorie importanti e che possono dare un bel contributo nel guidare i giovani”.

Nel frattempo hai anche iniziato ad allenare la selezione Giovanissimi Provinciali del Roselle.
“Inizialmente non volevo allenare dei ragazzi così giovani, perché a me piace la tattica e ovviamente a questi livelli non la si può fare. In più voglio sempre vincere e questo mal si concilia con una realtà del genere, in cui è importante insegnare valori e fare aggregazione. Però si sta rivelando una bella esperienza e i genitori dei ragazzi mi stanno dando una mano con grande senso di maturità”.

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Anche il tuo primogenito gioca a calcio?
“Sì, mio figlio William gioca nei Giovanissimi Professionisti del Grosseto, proprio nel mio stesso ruolo. È una bella soddisfazione, ma personalmente cerco di rimanere fuori il più possibile dalle questioni della squadra, perché è giusto che cresca senza alcuna pressione o condizionamento”.

Sabato sarai allo “Zecchini” per vedere la sfida tra Grosseto e SPAL?
“Purtroppo me la perderò, perché con la partita dei Giovanissimi inizia alle 15.30 di sabato. Sicuramente farò in modo di rivederla in differita”.

Tieni ancora d’occhio le vicende della SPAL?
“Certo, la seguo sempre, così come seguo tutte le squadre in cui ho giocato. È una squadra che mi piace, solida, con giocatori importanti. Si è ripresa dopo un brutto inizio e credo abbia le potenzialità per fare un bel campionato”.

Quindi te la senti di fare un pronostico in vista di sabato?
“Eh, qui mi fai una domanda impegnativa. Spero che vinca il bel calcio, anche se è difficile vederne in questa Lega Pro”.

È una risposta abbastanza democristiana.
“(Ride) Hai ragione, ma non posso negare di essere un tifoso del Grosseto. A maggior ragione visto che in campo ci saranno dei miei ex compagni di squadra come Formiconi e Pichlmann. Facciamo così: alla SPAL auguro di arrivare ai playoff, a prescindere dal risultato di sabato”.

Compromesso accettabile. Quanto a te, che farai da grande?
“Sicuramente farò l’allenatore. Il mio sogno è quello di ripercorrere le orme di Max Allegri. Non so se sia un caso, ma abbiamo giocato nello stesso ruolo per tanti anni. Mi ha insegnato tantissimo e spero di aver appreso nel modo giusto, in modo da poter trasmettere qualcosa a mia volta. Per cui il mio obiettivo è quello di allenare il più in alto possibile. Starà solo a me riuscire a crearmi una filosofia, uno staff e ottenere dei risultati”.

Magari passando di nuovo per Ferrara?
“Chi lo sa? Nella vita non si può mai dire. Per adesso alla SPAL c’è un allenatore bravo e spero faccia bene, ma se un giorno avessi la possibilità di tornare a Ferrara difficilmente me la farei scappare”.

Prima però hai un altro campionato da vincere da giocatore
“Eh già, bisogna vincere se no chi lo sente il presidente! (Ride) Magari non sarà particolare come Camilli, ma ha lo stesso tipo di ambizione. E io ovviamente la condivido”.

NOTE A MARGINE:
Le foto del periodo spallino di Consonni sono di Giuliano Galasso, a cui va un sentito ringraziamento.
Un grazie anche alla società AC Roselle per la disponibilità dimostrata.