Lo chiamavamo Il Tigre, quando la frase “metti un tigre nel motore” ti faceva immaginare che la tua utilitaria potesse diventare una formula uno. In campo era grintoso, agile, veloce come un bolide dallo scatto bruciante che s’invola verso la vittoria. Gianfranco Bozzao non mollava mai l’avversario, che affrontava con astuzia e tempismo perfetti. Abile nell’interdizione, sapeva proporre l’azione d’attacco con autorevolezza ed eleganza, mandando in visibilio i ventimila del Comunale. Si distingueva anche per l’impeccabile correttezza: riusciva a mandare in bianco la più scorbutica delle ali destre senza lasciargli sul corpo neanche un graffio. In tutta la carriera fu espulso solo una volta per un errore dell’arbitro, che gli aveva attribuito un fallo commesso da Massei. Il suo sogno era di poter giocare alla Facchetti, con licenza di spingersi sulla fascia sino all’area avversaria, ma Mazza non volle mai sentir ragione e gli vietò sempre di superare la metà campo. Lui ci soffriva e ogni tanto qualche battibecco col presidente ci scappava. Ma tutto restava a livello di episodio e lui continuò a godere della stima di Mazza, che lo tenne nove anni quasi ininterrotti alla SPAL, con la parentesi del 1961- 1962 di militanza nella Juventus. Nel 1968 – forse pentendosene poi amaramente – lo avrebbe ceduto al Piacenza, dove fu determinante per la promozione in B dei biancorossi.
Il fisico asciutto e i tratti regolari di un volto da divo hollywoodiano gli conferivano un fascino che colpiva anche il pubblico femminile, al tempo non molto appassionato dell’arte pedatoria. Circolava per la città sempre in bicicletta e, già allora, si intuiva che da Ferrara non si sarebbe mai allontanato. I suoi modi scanzonati e cordiali gli cucivano addosso una ferraresità genuina che lo faceva sentire uno di noi, anche se era nato tra le calli e i canali di Venezia. Il più remoto ricordo che personalmente conservo di lui risale a quella fantastica annata 1959-1960 che ci regalò il quinto posto in serie A. Un giorno lo riconobbi dal filobus che mi portava a casa da scuola, mentre in bicicletta percorreva Corso Porta Reno. Tutti i passeggeri, stipati come sardine su quel mezzo, lo riconobbero e furono presi da un’intensa eccitazione. Erano settimane elettrizzanti, quelle, per Ferrara. Tra la gente e nei bar non si parlava che delle imprese dei nostri eroi, i quali ci sembravano miti irraggiungibili e avvolti nel mistero. Almeno noi ragazzi, di dieci, undici anni, li immaginavamo degli dei che scendevano la domenica sulla terra e vincevano per l’onore e l’orgoglio della nostra città. Non li pensavamo oberati dalle nostre stesse esigenze esistenziali. E vedere quel giorno Gianfranco Bozzao, il terzo della nostra magica formazione – quella che faceva: Nobili, Picchi, Bozzao, e via di seguito fino a Morbello, passando per Novelli e Massei -, condividere il nostro stesso spazio vitale e respirare la nostra stessa aria, per me fu come sentirmi forte come lui e in grado di superare ogni ostacolo che si frapponesse alla realizzazione dei miei sogni.
Non sapevo, allora, che molti anni dopo, Gianfranco Bozzao ed io saremmo diventati amici e oggi avrei scritto di lui per augurargli, di tutto cuore, buon compleanno assieme a tutti i tifosi biancoazzurri e alla città intera. Sinceri auguri, Tigre!