Parafrasando un bel libro del mio amico Lorenzo Mazzoni, non è possibile commentare questi tre anni senza utilizzare iperboli. Siamo tifosi, di più, partigiani, lo sport di per se non è l’elemento principale, ma il tutto, l’appartenenza, la memoria, il ricordo, la speranza ed in fine la follia della gioia, che ti blocca ti attanaglia. Gli artefici di questa meravigliosa cavalcata, sono già la, su quel piedistallo infrangibile, che nemmeno il tempo potrà sfumare, come la SPAL del 1950, come quella del quinto posto in serie A e qui vengo colto un attimo dalla sindrome di Max Pezzali. Ma cerco di riprendermi. Le due SPAL del Paradiso, la libertina e libertaria SPAL di Galeone, gli ultimi eroi (penultimi) del grande GB, la scoppiettante ed acrobatica SPAL del Fenomeno e di De Biasi e poi loro. I nostàr ragazìt, per dirla come il Commendatore. Un’alchimia che vorremmo fosse la base per riprenderci quello che i mille anni bui ci hanno tolto.
Il condottiero, il comandante come il sor Mario, mister Semplici, che ci fece sorridere le prime partite con gli iperbolici schemi da “pallanuoto” sulle punizioni, una tonnara inspiegabile, i calci d’angolo sempre battuti “a due”, l’uomo che a memoria mia a saputo gestire meglio le proprie risorse, ruotando i più in forma nell’arco di tutto il campionato. Un signore che è riuscito a strapparci il cuore, ogni partita, ogni dettaglio, ogni virgola analizzata in maniera scientifica, ricordando a tutti che il sogno era ancora lì, bastava non svegliarsi, per poterlo raggiungere.
Ci sono stati momenti difficili, che sommati alla positività del tifoso ferrarese, stile due di novembre, ci hanno fatto tremare le vene ai polsi. Per fortuna la paura nostra sui gradoni, si trasformava in canzoni, grida, urla, cuciva due aste, sventolava bandiere, riportava qualche torcia, sparsa e coperta come si conviene. Come un onda che tutto travolge, cita una vecchia canzone della ovest. Quello siamo stati, difesa di granito, centrocampo di lotta e di governo, attacco che porta il tridente a superare di molto i trenta goal, nessun titolare, nessuna riserva, tutti utili, tutti fondamentali. Ma il mister di più.
La foto di quest’anno potrebbe sintetizzarsi, nell’ultima immagine del calcio giocato, goal subìto al 90′ di una Supercoppa voluta ed ottenuta rullando le due capolista dei gironi A e C, mister Semplici, urla e sbraita come fosse il primo minuto della prima di campionato. Mentalità, rabbia, grinta, agonismo, calcio come metafora della vita, nessun passo indietro, nemmeno per prendere la rincorsa (cit.). No, non è possibile non essere retorici, non si può descrivere questo magnifico campionato senza farne una apologia. Abbiamo perso una generazione, forse due, ma ci siamo ancora, i quaranta, cinquanta, sessantenni ed oltre e poi i bambini, i ragazzi, i giovani adulti. Non possiamo dimenticare di chi, ha visto la SPAL giocare in campi che noi umani nemmeno ci sogniamo, campi spelacchiati, lagune d’inverno, asfalto d’estate, loro che hanno sbandierato e tifato durante la peste nera, dal fondo di una buca che ci aveva inghiottito e che pensavamo sarebbe stata la nostra tomba.
Ma siamo ancora qua, dice Vasco, nessun DJ (a parte Fioro), può suonare le nostre canzoni. Le nostre canzoni partono dalla balaustra, non dagli altoparlanti, abbiamo cantato quest’anno, tanto, siamo riusciti a far tornare quel grido che ti rimbomba nello stomaco, quello che abbiamo sognato per secoli, quell’eco della nostra infanzia, quello che ritorna, quello a due voci ovest e gradinata, con lo scandire bulgaro della tribuna, la voce del Mazza, che paralizza gli avversari, quello che ci da i brividi, (anche ora che sto scrivendo).
Dicevo prima, come un onda che tutto travolge, questo canto d’amore per te, peccato sia finito il campionato, ma fra pochi mesi, ne ricomincerà un altro, quello vero, la nostra serie A, l’unico che ci compete. E noi saremo là, ognuno al nostro posto, con la sciarpa al polso od al collo, col cuscino bicolore o col due aste, con il bandierone o la bandierina col cerbiatto, col bomber od il piumino, con la felpa o la camicia, come siamo, senza differenze, ma come sempre anarchicamente innamorati dei nostri colori. Oltre al novantesimo, oltre la categoria, oltre a tutto.