Ventitré anni sono passati. Tanti ragazzi intorno a noi neppure erano nati al terzo gol di Messersì. Un quarto di secolo, eravamo giovani allora, ora non lo siamo più ma le emozioni sono ancora quelle. Le stesse. I giorni precedenti all’esordio sono lenti, scorrono fiacchi come l’acqua del Volano. I forum, i social pullulano di battute, soprattutto i più giovani commentano e non mascherano l’emozione. Noi diversamente adolescenti, siamo meno smargiassi. Le rughe dei campionati in terza, quarta e quinta serie, si sentono, sembrano pesarci sul groppone. E poi c’è la paura atavica, il pessimismo cosmico, un gol in fuorigioco, l’arbitro felino, una pioggia di asteroidi, la nebbia, straripa il Po, le cicale assassine (sfrattate dagli alberoni), il Bàbau…
Arriva finalmente la domenica. Doveri di casa, si aiuta la moglie, le figlie, giri, giretti e girini. Porto la figlia grande in stazione. Mancano ancora tre ore. Fortunatamente mi dimentico il cellulare a casa. Lo torno a prendere. Un frugale toast ed una birra del muratore sardo. Devo andare a ritirare un libro di matematica per la terza superiore. Incontro un amico, si parla di Spal, inevitabile come una sforbiciata sul bagnasciuga.
Ed ora? Quanto manca? Più di due ore. Che faccio? Io vado.
Scendo giù dal ponte dell’Impero, (ponte della Pace per i non nativi della zona), uno sguardo ed un pensiero al ceppo dedicato al partigiano Bruno Rizzieri, come sempre faccio dalla prima infanzia in poi. Via IV novembre ti chiama, è uno scivolo, un invito. Ma la cabala è sempre la cabala. Un illuminista come me non crede nei feticci della sfortuna, anche se, nel calcio e nella pesca è sempre meglio non stuzzicare la sfiga. E quindi parcheggio nel solito posto, sotto l’Hotel orologio, dove secoli fa la “Campi Verdi”, produceva il riso cittadino. Il tragitto che oramai da anni mi vede solo, all’appuntamento con la beneamata, lo faccio assorto nei pensieri biancazzurri. Ragazzi al tavolo del bar all’angolo, birra, sigarette e sciarpa della Spal.
Costeggio l’ultimo muretto ancora presente della immensa fortezza a Stella, che nel settecento sanciva il potere austriaco sulla città. I ferraresi dopo la cacciata dei “tugnin” dalla città Estense, smontarono la suddetta, mattone dopo mattone, per costruirsi delle dimore (le più famose furono i cà matùn). Il mio percorso da secoli è sempre lo stesso. Dopo la piazzetta della storica giostra per bimbi, mai dritto vero il curvino, sempre a sinistra per via Paolo V, verso la casa del custode. Tornando alla cabala ed all’illuminismo…
Mancano due ore e la coda attraversa la strada, dallo storico ingresso della ovest, fino al marciapiede opposto. Gli amici sono già lì. La coda è scorrevole, ai tornelli nessun problema, un doppio controllo al mio due aste, ok, Old Pigs è approvato. Entro. Quante volte l’ho scritto, forse sono logorroico, d’altronde non si può pretendere troppo dal mio unico neurone. Ma il profumo, il sapore, la luce abbagliante della tribuna ristrutturata, il verde smeraldo del fondo, e poi alla mia sinistra, la nostra casa, la nostra storia, l’immutabilità del tempo passato, a gridare, a cantare, ad abbracciare ed a soffrire. Già lo so, che la salita dei gradoni sarà molto diversa dalla discesa, indipendentemente dal risultato. Salirò pimpante e scenderò demolito. Più sudato che se avessi giocato io. Mi siedo con precisione millimetrica sul mio gradone, assieme alla mia banda, che piano piano comincia ad assieparsi intorno a me. Mi godo, i rumori, le grida, in un tripudio di esse ed elle, stridenti amplificatori della nostra gente.
Entra il capitano. La mia generazione non ha avuto la fortuna di goderne le gesta sul campo. E’ emozionato, nella sua signorilità, che dimostrava anche quando giocava, Oscar Massei da Rosario, città importante che diede i natali anche ad un fondamentale amico mio. Il suo pubblico, gli tributa il giusto ringraziamento, mentre la nostra avventura, piano, piano va ad iniziare. Le formazioni. Quella del Vicenza non riusciamo a sentirla, le grida ed i fischi superano i 100 dB(A), siamo carichi come un campo minato (cit.).
Poi, i nostri. Ogni nome un esplosione. Nessuna coreografia, i ragazzi hanno scelto di devolvere tuti i soldi alle popolazioni del centro Italia colpite dal terremoto. Bravi. Alla faccia dei luoghi comuni, degli ultras brutti, sporchi e cattivi.
Via, il fischio d’inizio non ci coglie impreparati. E poi, non mi dilungo nella cronaca e nei dettagli tecnici, io scrivo di emozioni, oltre il risultato, oltre la categoria. Ma noi qui siamo, la serie B è il nostro sogno ed ora lo stiamo vivendo. Mai una partita a mia memoria, ci ha visti creare così tante azioni a pericolose, come se piovesse, giocatori dai piedi sontuosi, bocche serrate, nell’atto dello sforzo e della grinta, movimenti da… leccarsi i baffi (!). Al primo gol mi spoglio e isso la maglia sulla sommità dei supporti del mio due aste. Poco maturo per uno che oggi compie 47 anni? Forse sì, ma fa niente.
Al terzo goal di Zigo, rivedo Messersì, sull’altro lato del campo, così, potrò raccontare ai ragazzi che non l’hanno visto cosa fu quel gol. Fu un gran gol come quello di domenica. Allora era serie C, oggi è cadetteria. E mi ronza in testa una domanda: ma che cazzo ci abbia o fatto per un quarto di secolo in terza, quarta e quinta serie? Noi siamo questa roba qua. Amarti ancora, farlo dolcemente, un anno, un ora, (un secolo) perdutamente. Siamo tornati.