Il colpo di testa. Per me, dal basso dei mie dieci anni di calcio a 11 e dai sei campionati di calcio a 5, è il massimo gesto atletico per un giocatore. Nel colpo di testa, c’è l’essenza, la completezza, il culmine, che, se poi sfocia nel gol, lascia senza fiato. Io ero uno stopper scarso, piedi come una cassetta della Fram, discreto senso della posizione, grinta e poco altro. Nel calcio a 11 ho un score invidiabile di 4 gol in dieci anni. Un bomber di razza. Metà delle mie segnature (due), avvennero con un colpo di testa. E qui, ritorniamo a noi. Vicari e Floccari, due gol diversi, ma entrambi utili a mandarci in orbita. Non ci stiamo più dentro ragazzi, non vogliamo più svegliarci, smettetela di dirci di tenere i piedi per terra, smettiamo di essere avulsi, nel realismo da Soviet. Noi non ci stiamo più nei recinti della realtà. Ci sta stretta. Tutto. Noi siamo ufficialmente impazziti.
Sì, voi direte, l’hai già detto, è la solita apoteotica disamina della Ovest. No, sta volta è ancora di più. Su queste pagine ho parlato di bocche dilaniate dall’entusiasmo, di esultanze da… Fluminense, di vecchi e giovani tifosi, partigiani di quelle righe strette, che ci entusiasmano tanto. Ma oggi, vorrei soffermarmi sugli occhi.
Gli occhi, specchio dell’anima, gli occhi non mentono. Mai. Ed io, i miei non ho potuto vederli dopo il gol di Vicari, nemmeno dopo l’elevazione stratosferica del Boia. Ma ho avuto il privilegio di vedere gli occhi dei miei compagni di curva, amici da sempre, per sempre incollati spalla a spalla su quei gradoni. Dopo il ritorno dalla stratosfera di Sergione nostro mi stavo strattonando, con l’amico mio avvocato, quando ad un tratto ho incrociato gli occhi di Gamba, (giovane promessa dell’Ugo Costa anni Ottanta). E lì ho capito. Il flash, la luce.
Noi tutti avevamo gli occhi di un gatto in tangenziale, fulminato dagli abbaglianti di Tir. Siamo stati catturati dal demone del tempo, la gioia effimera, ma terribilmente reale di poter dire, noi stiamo vivendo oltre il nostro sogno. I Doors, ci sparano nell’etere “Light my fire”, siamo follemente innamorati di questa squadra, del suo nocchiero, della dirigenza, presidente, proprietà e magazzinieri. Gli occhi in acido di tutti noi, sono rimasti dilatati, per molto tempo, a fianco a me W. lasciava colare brillanti gocce di gioia, dietro di me, il dottore aveva le mani in faccia, non credeva alle follie che gli dicevo, ho parlato di un campionato oltre la serie B, (ma chissà se esiste davvero), ho parlato di vittoria, ho utilizzato iperboli irripetibili. Ma questo è il momento, sarà quel che sarà, cadremo, ci rialzeremo, rulleremo tutto e tutti. Non lo so, e neppure voglio saperlo. Vogliamo solo viverlo. Alchimia, anima, cuore, corpo, spirito, fantascienza. Questo stiamo vivendo.
Presidente, prepara un trentennale per il mister, clonalo, incatenalo al duomo. Noi lo amiamo. Ma gli occhi amici miei, le pupille dilatate, di tutti all’uscita dello stadio, nulla è così reale, come i sogni, come le utopie. La gente barcollava, piena, satolla di soddisfazione, sembravamo tanti ubriachi, prolissi a raccontarci quello che appena pochi minuti prima avevamo vissuto. Lo striscione Vecchia Guardia ha ripreso il suo posto, noi con le sciarpe nuove, le canzoni i cori ed i ritmi atavici, che ci hanno accompagnato nei decenni. Lo stacco, l’elevazione, la forza di chi è in alto e non vuole più, mai più tornare a terra. Fra poco sarà il 23 di gennaio, come tutti gli anni, dal 1991 in poi, sono sicuro papà, che avresti amato alla follia, questa squadra, la sua forza popolare, il suo spirito da fabbrica dei sogni, avresti strabuzzato gli occhi per il Principe, cambio di passo, stop e rotazione come Pac-man. Sì papà, tu mi raccontavi dell’elevazione del volpino sui cross di Donati, di come Lucio accendeva le luci. Ora io racconto a te, anche se non ci sei più da un secolo, di come questa squadra delle meraviglie ci folgora e ci trapassa ad ogni partita. Ad ogni sospiro, ad ogni silenzio. Di come gli occhi, di noi, oramai diversamente giovani, aggrappati a quei gradoni dalla notte dei tempi, non riescono più a chiudersi, se non nella speranza di sognare di nuovo, quel colpo di testa, quel boato, quegli abbracci. Nella folle corsa, verso la prossima partita. Forza Spal.