Potrei sbagliarmi, ma credo che tanti come me abbiano scoperto solo oggi, nelle circostanze più tristi possibili, che Lillo si chiamava Nicolino Villani. Non c’è mai stato bisogno di chiamarlo in un altro modo, per tutti è sempre stato Lillo. Tanto bastava. Non c’era neanche bisogno che te lo presentassero da quanto era popolare e riconoscibile. Capelli lunghi sempre sciolti (“Al par Renegade” mi disse un giorno un amico ferrarese), pantaloni della tuta, scarpe sportive. Sono anche abbastanza sicuro che lui non si ricordasse mai il mio nome. Succede alle celebrità (e Lillo a Ferrara lo era): hanno a che fare con troppe persone. Per lui ero “quello dello Spallino”. Tanto bastava. Era fiero di essere popolare e conosciuto. In due diverse occasioni, durante uno dei tanti pomeriggi passati sulla vecchia tribunetta di via Copparo, mi raccontò che in curva gli cantavano il coro “Lillo sindaco” e che una volta venne esposto anche uno striscione con quelle parole.
La SPAL gli dava (anche) dei dispiaceri, ma non riusciva a staccarsene. Era un pezzo fondamentale della sua vita. Negli ultimi due disastrosi anni della gestione Butelli e nell’anno della serie D capitava di spesso di incontrarlo, al Centro o in centro (storico), e sentirgli dire – rigorosamente in dialetto: “Basta, sono in pensione, adesso penso solo a fare il nonno”. Solo che dopo due minuti si tornava al punto di partenza: “Mo pusibil ca ag sia nisun ca compra la SPAL?” (trad: Possibile che non ci sia nessuno che compra la SPAL?).
Con lui si sprofondava facilmente tra i ricordi di una vita colorata quasi esclusivamente di bianco e di azzurro. Tanti di questi suonavano improbabili, quasi assurdi per chi (come me) aveva poca familiarità con certi passaggi storici. Complice soprattutto il suo modo, sempre colorito e sopra le righe di raccontarli: “Am arcord ancora quand co vist Nello Santin con indos na pelliccia e ho dit: ‘Ma quel lì el dabon n’alenador?“. In quell’occasione risi fragorosamente e lui mi guardò come se fossi un matto: “Mo sa gat da ridar? A ghe da zzigar!”. Con tutte le storie di Lillo si potrebbe tranquillamente riempire un libro o due. C’è da rimpiangere di non avergli proposto di scriverlo assieme. Non vederlo più sarà stranissimo, perché per tanta gente Lillo c’è sempre stato e sembrava destinato ad esserci sempre, in curva, in via Copparo, per le vie della città. Se di punto in bianco sparisse la statua di Savonarola dalla sua piazza probabilmente ci sentiremmo allo stesso modo. Domani, quando i tifosi si raduneranno al Centro per incitare la squadra in vista della trasferta di Verona, sentiranno per forza di cose che qualcosa non quadrerà, che ci sarà un posto vuoto.
Lillo era un simbolo, unico nel suo genere, di un modo di essere. Tipicamente ferrarese, profondamente spallino, straordinariamente umano e genuinamente simpatico. E se era popolare almeno la metà di quanto credo probabilmente avrebbe avuto davvero qualche chance di diventare sindaco. Ma soprattutto dubito che in cattedrale riusciremmo a entrare tutti per dirgli un’ultima volta “ciao Lillo”.