Io dico, con quali parole si può descrivere tutto ciò? Stiamo parlando di sessant’anni o giù di lì, gli statistici sapranno essere più precisi. Nella mia lunga militanza (a son vecch), diversi anni mi è capitato di cantare: “Salutate la capolista”, ma mai in questa categoria. Perché mi confermate che è vero che per almeno un fine settimana saremo primi? Non è che sono ammattito e che vedo cose che altri non vedono o sento cose che altri non sentono? E’ vero quindi! “Ho visto la gente della mia età andare via lungo le strade che non portano mai a niente. Cercare il sogno che conduce alla pazzia nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già”. (cit.) Ed invece quel sogno che conduce alla gioia lo stiamo vivendo. Mille volte ho scritto di abbracci, di occhi e di bocche dilaniate dalla gioia, ma oggi, noi, tutti noi avevamo gli occhi di Bambi, da cui però spuntava un brilluccichio dei manga anni Ottanta, un retrogusto di rivalsa, di Quarto Stato in marcia per una meta, reale, vera, talmente bella da non essere neppure nei sogni dei bambini, solo un anno fa.
Ma cosa stiamo facendo? Ogni partita una battaglia, anche stavolta un arbitro da codice penale ci ha massacrato la squadra, ma noi, i nostri ragazzi anno fegato ed attributi da vendere in una macelleria industriale. Ci mettono la gamba, la testa, il corpo si immolano, si aiutano, ci trascinano. Sono belli, una meraviglia. E la curva canta, ogni tanto M. ci cazzia dalla balaustra, ma poi ci riprendiamo subito. A fianco a me la solita banda, amici dalla notte dei tempi, mille sofferenze per quelle righe strette, oramai sulle loro facce e sulla mia, le rughe, le zampe di gallina, faraona e pure di fagiano, ci fanno fare i conti con le nostre rispettive carte di identità. Ma non importa, per quelle due ore siamo ragazzi, come e più dei ragazzi veri. In quell’ultimo stadio inglese ci siamo solo noi, la SPAL ed un regolamento di conti con le nostre vite. Non si riesce a spiegare, quello che stiamo provando. Va solo provato.
E’ solo una squadra, è solo una partita, è solo un pallone. No, non è vero. E’ il riscatto sociale, è come lo yogurt, quello col bifidus e pure quell’altro che pulisce le arterie, è una sauna depurativa, dalle schifezze del mondo. Non sto esagerando, adrenalina, feromoni, ansia, acido lattico, attività sportiva sui gradoni. E’ la nostra vita amici miei, oggi usciamo dal Mazza, con i muscoli induriti di chi ha partecipato. “Perché libertà è partecipazione” (cit.). La televisione ti coinvolge nella solitudine di un salotto e di un divano, lo stadio, la curva ti fa sentire vivo, ti abbraccia, ti strattona, ti fa cadere, ma subito una mano qualunque ti prende per il giubbotto e ti rimette in piedi. Mi piacerebbe che un improbabile fotografo avesse fatto un primo piano ad ognuno di noi, dopo i goal di Mirko e di Luca, per classificare su Wikipedia il significato di gioia, primordiale, semplice, pulita, furiosa, di noi che stiamo passando alla cassa a riscuotere il nostro futuro.
Quando una squadra diventa imbattibile? Quando ognuno gioca per l’altro, quando nessun singolo è più importante del gruppo, quando ogni ruolo è ben definito, ma diventa aleatorio durante la fase difensiva o peggio durante gli assalti dei Zezenati in undici contro nove. Meno brillanti del solito, siamo stati, Lazzarino si toccava le gambe a metà del primo tempo, i nostri due bomber poco serviti, si battevano come gladiatori nell’arena, centrocampo e difesa arcigni ed un po’ legnosi. Ma ci siamo. Alex e Cremo, gran partita. Ma pure tutti gli altri, ma pure tutti noi. La tribuna in piedi a salutare gli eroi che a turno uscivano dal campo, chi per scelta tecnica, chi per mano dell’arbitro. Ma fa niente.
Dalla curva non si è visto quasi nulla, ma amici alla tv hanno testimoniato di un lenzuolo, steso dai cesenati con scritto “State Lucidi”. Ma di cosa? Siamo primi in classifica con merito, siamo la squadra che segna con il maggior numero di giocatori, siamo la seconda miglior difesa, abbiamo perso una partita nelle ultime diciotto (18). Abbiamo preso dieci pali, siamo una società SANA, abbiamo un pubblico impazzito di gioia, abbiamo riportato un sacco di gente allo stadio, che cazzo di bandieruola di merda esponete? Sarebbe da ricordare agli ospiti che mentre loro si facevano belli nella serie dei ricchi noi tribolavamo, per mezzo secolo nelle serie inferiori, vincendo, perdendo, fallendo, rialzandoci, fallendo di nuovo, scomparendo. Ma ora a toca nù ZPK (per citare un amico e per far ridere mio cugino), ai ragazzi in bianco nero ricorderei che la loro società ha decine milioni di debiti. Ci sono aziende che falliscono per molto, molto, meno e invece nel calcio di oggi si può vivere oltre le righe e spesso oltre le regole. Noi siamo orgogliosi dei nostri ragazzi e della nostra società, che ci sta facendo vivere un sogno che nessuno nato dagli anni sessanta in poi, ha mai vissuto.
Poi, ultimo, ma primo, “Per vincere ci vuole il 12°”, ricorda a tutti che cos’è la solidarietà, il gruppo, l’amicizia e l’amore, lo ricorda pure ai baciapile che ci schifano senza conoscerci, che ci additano come brutti, sporchi e cattivi. Quelli che pensano che non esistano valori, in uni stadio e in una curva. I ragazzi ad esultare sotto la curva, con la maglia 12 indossata, sono esattamente il segno di ciò che siamo, grandi. Pietro, la tua balaustra ti aspetta, quella maglia che i ragazzi hanno fatto per te e le altre mille iniziative, singole o di gruppo, insegnano a chi non lo sa, (non a noi), cos’è la solidarietà. Forza la Pievigina alè perepereppeppe e forza SPAL. Lunga vita alla curva Ovest e pure alla tribuna.