E adesso? Come faccio a scrivere, commentare, parlare di ciò che è avvenuto. Io sono solo un tifoso, uno dei tanti, sono uno da venti like su Facebook, ci vorrebbe uno bravo, ci vorrebbe un premio Pulitzer, ci vorrebbe… Gianni Brera. Vabbé Gianni, dammi una mano se puoi, se non puoi, faccio io.
E’ mezzanotte e quaranta del venerdì, sono a letto da poco più di un’ora e già guardo la sveglia, sono in ammollo nell’adrenalina. Poi vedo le due, le due e quaranta, le quattro e un quarto, le cinque e tre minuti, cinque e mezza, sei, sei e mezza e basta. Spengo la sveglia mezzora prima, per non svegliare la moglie, chiudo la porta di camera delle bimbe. Mi vesto come un Acheo, prima di avvicinarsi alle mura di Troia, che poi si chiama Terni. Esco senza colazione, rientro in casa, mi sono dimenticato il mio I-phone da cinque euro, roba moderna, riesco, vado al Market di Monestirolo, mi faccio fare due panini ed uno spicchio di pizza. Rientro in casa mi sono dimenticato il vessillo Old Pigs. Guardo l’orologio, sono le sette e trenta. Vado al concentramento. Bene. Sono quaranta minuti in anticipo. Cammino come un carcerato nell’ora d’aria, avanti e indietro, saluto e abbraccio i primi, che si radunano nel piazzale dell’Atlantic. Poi, scorgo alcuni animali da cortile. Sì sono i miei, caffè e paglia per chi fuma. Foto con il nostro derelitto ma un sacco vintage striscioncino. E si parte. Tre macchine tra cui la mia. Una Multipla di dieci anni a metano, su in sei, con l’aria condizionata accesa. Una scheggia, ad ogni cambio marcia ti attacca al seggiolino, una bomba. Decidiamo di comune accordo di fare la A1 fino a Cesena e poi la E45. La banda chiama l’autogrill prima di Altedo, ma resisto.
Sui falsi piani del Verghereto, metto la terza sovente e mi si spiaccicano i moscerini del deflettore dietro da tanto vado piano. Ma l’armadio della Fiat, resiste, le soste si sprecano, qualche birretta (!), due morsi alla pizza fredda e poi, calcoli, sogni e paura. Colonna sonora strepitosa, le cinquanta canzoni della mia vita, Rock, Hard Rock, Blues, Pop, Disco, tutti concentrati negli anni in cui (per me) è esistita la musica (60-70-80).
Troviamo le prima f.d.o a trenta km dalla città, non è che pensavano di giocare col Liverpool oggi? Mah. Parcheggio angusto e in discesa, se piove devo risalire attaccato ad una autogru. Due passi a piedi ed entriamo al Liberati, stretto e alto, attacchiamo il reperto storico alla balaustra del primo anello. Ma noi ci mettiamo in basso attaccati al campo per vivere meglio l’evento, lasciando spazio ai lancia cori.
Via. Noi cantiamo, ma siamo dispersivi, i ragazzi hanno le gambe e soprattutto la testa pesante. Ma ecco Ante7 che la mette. Punto. Prendo fiato. Impazziamo, siamo ArrivAti, siamo là dove osano le aquile, siamo dove non avremmo mai pensato di essere. Il Verona vince, ma il Frosinone, no. Il Benevento sta facendo vedere le “streghe” ai laziali. Poco, troppo poco il tempo della nostra permanenza. I rossoverdi pareggiano e ci schiacciano. Fine primo tempo, vado reidratarmi, vedo gente piangere sui gradoni, altri attaccati ai telefoni, un clima, caldo, ma di merda. Abbraccio Janno, che mi dice sia finito il luppolo schiumoso, al bar. Ma organizzatevi, cazzo! Si canta, ma comincia a mancare la voce. La vista si annebbia, stiamo facendo tremendamente fatica. Il Frosinone pareggia. E non posso scrivere, quello che ho pensato o detto, crollerebbero edifici religiosi da qui a Costantinopoli. Il caldo, la fatica, si fanno sentire: a metà secondo tempo vado in bagno dietro alla curva Ovest del Liberati, sembra il campo di battaglia di Waterloo, decine di uomini, per lo più della mia età, vagano inconsolabili, ascoltano telefoni collegati agli altri campi, piangono, io rincuoro amici, con il groppo in gola, mi tremano le gambe, non sto niente bene, caccio la testa sotto ai rubinetti del bagno, perennemente aperti. Ma l’acqua a Terni non si paga? Vero che faccia male, ma pure gettarla così. Ritorno sul mio gradone a fianco dei miei fratelli, il due aste giace a terra, il tempo passa, troppo in fretta. Mancano una decina di minuti alla fine, mi accascio, mentre il lanciacori di fronte a me non cede di un millimetro, ma io ho una certa. E la sento tutta. Notizie strane si propagano. Ha segnato il Latina, quindi buono, mi rianimo, ma non è sufficiente, c’è pure da contare il Cittadella. Poltro (Max), scende dai gradoni alti e mi si affianca. Ci si rincuora, ma riaffiorano i fantasmi di quarant’anni di sofferenza, inframezzati da poche e sporadiche gioie, ritorniamo ad essere noi, la quint’essenza della sofferenza.
deformazione facciale in stile Lombroso, prima appare un punto interrogativo. L’urlo, per un secondo rimane in gola, ma siamo sicuri? Non è come prima che l’hanno annullato? E’ proprio vero? Sì. IMPAZZIAMO. L’urlo, ha le sembianze del terremoto, parte dai detentori di telefoni collegati e poi come una epidemia di pazzia abbraccia tutti. Gli spalti del Liberati sussultano, tremano, la balaustre vibrano, i cuori vanno in overflow. Triplice fischio a Benevento è finita.
Abbraccio Poltro, un metro e novanta, per un quintale gagliardo, ai suoi tempi ottimo difensore-mediano alla Robocop, singhiozziamo, un pianto strano, singhiozzi e risate, ghiaccio bollente. Passano i minuti ed io rido e piango, forse spreco troppe lacrime per tutto ciò. Nei momenti tragici della mia vita forse ho pianto meno, perché nel 1991 dovevo tenere la mia maschera da bulletto di borgata e quindi piangevo da solo di nascosto, accostato ai muri; poi nel 2013, sono padre, marito, devo piangere, ma solo fino all’uscio di casa, poi devo farmi vedere forte. Ma quelle erano lacrime di disperazione. Oggi no, è una cosa diversa, sono solo io, i miei compagni, i miei fratelli, un folle amore, qualcosa di più di un sogno. Perché poi, ci deve essere qualche cosa oltre i sogni, ed oltre i sogni c’è la Spal in serie A.
I ragazzi in campo, il mister, Davide, il meraviglioso e bellissimo presidente, padre e figlio Colombarini, a cui occorre fare un monumento quindici metri più alto della statua di Ariosto, sono felici, impazziscono di gioia, come noi, ci toccano le mani, si abbracciano piangono, ridono, siamo noi. Siamo in serie A. Grazie, per avere esaudito l’impossibile sogno di Tano e Minguelo, bambini di borgata, che calciando uno Jaschin sgonfio contro un muro di un cortile chiuso su tre lati e sognavano di vestire i colori del cielo, ed un giorno di segnare sotto la Ovest il goal della serie A e di gioire con le famiglie, gli amici e tutta la città, per qualche cosa, lo ripeto, che è più di un sogno. Nessun paragone sportivo calzante, Barcellona, Real, Juve, Manchester, squadre metropolitane, grandi città. No, voi, non siete nulla, ve lo ripeto, mondo trema, siamo tornati. Grazie ai tifosi della Ternana, che sono rimasti all’interno dello stadio per vederci ballare, applaudendoci sportivamente. L’uscita, leggera, dal Liberati, altri baci altri abbracci. Il solito balletto della promozione con Fede e Gamba, un must, una certezza in questi anni della gestione Colombarini. Risalgo con difficoltà, dal parcheggio impossibile dove mi sono incastrato con la mega Multipla, un birra calda tanto per stemperare. Usciamo per ultimi dal parcheggio e ricomincia la festa. All’incrocio, per imboccare la strada di casa, un ragazzo con la sciarpa rosso-verde ci saluta e ci fa i complimenti. Imbocchiamo la Cesena–Roma in direzione di casa, tanto sono solo quattrocento chilometri (il ritorno) una passeggiata.
Al primo autogrill ci rifocilliamo e troviamo il grande Mazzo (no, non io) Lorenzo e Federico Funki Pazzi. Baci e abbracci. Mordo il mio arabo con prosciutto (praticamente un ossimoro), ma mi si incastra in gola. Una buona e vecchia Peroni mi evita di morire strozzato. Riprendiamo il cammino, lento, verso Ferrara. Intanto sentiamo le famiglie, mia moglie e le mie bimbe stanno festeggiando in piazza, nella calca della gente impazzita, torce, cori e clacson. Una meraviglia, felicità straziante. Vediamo il tramonto, siamo rilassati, sono a oltre seicento chilometri di guida, ma mi sembra di averne fatti due. La mia compilation della vita, suona Lady Starlight degli Scorpions, Suria alza il volume ed ai lati dei suoi occhi sbrilluccica un po’ d’acqua. Poesia, romanticismo, la Spal in serie A. Siamo a casa. Una piada al volo e via al tempio.
Una calca, ma con chi giochiamo stasera? Col Vicenza, ah no, quelli sono in serie C. Allora col Cesena? Ah, no quelli sono in serie B. Non giochiamo con nessuno, dobbiamo solo fare festa. Bacio, abbraccio, ri-bacio, ri-abbraccio, quanta gente ho abbracciato oggi? Diecimila. Fumogeni, torce, fumo acre, ma dolce, i ragazzi arrivano, scivolano mille volte, ci chiamano, piangono, cantano, si buttano, ci fanno impazzire. La Spal più forte di sempre, almeno per quelli della mia generazione. La generazione dei retrocessi, non solo perché stavano dietro ai cessi, ma perché questa serie qua, mica l’avevamo mai vista. Credo di essere stato anche troppo prolisso, vorrei ringraziare tanta gente, i nostri ragazzi, uno per uno, il meraviglioso mister, il Pres, la famiglia Colombarini, ma, vorrei fare solo due nomi, sono sicuro che tutti gli altri nostri eroi, non se ne avranno a male. Grazie Tommy e grazie Eros, voi come tutta la Spal, siete il nostro sogno e la nostra vita. Ultimo, questa promozione la voglio dedicare a Folco e Barba, (Remo e Vanes), in borgata tutti avevano dei soprannomi, mio padre e mio nonno. In questo momento vorrei non essere ateo, e credere che loro stanno esultando ai tavoli del Bar Heaven, abbracciati, con le lacrime, assieme a tutti quelli che tifano dal secondo piano della Ovest, in una gioia infinita. Che va oltre la vita. Grazie folle amore nostro