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L’approdo in serie A della SPAL, all’improvviso, assume un lato oscuro che forse molti non avevano considerato. Magari ipotizzato in lontananza o solo presagito, ma non messo in conto con la forza d’urto rivelata giovedì dalla presentazione della campagna abbonamenti. In via Copparo non sono degli sprovveduti: le rimostranze, le proteste, forse anche gli accenni di rivolta (via web) erano stati messi in preventivo. Ma forse non in questa misura. Così come una parte significativa del tifo biancazzurro non si aspettava rincari così pesanti.

Effetto di una sostanziale cristallizzazione dell’idea delle fasce di prezzo dovuta a vent’anni e passa di serie C (se non di peggio), ma soprattutto dal credito popolare che la SPAL dei Colombarini ha maturato nel corso dei suoi quattro anni di gestione. La gente, da sempre riconoscente alla famiglia che ha fatto un mezzo miracolo riportando l’Ars et Labor ai vertici che mancavano da una vita, probabilmente contava sul fattore umano, su quella capacità di essere vicini al territorio che i proprietari hanno sempre mostrato.
E’ capitato di leggere in queste ore cose del tipo: “Dai Colombarini non me l’aspettavo”, come se ci si sentisse traditi da un caro amico o da una persona in cui si ripone enorme fiducia. Persino la Curva, da sempre in grande sintonia con questa società (e viceversa) è sostanzialmente insorta, chiedendo chiarimenti e un intervento risolutivo per fare sì che calore e colore rimangano inalterati nella gare casalinghe. A maggior ragione perché sarà lì che la SPAL dovrà costruire la propria salvezza.

Al netto della componente emozionale – preponderante, quasi dirompente in questo momento – è il caso di ragionare su un paio di fatti, dando un’occhiata ai numeri.

A distanza di un anno, le critiche (che non mancarono affatto) per i rincari degli abbonamenti nel passaggio da Lega Pro a Serie B fanno sorridere. Il confronto d’altra parte parla da solo. La spiegazione fornita dai vertici della SPAL ha a che fare con la crescita esorbitante dei costi da sostenere nel massimo campionato e la scarsità dei posti a disposizione con la capienza totale fissata poco sopra 12mila posti. Argomentazione comprensibile, ma sufficiente per giustificare rialzi così accentuati? Dice la SPAL: Non vogliamo essere di passaggio in serie A, scontiamo un gap in un sistema che penalizza le piccole e per rimanere dove siamo anche i tifosi devono contribuire.
Più di qualcuno ha fatto notare che in serie A solo la Juventus propone tariffe più alte. Il confronto, messo giù così, e visto dal punto d’osservazione dei Colombarini può apparire improprio: il club bianconero parte da un fatturato di base astronomico e ha il sostegno di una proprietà tra le più potenti in Italia, la SPAL no. Da debuttante al gran ballo deve attrezzarsi diversamente e non ha altra scelta, anche a costo di essere citata in lungo e in largo e messa a confronto con realtà più o meno simili e che offrono abbonamenti decisamente più economici.

Il dubbio però è che la scelta ci potesse essere e che si potesse fare di più per tutelare chi c’è sempre stato e favorire l’afflusso delle famiglie. Non tutti vanno allo stadio per conto proprio, anzi. C’è chi ragiona su un intero nucleo familiare. Un termine di paragone può essere rappresentato dal Frosinone, anch’esso autore di un doppio salto tra il 2013 e il 2015. Il club ciociaro, alla vigilia del debutto in serie A con uno stadio dalla capienza decisamente scarsa (9mila circa), praticò rincari che andavano dal 190 al 215% (es. Curva da 95 a 300), ma solo per chi si abbonava per la prima volta, saltando sul carrozzone. A fedelissimi (abbonati da più di tre anni) e fedeli (abbonati da almeno un anno) vennero riservate agevolazioni notevoli: un fedelissimo deciso a rinnovare il suo abbonamento di curva avrebbe speso 190 euro, risparmiandone addirittura 110. Premiare la fedeltà paga quasi sempre: a Frosinone, salve qualche sporadico caso, non vi furono rivolte.

Nessuno vuole fare i conti in tasca alla SPAL, ma la sensazione è che all’interno della dirigenza abbia prevalso una linea puramente manageriale, fatta di calcolo numerico e non molto altro. Altrimenti non si spiegano le ulteriori restrizioni delle riduzioni per i giovani (anno scorso under 18, quest’anno under 15) e per i disabili (prima bastava il 50%, ora l’80%), l’assenza di offerte per le famiglie e lo sconticino – del 5% – praticato per gli abbonati in prelazione. Di fatto la SPAL prende consapevolmente un rischio, fa una scommessa su se stessa (e sul pubblico), convinta che bene o male gli abbonamenti verranno fatti. Perché l’occasione di vedere la serie A al “Paolo Mazza” è troppo unica e imperdibile e alla prima vittoria contro una “grande” potrebbe essere tutto dimenticato. Un’equazione su tutte: chi passava la notte all’aperto per un biglietto sarà disposto anche a lasciare sul tavolo 800 euro per un posto in gradinata. Suonerà classista e quasi antistorico, ma il problema è che si rischia di fare una selezione del pubblico per censo. Un po’ come accaduto in Inghilterra, dove la politica dei prezzi alti ha mirato – fin dagli anni Novanta – a creare un pubblico di clienti e non di tifosi. Snaturando soprattutto la componente locale e favorendo la logica del tifoso occasionale che si presenta solo per vedere i grandi campioni in azione. Solo la storia dirà se si è trattato di una strategia vincente, lo sapremo già dal 18 agosto, quando la campagna abbonamenti sarà chiusa.