Pensi al Milan contro la SPAL e ti viene in mente Ogliari. “Chi?” Potrebbe chiedersi qualche tifoso troppo giovane o salito sul carro solo di recente. Franco Ogliari, mediano e all’occorrenza difensore che nell’aprile del 1981 non riuscì a evitare un’entrata durissima di un altro Franco, Baresi, che gli spezzò tibia e perone. Un infortunio che ai tempi equivaleva a una sentenza. Ogliari chiuse col calcio solo cinque anni più tardi, all’età di trenta e senza più riuscire a esprimersi come aveva fatto fino a quel momento.
Trentasei anni dopo che fine ha fatto Franco Ogliari? Glielo abbiamo chiesto via telefono, trovando dall’altro capo un uomo gentile, disponibile, che ha vissuto per il calcio e ancora oggi lo ritiene un pezzo importante della sua vita: “Oggi alleno una squadra di dilettanti in Seconda Categoria, si chiama Bagnolo. Dopo aver smesso di giocare nel 1986 sono tornato a casa dalle mie parti, a Crema. Sono andato a lavorare e nel frattempo ho iniziato a fare l’allenatore in Eccellenza e Promozione, vincendo anche qualche campionato e togliendomi delle soddisfazioni”.
Quindi oggi lavora e allena?
“No, fortunatamente sono in pensione perché sono riuscito a mettere insieme gli anni da calciatore professionista ai ventiquattro che ho passato da impiegato in un’azienda qui a Crema. Diciamo che oggi l’allenatore è il mio unico lavoro (ride)”.
La carriera da allenatore era già nel destino?
“Sì, anche se non sono mai riuscito ad allenare grandi squadre, perché quando esci un po’ dal giro e non hai il procuratore certe porte non si aprono proprio. Ma va beh, ci sta, ho fatto l’impiegato e mi sono comunque dilettato restando nel calcio, in fondo è una passione e un divertimento”.
Ma la SPAL è rimasta in qualche forma nella sua vita?
“Quello senz’altro, ho sempre seguito le sue vicende e mi sono sempre informato su tutti i campionati che ha fatto: è sempre stata la mia seconda casa. A Ferrara ho vissuto anni meravigliosi, con ricordi più o meno piacevoli, però questo fa parte del gioco. Mi dispiace solo aver visto poche partite dal vivo in tutti questi anni, ma d’altra parte quando si lavora, si ha una famiglia e si prende sul serio un incarico da allenatore, è faticoso far quadrare tutto e spostarsi”.
Lei ha lasciato la SPAL nel 1983, con la squadra che provava faticosamente a ritrovare una serie B lasciata un anno prima. Si sarebbe mai aspettato di vederla risalire addirittura in serie A?
“No, no, io personalmente ero sicuro di rivederla lì! Una città come Ferrara non può non avere ambizioni sotto il profilo sportivo. Possono finire i cicli sportivi, ma la tradizione rimane. Faccio sempre l’esempio ai miei ragazzi: quando si è a terra non si può andare più giù. Ci si rialza, con tutte le proprie forze e ci si rimette in cammino. La SPAL ha fatto proprio questo, è caduta, ci ha messo un po’, ma ha rialzato la testa alla grande grazie a persone che hanno saputo lavorare bene. Adesso deve essere fantastico respirare l’atmosfera al Mazza e in città. Spero proprio di riuscire ad assistere ad almeno a una partita da qui ai prossimi mesi”.
Nel frattempo che idea si è fatto delle partite giocate finora?
“Al di là dei risultati, che hanno a che fare con l’impatto difficile col campionato, ho visto sempre la voglia di stare in campo messi bene e motivati. Col Cagliari non mi pare che la SPAL abbia giocato così male, la reazione c’è stata, poi gli episodi non hanno girato a favore. Ma comunque la strada è ancora lunga e sono dell’idea che certe sconfitte possano essere molto utili per capire come si affronta questa categoria”.
Anche in quella strana serie B del 1980-81 la SPAL si confrontava con una squadra apparentemente molto più forte come il Milan, eppure entrambe le partite furono equilibrate. Quella dell’andata addirittura decisa da un gol di mano.
“Eh sì, perdemmo 2-1 tutte e due le volte. Al tempo secondo me il livello era abbastanza equilibrato e le piccole riuscivano a tenere testa più spesso alle grandi. Non voglio dire che le grande squadre abbiano dei vantaggi derivanti dal loro prestigio, però insomma, capita di vedere che qualcuno di tanto in tanto chiude un occhio con loro”.
Con questo arriviamo dritti a quel pomeriggio di aprile del 1981. Quanto è brutto essere passati alla storia come il giocatore a cui Baresi spezzò una gamba?
“(Ride) Eh, non è piacevole, a uno farebbe piacere essere ricordato per una prodezza o un trofeo vinto, però purtroppo anche le cose negative lasciano tracce nella storia di una persona”.
L’episodio comunque è ancora particolarmente vivo nella mente dei tifosi della SPAL e c’è ancora chi prova un enorme dispiacere per una carriera compromessa in quel modo e così presto.
“Questo mi lusinga perché forse vuol dire che ho lasciato un buon ricordo come persona, prima ancora che da calciatore. L’incidente rimane fino a se stesso, è capitato a me come poteva capitare ad altri, ma se non ti sei comportato bene la gente non si ricorda di te. Dopo qualche tempo se ne dimentica e finisce lì”.
Gli addetti ai lavori dell’epoca ricordano un Ogliari molto promettente, che aveva ancora tanto da dimostrare.
“Sì, infatti ricordo che mi dissero dell’interesse di squadre di serie A nei miei confronti. Non mi venne mai svelato quali erano, anche perché in fondo in quel momento non contava più. Magari me l’hanno detto per consolarmi, ma avevo sentito di osservatori che già da qualche domenica avevano iniziato a venire a vedere le partite. Evidentemente pensavano potessi dare un contributo anche nella categoria superiore”.
Deve essere stato pesantissimo per un ragazzo di 25 anni dover smaltire un trauma psicologico del genere.
“Sì, lo è stato, perché impiegai quasi un anno e mezzo per tornare a giocare a certi livelli e senza procuratore era dura rimanere nel giro. Piano piano sono finito altrove, soprattutto in C2, e poi ho deciso di smettere perché ero stanco di girare per l’Italia. Così sono tornato a casa per lavorare e fare del calcio solo una passione. Scelta di cui non mi pento assolutamente”.
Le cronache dicono che Baresi non si scusò mai per quell’intervento. E’ vero?
“Sinceramente non ricordo. Mentre ero in ospedale venne a trovarmi Buriani, che all’epoca era al Milan, ma lui non lo sentii in quel periodo. Però non è che sarebbe cambiato qualcosa: sono cose che succedono a chi gioca a calcio. In occasioni successive è capitato di incontrarsi e salutarsi, ma non ho mai voluto dirgli nulla. Cosa avrei dovuto dire? ‘Eh però quella volta…’, non avrebbe avuto senso. Non me la sento di accusare nessuno, è stata sfortuna e come è capitato a me poteva accadere anche a lui”.
Questa esperienza poi ha contribuito a definire il tipo di insegnamento che ha provato a trasmettere ai ragazzi che ha allenato?
“Sì, senz’altro, quello che sono stato da giocatore ho provato a trasferirlo nel mio modo di allenare. Anche se i riscontri non sono sempre stati positivi, perché il mondo è cambiato e con esso il modo di vivere il calcio. Oggi i calciatori fanno i sacrifici convinti di dover essere ripagati in tempi brevi dai soldi o dalla popolarità. Da questo punto di vista la presenza dei procuratori non aiuta, perché contribuiscono a creare un mercato che non sempre è basato sui meriti effettivi. Paradossalmente un giocatore mediocre ma con un buon procuratore può anche farsi fare un contratto da quattro anni ed essere a posto. Una volta queste cose non capitavano, si veniva valutati di anno in anno in base al rendimento e al comportamento”.
E’ cambiato proprio il concetto di sacrificio quindi?
“Beh sì, perché il sacrificio che si fa in allenamento per dimostrarsi all’altezza già da solo ti ripaga moralmente. Ma la crescita vera passa dal confronto col resto del gruppo, sgomitare per avere un posto tra i titolari, lottare per mettere in difficoltà l’allenatore. Per un allenatore, e qui intravedo un altro parallelo con la SPAL, non c’è niente di più gratificante che vedere dei giocatori che fanno di tutto per farsi preferire agli altri quando è ora di schierare la formazione. Se invece ne ha solo undici buoni e che si impegnano non fa tanta strada, né lui né la squadra”.
Torniamo sull’attualità della SPAL con una domanda fatidica: come finirà Milan-SPAL domani sera?
“(Ride) Ah, lo chiedi a un tifoso quindi ti dico che per me dovrebbe sempre vincere la SPAL. Poi vedremo cosa dirà il campo”.
Ma la SPAL se la può giocare per portare a casa dei punti?
“Per me sì, perché le squadre cosiddette piccole di fronte alle grandi tirano una fuori una determinazione extra. Perché la grande squadra si sente già forte, mentre la piccola non ha niente da perdere e può metterla in difficoltà. Ai ragazzi che alleno dico sempre: ‘Non possiamo dire che ci vogliamo salvare e fermarci lì. Bisogna sempre pensare positivo e di potersela giocare contro chiunque’. Se poi il campo dirà altro non importa, ma la predisposizione mentale deve essere quella. Altrimenti uno può stare a casa in partenza, no? Secondo me la SPAL può fare un campionato tranquillo, perché mi pare che ragioni così e abbia un gruppo valido. Quindi i risultati arriveranno”.
un ringraziamento speciale è dovuto a Fabio Faciocchi di Baloo Calcio per aver reso possibile questa intervista