Era da un po’ che il vulcano Mattioli non faceva muovere le lancette dei sismografi. Per trovare dichiarazioni di intensità simile a quella fatta registrare nella serata di martedì bisogna sfogliare parecchie pagine all’indietro e tornare sostanzialmente all’era pre-Semplici. Era la fine di novembre del 2014 e sulla panchina della SPAL c’era ancora Oscar Brevi, il predecessore del Leonardo di Tavarnuzze. A Forlì, in un’altra gelida serata di novembre e contro un avversario inferiore e rimaneggiato, Mattioli tuonò “manderei via tutti” dopo una sconfitta particolarmente indigesta da mandar giù per quelle che erano le aspettative dell’epoca. Si tolse questa soddisfazione un paio di settimane più tardi, mandando via per la verità il solo Brevi. Il resto è storia nota a tutti.
Questo la dice lunga sui tre anni vissuti da allora e sulla scarsità di momenti critici – almeno sul versante delle esternazioni pubbliche – nel corso del lungo mandato di Semplici. La SPAL per la prima volta da quel novembre si trova a vivere uno strano senso di inquietudine che non sarebbe venuto in superficie se la squadra avesse conquistato anche un solo punto a Verona. Invece la rimonta del Chievo – sommata alla brutta prova di coppa col Cittadella – ha alimentato una tensione che era stata parzialmente domata grazie ai cinque punti guadagnati contro Genoa, Atalanta e Fiorentina. Intendiamoci: uscire dalla Coppa Italia non è un dramma, tutt’altro. Permette alla squadra di concentrarsi sull’unico obiettivo che conta, la permanenza in serie A. Ma come evidenziato da più parti, c’è modo e modo di onorare l’impegno. Su questo Mattioli e Semplici si sono trovati sostanzialmente d’accordo, – pur con toni diversi – ma la convergenza si ferma lì. Ed è indicativa dello stato d’animo dei due.
Da una parte il presidente ha letteralmente aperto il fuoco sui giocatori senza menzionare neanche lontanamente la posizione dell’allenatore; (quasi) in contemporanea Semplici in sala stampa faceva scudo proprio a beneficio dei suoi giocatori, assumendosi le responsabilità del risultato negativo. Scelte per nulla casuali in entrambi i casi. Mattioli, pur avendo smussato un po’ il suo furore interventista nel corso degli anni, ha deciso di allentare un po’ il freno per provare a rimettere in riga l’intero ambiente con un messaggio che più diretto non si può. Consapevole del fatto che solo Semplici in questo momento può correggere gli sbandamenti in stile secondo tempo del “Bentegodi” e un cambio di guida verrebbe vissuto come un colpo al cuore.
Anche le parole dello stesso Semplici sono state scelte con cura, visto che in settimana un suo collega – Christian Bucchi – è stato messo da parte proprio dopo aver scaricato sui calciatori il peso di un rendimento sotto le aspettative. Il problema è che in questo gioco delle parti proprio Semplici si ritrova al centro del campo di battaglia, mentre all’orizzonte una fetta dell’opinione pubblica si accoda a quella dei suoi detrattori, ben pochi fino tre mesi fa.
Semplici però non è un sprovveduto, sa che con questa media punti la SPAL difficilmente si salverà (l’aritmetica dice 27 in proiezione) e ha già vissuto momenti critici in carriera, basta dare un’occhiata al suo curriculum. Sa che il calcio a questi livelli è come un’escursione sulle vette più alte e ripide. Basta un passo fuori posto e si finisce nella polvere, se non peggio. Chiedere al suo amico Montella per averne conferma. Ma sa anche che i risultati possono arrivare se si rimane compatti, determinati, fiduciosi. La depressione, la frustrazione e il senso di fragilità sono i nemici principali di una squadra che deve usare le motivazioni per sopperire a un divario tecnico evidente con almeno 17 avversarie su 19. Farsi accerchiare da questo genere di spettri alla vigilia di cinque partite fondamentali da qui a gennaio (di cui due, con Verona e Benevento, a dir poco vitali) è quanto di peggio si possa augurare alla SPAL.