Pur avendo rinunciato a Luca Mora, alla SPAL possono ancora contare su giocatori dotati di interessi extra-calcistici e di una coscienza sociale. Uno di questi è senz’altro Alfred Gomis, ragazzo che fin dal suo arrivo a Ferrara ha dato prova di avere testa ben salda sulle spalle e pensieri che vanno oltre le frasi fatte. Il portiere biancazzurro nel pomeriggio di venerdì ha preso parte alla tavola rotonda organizzata a Casa Romei dalla neonata associazione culturale “Umanità“, che ha fatto da preludio all’inaugurazione dell’omonima mostra degli artisti Mustafa Sabbagh e Sislej Xhafa. Il tema: le migrazioni e l’accoglienza. Materia spinosa e divisiva, che è stata affrontata da più punti di vista con gli interventi di Paolo Magri (vice presidente e direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), monsignor Massimo Manservigi (vicario generale della diocesi di Ferrara-Comacchio) e appunto Alfred Gomis.
Nel suo intervento il portiere spallino ha raccontato la sua storia familiare: “Il grosso del lavoro di integrazione l’ha fatto mio padre. E’ stato stato lui a partire dal Senegal nel 1989 e come accade in molti casi ancora oggi, il suo pensiero non era quello di rimanere in Italia, perché suo fratello viveva in Francia. Arrivò a Napoli con l’idea di fare un provino, perché al tempo anche lui giocava a calcio e faceva il portiere. Le cose però non andarono come sperava, così rimase per un po’ a Napoli. Un giorno, mentre era in un bar, sentì parlare di questo posto che si chiamava Cuneo. Prese la mappa e si accorse che era vicino alla Francia, così si spostò là. Mi raccontava (Charles Gomis è mancato nel marzo del 2016, a 51 anni) che appena arrivato a Cuneo lo guardavano come un extraterrestre, perché in quella cittadina non c’erano persone di colore. Anzi, ce n’era solo una. Così papà creò una specie di fratellanza con questo sconosciuto e dopo un po’ di tempo trovò lavoro. Una volta ottenuto il permesso di soggiorno fece arrivare il resto della famiglia a Cuneo direttamente dal Senegal: la mamma, mio fratello Lys e me. Papà era un tipo veramente determinato e testardo, se si metteva in testa una cosa la faceva ad ogni costo. Per farvi capire: lui partì a marzo del 1989, ma solo a ottobre la famiglia a casa ebbe sue notizie. In quell’arco di tempo nessuno sapeva che fine avesse fatto, anche perché a casa tutti erano contrari a vederlo andar via per un provino con una squadra. Studiava all’università e i suoi genitori avrebbero voluto che finisse gli studi e iniziasse a lavorare in Senegal. Le cose sono andate diversamente. Io e mio fratello siamo cresciuti in una casa molto piccola, già in due ci si stava stretti. Però tutto è andato per il meglio, papà ci ha spianato la strada in ogni senso. D’altra parte di lavoro faceva l’asfaltatore… (sorride e si ferma un momento). Si è spaccato la schiena per la famiglia e ci ha trasmesso la passione per il calcio, alla domenica guardavamo sempre le partite con lui. Il mio percorso è iniziato come quello di tanti altri: a cinque anni sono entrato nelle giovanili del Cuneo, a otto sono passato al Torino facendo tutta la trafila. Poi ho iniziato a girare un po’ l’Italia, andando anche al sud. Fare esperienza al sud mi ha fatto capire che in questo paese c’è ancora tanto lavoro da fare per l’integrazione, visto che ci si deve preoccupare anche delle regole sulla discriminazione territoriale. Figuriamoci allora con gli stranieri. Ora a Ferrara mi trovo bene, ho trovato persone cortesi e disponibili. Penso di aver trovato un posto in cui posso sentirmi a casa e vivere con tranquillità la mia vita quotidiana”.