A meno di volersi raccontare una bella storia di San Valentino, comunque vada a Napoli e comunque vada a finire la stagione, la straordinaria storia tra Leonardo Semplici e la SPAL è ai titoli di coda. Nella migliore delle ipotesi compromessa, e quindi destinata a continuare (se sarà) sulla base di un legame meramente contrattuale. Non che in questo ci sia qualcosa di strano per gli standard del calcio a questi livelli, ma la situazione che si è creata nell’ultimo mese ha intaccato un po’ quell’immagine romantica di realtà felice e amichevole che la SPAL aveva costruito assieme al suo allenatore fin dal momento del suo arrivo. Grazie ai risultati, ma anche esprimendo valori sempre più rari nel pallone nostrano.
Da ormai un mese a questa parte Semplici ha visto crescere i dubbi nei suoi confronti. Dal post-partita di Udine in poi è diventato un allenatore in discussione (agli occhi del pubblico, dei media e – cosa più preoccupante – della stessa squadra), mentre per la SPAL è iniziato un tormentato percorso di ricerca di un potenziale sostituto che si è rivelato essere (inaspettatamente) pieno di buche. Lo spettro dei sostituti (veri o presunti) ha continuato a incombere sul mister, logorando inevitabilmente un rapporto consolidato, a tratti idilliaco, che avrebbe richiesto di essere rivitalizzato in nome dell’unità di intenti verso l’obiettivo della salvezza. Ma evidentemente le perplessità hanno iniziato a tormentare i vertici societari, soprattutto in merito alla capacità di Semplici di ottenere il massimo dalla squadra sotto il profilo della concentrazione e della motivazione. Perché l’idea di gioco c’è, ma sembrano mancare gli “occhi spiritati”, per citare direttamente le parole di Mattioli.
Intendiamoci: una proprietà e una dirigenza hanno tutto il diritto di valutare la posizione di un allenatore nel caso non lo ritengano più adeguato al raggiungimento dei propri obiettivi. Al netto anche dell’affetto e della riconoscenza. Ma tenere un uomo come Semplici sulla graticola per tutto questo tempo non è sembrato conveniente per nessuna delle due parti. Per cui, a meno di voler fare della gratitudine all’attuale dirigenza un culto religioso, non è un eresia avanzare qualche perplessità sulla gestione dell’ultimo mese. Che probabilmente non ha tenuto conto di tre fattori: l’effettiva appetibilità del progetto tecnico nel suo insieme (altrimenti non sarebbero arrivati dei “no”), la conseguente penuria di alternative valide al mister e l’impossibilità di mantenere una riservatezza ferrea su quanto avviene negli uffici di via Copparo. Nel calcio iper-mediale fatto di tweet e messaggi via Whatsapp, tenere le informazioni in un compartimento stagno è impresa degna dei servizi segreti. Uno spiffero di una SPAL in serie C fatica a uscire dalla provincia, ma se si tratta di serie A i media nazionali impiegano un attimo a riprendere e ricamare, senza le accortezze del caso.
Un misto di incertezza, intempestività e sottovalutazione di alcuni rischi ha messo in imbarazzo l’intero ambiente, creando la solita polarizzazione dell’opinione pubblica: chi sta con la società, chi sta con Semplici. In modo superficiale, si ignora che i due per tanto tempo sono stati una cosa sola e che ancora oggi hanno gli stessi obiettivi. Tenere la SPAL in serie A. Resta da capire come la pensino i giocatori, che in una situazione del genere hanno interessi relativi e vedono l’autorità dell’allenatore sostanzialmente minata su base settimanale. La SPAL, intesa come dirigenza, ha chiesto loro di mostrare personalità e determinazione. Di fatto un atto di fede per salvare la panchina, delegando il compito ai giocatori. Non dovesse vedersi questa svolta, Semplici sarà rimpiazzato con la speranza che un approccio caratteriale più sferzante in panchina possa rappresentare la soluzione alle difficoltà che la classifica presenta. Salutando amaramente, come forse non avrebbe mai voluto, come forse non avrebbero mai voluto nemmeno tutti quelli che in questi anni l’hanno ammirato e applaudito con convinzione.