Con la scomparsa di Folco Quilici se n’è andato un altro ferrarese illustre che lontano dalla città estense ha raccolto consensi, prestigio e ammirazione. Il noto documentarista, scrittore e divulgatore scientifico apparve anche sulle pagine dell’ultima versione cartacea de “Lo Spallino”, al tempo diretto da Enrico Testa. Nel 2010 Nicola “Delez” Deleonardis fece una breve chiacchierata con lui per parlare soprattutto del suo legame con Ferrara e dei suoi ricordi. La riproponiamo di seguito.
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Folco Quilici nasce a Ferrara nell’aprile del 1930. Per elencare le sue opere (ed i premi ricevuti) sarebbe necessaria l’intera edizione de “Lo Spallino”. Ricordiamo “solo” che nel 2006 la rivista Forbes ha segnalato la sua firma fra le duecento più importanti a livello mondiale.
Signor Quilici, Ferrara non la vede da tanto? Cosa porta con sé di Ferrara nei suoi viaggi?
“No, a Ferrara vengo spesso, diverse volte all’anno. Non porto via nulla da Ferrara, alla città sono molto legato sentimentalmente e la porto dentro. Ah, no. Una cosa porto con me a Roma (dove vive da anni N.d.A.) ogni volta che vengo: il pane!”.
Ferrara è per definizione una città tranquilla, forse anche troppo. È per questo che non l’attrae tornarci a vivere?
“Ma a Ferrara ci sono nato! Me ne andai perché la mia casa in viale Cavour (era, con la vecchia numerazione al civico 40, quasi davanti al Castello Estense N.d.A.) fu bombardata e distrutta. Ora la mia vita è altrove, da tempo. Ma a Ferrara ci torno sempre volentieri e le assicuro, Ferrara nel tempo è sempre più migliorata, a livello nazionale è fra le città che più sono cresciute positivamente nel tempo”.
Ferrara e il Po sono elementi indissolubili. L’acqua è l’elemento principe del territorio. Trova che quest’aspetto sia stato sottovalutato, dal punto di vista artistico o economico? Penso, per esempio al progetto di rendere navigabile il Po. Avrebbe qualche idea in merito?
“Ferrara ed il suo territorio hanno un grande patrimonio che sono le Valli. Il Parco del Delta del Po è un valore enorme, sia in termini ambientali che economici, da sfruttare. Poi se si vuole rendere navigabile il Po, non è un problema. Neanche sotto l’aspetto dell’impatto ambientale. Cosa vuole che sia un barcone in più, con tutto quello che viene riversato nelle sue acque? Può essere una variante piacevole per il turismo: ricordo mia madre che adorava navigare lungo le sponde per dipingerne i paesaggi”.
La SPAL è sinonimo di Ferrara. Lei era o è tifoso?
“No, non sono mai stato tifoso anche se tutte le persone che mi circondavano lo erano. L’unica volta che sono andato allo stadio, a Ferrara, fu nell’estate del 1945, proprio al termine della guerra, e non giocava nemmeno la SPAL. Ci fu una partita amichevole, per così dire, fra alcuni studenti di Ferrara, che scrivevano in un giornale che si chiamava U245, molto critico con la giunta comunista che governava in città, contro altri studenti ovviamente di sponda politica opposta. I presupposti erano di natura goliardica: infatti i primi si presentarono in campo con un cappuccio (infatti le “firme” sul giornale U245 erano il boia, l’aiuto del boia, il figlio del boia, ecc.) mentre gli altri erano vestiti da calciatori. Solo che questi (gli “incappucciati”) incominciarono a segnare gol a raffica, lasciando di stucco avversari e pubblico. Finché ad un certo punto, dagli spalti, uno si accorse (probabilmente riconoscendolo dalle gambe), che uno degli ‘incappucciati’ era un calciatore professionista. Come poi lo erano tutti: la squadra degli U245 era composta da veri calciatori assoldati per l’occasione! E da lì nacque una rissa colossale, con lancio di panche e sedie. Alla quale ovviamente pure io partecipai… Poi scattarono denunce varie, ma io partii per Roma e non ne seppi più nulla. Però fu divertente, la mia unica apparizione allo stadio”.