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Per Eros Schiavon non è ancora il momento di pensare a cosa fare da grande. Il suo contratto con la SPAL è scaduto lo scorso 30 giugno, ma di smettere – a 35 anni già compiuti – non se ne parla proprio: “Perché dovrei? Io ho ancora voglia di giocare, sono carico e già pronto a ricominciare. Sento dentro di me la voglia di correre, combattere, fare dei contrasti, tirare in porta. Ora aspetto di vedere cosa succede, non importa la distanza: se arriva una squadra con un progetto serio, io ci sono, anche se si tratta di finire lontano da casa“.

Casa, ossia Ferrara: perché è vero che la carta d’identità dice “Piove di Sacco, provincia di Padova”, ma ormai qui Eros ha trovato la sua dimensione. “Mi sono attaccato subito a questa città e alla sua gente, è stata un’esperienza incredibile. Alla fine l’identificazione è stata talmente forte che ho anche sposato una ferrarese (ride)”. Schiavon non si è fermato lì: perché da buon ferrarese passa anche le vacanze ai lidi ferraresi, più precisamente al Lido di Spina, tra giochi in spiaggia con Maria Vittoria – la sua bambina – e qualche occasionale battuta di pesca in acqua dolce: “Sì ma niente di impegnativo, il grosso dell’attrezzatura l’ho lasciato a Ferrara“.

Ripercorrere sei stagioni e mezza è dura, facciamo che ci concentriamo sulle cose essenziali?
“(Ride) In effetti rischiamo di star qua un bel po’. Probabilmente c’è materiale per un libro“.

Partiamo dalle cose terra terra: com’è finita con la SPAL?
Serenamente, senza rimpianti né polemiche. Un giorno mi ha chiamato il direttore (Vagnati, ndr) per dirmi che non rientravo più nei piani e che mi ringraziava per tutto quello che ho fatto. Niente di più e niente di meno, ora guardo avanti alla prossima avventura“.

Hai già qualcosa in ballo? 
Sto valutando, c’è ancora tempo per capire bene quali proposte potrebbero arrivare“.

Insomma fai la vita del disoccupato.
Per adesso è una bella vita. Mi godo un po’ di riposo con la mia famiglia e gli amici. Ma ho già voglia di riprendere, infatti ogni sera mi faccio una bella corsa sulla sabbia per mantenermi in forma, perché altrimenti ricominciare è dura“.

A 35 anni si può ancora avere la forza di ricominciare con la vita del calciatore professionista?
E’ una questione soggettiva. Io ho ancora voglia di fare questa vita: gli allenamenti, la vita di spogliatoio, le partite e tutto quello che c’è intorno. Sento proprio di avere tanto da dare, non solo a livello di entusiasmo“.

La SPAL per te tornerà a essere una squadra per la quale fare il tifo.
Indubbiamente, lo era già quando sono andato a Cittadella ed Avellino. Quei primi quattro anni sono stati fondamentali per legarmi alla squadra e alla città, al di là delle vicissitudini“.

Allo stato attuale tu e Lazzari siete gli unici giocatori della storia della SPAL ad aver giocato con la stessa maglia nelle quattro categorie professionistiche. Un bel record.
Eh sì, penso e spero sia irripetibile perché vorrebbe dire che la SPAL rimarrà a lungo dove si trova ora. Come me, Manuel ormai si sente a casa ed è stra-legato alla tifoseria“.

Avresti mai messo un euro sull’idea non solo di rivedere la SPAL in serie A, ma addirittura di giocarci?
Ti dico la verità, quando sono tornato (gennaio 2016, ndr) avevo già capito che c’erano delle potenzialità. I programmi della società erano chiari, anche se nessuno s’aspettava che si potesse arrivare in serie A così presto. La verità è che questi due anni sono passati incredibilmente veloci, perché li abbiamo passati sempre col sorriso. Ci siamo divertiti, sia in C sia in B. All’inizio della stagione di B si parlava solo di salvezza, ma abbiamo visto subito che c’era un gruppo di un certo tipo, in cui tutti si mettevano a disposizione degli altri e andavano in campo tranquilli, con determinazione e coraggio. Ci dicevamo di pensare di partita in partita, senza pressioni. Ha funzionato alla perfezione perché il gruppo era veramente forte“.

Non è così scontato però: con l’Avellino c’eri solo andato vicino, probabilmente con una squadra anche più valida sotto il profilo tecnico.
E’ vero, quell’anno (2015) perdemmo la semifinale playoff col Bologna. Avevamo una squadra forte e un gran bel gruppo, ma d’altra parte serve anche la fortuna: se Castaldo non avesse preso la traversa in pieno recupero probabilmente la storia sarebbe cambiata“.

Alla SPAL sei arrivato la prima volta da ragazzo, la seconda da uomo maturo.
Sì, la prima volta (2006) avevo ventidue, ventitré anni. Pochissima esperienza, però ci ho messo poco a capire dov’ero e ad innamorarmi dell’ambiente. Sia con Tomasi sia con Butelli si è cercato di vincere dei campionati, le squadre erano buone: c’erano giocatori esperti e giovani promettenti. Le cose poi non sono andate secondo i piani“.

Eri anche un giocatore diverso per caratteristiche tecniche.
Sì, diciamo che nascevo mezz’ala da inserimento, anche se dipendeva spesso dal modulo. Mi è capitato anche di giocare da mediano. Figurati, adesso sono addirittura passato a fare l’esterno (ride)”.

Con risultati alterni: a Torino te la sei vista brutta.
“(Ride) Ah lì mi hanno fatto correre per bene. Quando Mazzarri ha messo su Berenguer ho detto ‘Va ben tutto quanto, ma qui adesso si esagera’. Andava via al doppio, lui che era bello fresco e con dieci anni in meno di me. Purtroppo ero stato ammonito, altrimenti gli avrei dato una bella razzolata“.

Nel caso ci poteva pensare Everton, anche lui non scherza quando è ora di entrare.
Lui va e chi c’è c’è (sogghigna)… non guarda in faccia a nessuno. Per fortuna in allenamento si tiene, ma in partita dà tutto. Ha fatto vedere di poter tornare molto utile“.

Anche se la gente lo ricorda perlopiù per l’entrata che ha sollevato Barzagli da terra.
Ti dico che lì l’avrei fatto anch’io: c’era Lazzari infortunato e loro continuavano a giocare solo perché eravamo 0-0“.

Restiamo in tema Juve: allo Stadium hai fatto nientemeno che l’esordio da titolare da serie A, dopo un paio di spezzoni con Udinese e Milan. Come hai vissuto quel momento?
Già in settimana avevo visto la situazione dei centrocampisti e mi sono detto ‘Vuoi vedere che adesso tocca a me?’. Ho fatto l’allenamento del martedì con i titolari, poi Semplici mi ha detto che avrei giocato. Alla sera ho fatto fatica a prendere sonno. Poi al di là della sconfitta abbiamo comunque fatto una buona partita, solo che di fronte avevamo di fronte dei fenomeni“.

A Milano invece ti sei preso un cartellino giallo.
Pensa che da piccolo tenevo per il Milan, quindi giocare lì è stata una sensazione strana. Mi sono tolto la soddisfazione di fare un’entrata anche lì, infatti mi hanno anche ammonito“.

Invece a Napoli non hai fatto alcuna entrata: eri infortunato, ma hai voluto lo stesso andare in trasferta con la squadra.
Sì, ho voluto esserci a ogni costo. Era un brutto momento, ma volevo dare il mio apporto in qualche modo. Anche solo stare in mezzo ai ragazzi e dire ‘Dai, facciamo una bella partita’. Sono piccole cose, ma fanno piacere e contribuiscono a creare un clima positivo e di grande unità. In campionato è come essere in battaglia: se feriscono il mio compagno devo andare avanti io e cercare di proteggerlo. Avrei voluto rifare la stessa a cosa per Crotone, ma c’era il volo charter e non avevano posto (ride)”.

Tra gennaio e febbraio avete passato davvero dei brutti momenti e il mister ha rischiato il posto. Come ne siete usciti?
Faccio una premessa: io ho sempre creduto tanto in Semplici e ho sperato rimanesse anche nel momento più complicato. Le difficoltà c’erano, ma avevamo un sistema di gioco consolidato e c’era solo bisogno di compattarsi come gruppo. Lo abbiamo fatto nell’unico modo che poteva dare dei risultati: stando insieme, facendo delle cene. Questo ci ha permesso di unirci di più e rimetterci in carreggiata. Cambiare mister a quel punto sarebbe stato tragico: con un allenatore nuovo sarebbero servite due o tre settimane per assimilare tutti i concetti nuovi e davanti avevamo delle partite che non potevamo sbagliare assolutamente“.

Se n’era parlato anche un anno fa con Castagnetti: in serie A fare gruppo è tutt’altro che facile, visto che qualche giocatore finisce con l’interpretare il suo lavoro come quello di un impiegato. Passa le sue N ore al campo, poi se ne va, senza magari condividere altri momenti con i suoi colleghi.
Quello che ti ha detto Casta è giusto, ma in uno sport di squadra il legame tra le persone è fondamentale. Bisogna parlarsi, conoscersi, condividere qualcosa. Fare spogliatoio non vuol dire solo andare d’accordo in quel preciso contesto, ma farlo anche fuori. Non siamo delle macchine ed è solo quando esci alla sera o in qualche altra occasione che hai la possibilità di capire l’uomo e il suo carattere. Dentro lo spogliatoio non si parla d’altro che di calcio inteso come quello che c’è da fare o non fare. Fuori invece si possono approfondire tanti altri aspetti della vita personale e quindi legare diversamente“.

Quindi da febbraio qualcosa è cambiato in questo senso.
Penso proprio di sì, abbiamo capito cosa non andava e abbiamo lottato tutti insieme. Si vedeva fin dagli allenamenti. Già a Crotone abbiamo avuto una dimostrazione, ma anche nelle partite successive: col Bologna, con la Juve, con l’Atalanta“.

Ti rode un po’ non aver giocato neanche un derby?
Ma no, non più di tanto. All’andata meritammo di perdere, mentre al ritorno io mi sono incantato a vedere la coreografia della curva. C’era un clima pazzesco e dentro di me mi sentivo che avremmo vinto, perché i tifosi erano veramente carichi. Penso che chiunque abbia giocato quel giorno abbia dato il 120%. Per dire, c’è un altro episodio significativo che si allaccia al discorso precedente…“.

Ovvero?
Il lunedì di norma è giorno di scarico per i titolari e di allenamento leggero per gli altri. In genere quando i titolari finiscono la loro parte tornano dentro. Invece in quel periodo chi non partecipava alla partitina rimaneva lì a fare da spettatore, commentando quello che succedeva. E poi i discorsi proseguivano in spogliatoio, magari per commentare qualche gesto tecnico o prendersi in giro per qualche errore. Ecco, sembrano robe da poco, ma invece hanno un grande valore“.

Adesso viene la parte difficile: confermarsi in serie A dopo l’arrivo di tre neopromosse che sembrano attrezzate.
Che sarebbe stato un altro anno di difficoltà lo sapevamo a prescindere. Sto leggendo le notizie di mercato e mi pare che la società si stia muovendo bene. Mi dispiace che non sia arrivato Grassi: secondo me un altro anno a Ferrara gli avrebbe fatto bene. Penso sia un giocatore molto forte. Ma al di là dei nomi, sarà ancora una volta fondamentale rimanere compatti e seguire il mister, perché lui ha le idee chiare“.

Ai tifosi sembrerà strano sapere che non farai più parte di tutto questo.
Ma no, io comunque la SPAL ce l’ho dentro, rimarrà sempre una parte di me. Ce l’ho messa tutta per onorare la maglia e spero di esserci riuscito. Da adesso farò il tifoso, in attesa di capire dove mi porterà la prossima esperienza“.

Si tratterà solo di tirare su la lenza e vedere cosa ti riserva il futuro.
“(Ride) Sì, una roba del genere. Anzi, fammi una cortesia: passami il numero di Gigi (un comune amico, ndr) che oggi lo chiamo e domani andiamo a pescare insieme“.  Ecco, sempre per quel discorso che è importante stare in compagnia e non parlare solo di calcio: non fa una piega.