L’articolo potrebbe iniziare e finire con un grazie. Cumulativo, avvolgente, caldo come la serata di ieri. Un grazie da parte di una comunità, o meglio una comune di persone innamorate di un sogno che è stato superato dalla realtà. La società, il Comune, lo staff tecnico, gli operai, i capi squadra ed i capi cantiere che hanno realizzato la “Bombonera” di corso Piave. Ma forse è poco, manca una componente essenziale, vitale, un pregresso che ha tenuto in vita un movimento antico ed orgoglioso, un grazie da curva a curva all’Otto Settembre, manipolo di poeti che nel buio del 2013 ha deciso, forse non senza sofferenza, di riunire tutti i gruppi della curva Ovest sotto un’unica bandiera. Citando un amico mio, oggi lo stadio è sicuramente il principale centro di aggregazione giovanile di tutta Ferrara e provincia, un senso comunitario e identitario difficile da trovare in un mondo di persone sole, impaurite e che guardano unicamente alla salvia del proprio giardino. Forse sono stato stranamente prolisso, ma questi ringraziamenti sono un atto dovuto, sincero e pieno di orgoglio, verso un’umanità in controtendenza, in questo mondo marcio. Ed ora veniamo a noi.
L’ansia è qua e lotta con gli ultrà, dalla mattina di lunedì mi ha preso sotto braccio e mi ha accompagnato fino alla coda sotto la pioggia all’entrata del Mazza. Tira, molla, corri, frulla, il primo giorno di scuola coincide con l’esordio casalingo. Arrivo in ufficio già sudato come una nutria e vengo avvolto da alcune di decine di rotture di palle, ma sospiro e penso alle 20,30. Due tramezzini ed una birretta col dottore al bar in angolo, recuperiamo il Mostro e Fede e ci incamminiamo per il breve percorso fino al tempio. La pelle d’oca mi attanaglia già all’imboccatura di Via Paolo V. Coda sotto la pioggia, mi avvolgo nella bandiera. Entriamo dopo una quarantina di minuti, mi controllano il due aste, due volte. Lo steward graduato srotola la bandiera e scuote minacciosamente la testa.
“Qualcosa non va?” chiedo.
“Ma il bar Trentino dove si trova?” mi chiede lui.
“Eh? In che senso?”.
“Sì, in che via è situato?”.
“Guarda che il mio bar è chiuso da quasi vent’anni, non c’è più nemmeno l’insegna”
“Sai perché, è proibita la pubblicità occulta”.
Il mio neurone va in overflow, si inceppa, riprendo l’asta molto più che allibito e innaffio i miei collegamenti celebrali con una birretta al bar piccolo lato scala di accesso alla curva. Attendo i ritardatari, tre gradini sopra la rampa, ho paura ad entrare solo “alla Bombonera”. Manca poco meno di due ore al fischio di inizio e mi sto affacciando al giardino di casa mia. La pelle d’oca di prima è diventata un leggero strato di brina umida, mista ad euforia, ritmata da battiti extra sistolici, che mi fanno andare per traverso la schiuma di luppolo. Non ci capisco più nulla, mi sembra di essere in trasferta, in un bellissimo stadio di serie A. Mi giro intorno stranito e vedo l’anima di quel luogo, respiro i suoi sapori, la nuova plastica non ha cancellato il profumo antico delle torce bruciare e lo zolfo tossico dei fumogeni della fine degli anni Settanta. Cammino in direzione della nostra zona certificata, mi guardo in giro, amici e facce nuove si mescolano in un turbine di umanità e sudore. Siamo di nuovo a casa.
Studiamo la coreo. Rabbrividisco di nuovo. I ragazzi entrano in campo, boato, iniziamo a cantare. Passano i minuti come fossero ore. La storia ci dice che siamo tra i grandi del calcio italiano e si alza da sotto il bandierone. Euforia sotto pelle, schiumiamo sudore come fosse prosecco. Seconda coreografia, 2013-2018, tanti auguri Otto Settembre, tanti auguri a tutti noi, si accendono lampi brillanti ai lati degli occhi di migliaia di persone. Siamo vivi, viva la curva Ovest. L’Atalanta inizia bene, ma poi la Dea cambia casacca e si veste in un elegante completo a strisce strette dei colori del cielo, non siamo più esordienti, siamo consapevoli, lo squadrone stavolta siamo noi. Vedo ragazzi forti e consapevoli, piedi, cervello e anima ci fanno essere superiori ad una delle migliori squadre d’Italia. Finisce il primo tempo 0-0 sbilanciato a nostro favore. Secondo tempo attacchiamo sotto la Ovest, e si vede, cantiamo come gli ossessi, le coperture fanno da cassa armonica. Andreino, uno e due. Bolgia = ciascuna delle dieci fosse in cui era suddiviso l’inferno dantesco. Le nostre urla sembrano in playback, sembra che ognuno di noi gridi con la voce del compagno di gradone, stiamo attenti a non franare, ma franiamo lo stesso.
Tutto lo stadio canta e balla, due curve, grada e tribuna, la Bombonera di corso Piave, ha intimorito la divinità nerazzurra, il cerbiatto esce spavaldo dalla foresta, continuiamo ad abbracciarci, in un sudore frizzantino del settembre più caldo degli ultimi diecimila anni. Tre fischi, è finita. Grazie ragazzi, grazie amici miei, grazie squadra mia per il privilegio che mi dai, di appartenerti, dagli anni Settanta al futuro. Continuiamo a vivere il sogno della nostra realtà. Forza SPAL.