Sommariamente, cosa ci portiamo dietro dal fine settimana di Genoa-SPAL, oltre al risultato? Il riassunto in sei punti.
*Le buone notizie*
IL PRIMO TEMPO / Isoliamo per un momento l’episodio del rigore, togliamolo proprio dal racconto dei primi 45 minuti, anche se è un elemento cruciale. Ne parliamo in seguito. La SPAL dal momento del vantaggio di Petagna all’intervallo ha interpretato la partita col giusto spirito. Ha creato almeno altre due palle gol clamorose senza riuscire a concretizzarle e ha messo alle corde (com’era giusto che fosse) un Genoa stordito dalla prematura espulsione di Criscito. Che i biancazzurri fossero partiti con la paura di perdere è un sospetto più che lecito, ma non ne avremo mai controprova. Ciò che conforta è la corretta interpretazione della situazione e il suo sfruttamento, purtroppo solo parziale. Se solo non fosse stato per quella sciagurata azione che ha portato al penalty (che c’era, va detto) avremmo applaudito convintamente.
GLI EPISODI / Avreste mai detto che la SPAL in questo campionato avrebbe dovuto attendere 15 giornate prima di vedersi fischiare un rigore contro? Eppure è successo. Un anno fa il saldo era -4: un rigore accordato (a Roma, contro la Roma, proprio alla 15^) e cinque fischiati a sfavore. Può essere una coincidenza, ma a guardarci bene non lo è. Alla base ci sono due elementi: un atteggiamento difensivo diverso, meno propenso allo schiacciamento nella propria area di rigore, e un fisiologico consolidamento della SPAL in questa categoria, che la rende evidentemente meno incline a diventare un bersaglio facile. Da neopromossa la SPAL ha dovuto pagare anche questo prezzo, ora l’aria sembra essere decisamente cambiata. Anche il conto degli episodi controversi sembra testimoniare questa tendenza.
LA CLASSIFICA / Il conto dice +5 rispetto alla scorsa stagione, +4 sulla terz’ultima (ossia il Bologna): a dicembre 2017 la terz’ultima era proprio la SPAL in un fondo classifica molto più affollato. Certo, guardare indietro e accontentarsi non è l’atteggiamento ideale, ma la proiezione da qui a fine girone d’andata dice 18-19 punti. Che è un po’ il conto messo in preventivo a casa SPAL per fare un campionato senza i campanelli d’allarme che ad un certo punto sono diventati un’abitudine. Guai a rilassarsi, sia chiaro, però il cammino è compatibile con una squadra che vuole (e ha le potenzialità per) salvarsi. Si poteva navigare in acque più tranquille? Senz’altro. Così come alcuni punti persi gridano vendetta (Cagliari, Empoli, Genoa), ma quelli che devono stringere le natiche in questo momento sono altri.
*Le cattive notizie*
DISCONTINUITA’ e FIDUCIA / L’aspetto maggiormente preoccupante della partita di Marassi (la seconda della settimana) è la discontinuità. Ossia l’impressione che tra primo e secondo tempo la SPAL sia cambiata e abbia giocato con meno certezze. Sicuramente l’aggiustamento tattico operato da Prandelli in avvio di ripresa ha inciso, ma al rientro degli spogliatoi è proprio sembrata mancare quella ferocia necessaria per far male ai rossoblù. Difficile capire cosa abbia causato questo calo d’intensità: il dispendio di energie fisiche non sembra essere una spiegazione plausibile. Forse allora si può parlare di un deficit di fiducia nei propri mezzi. Quella del secondo tempo è stata una SPAL molto scolastica, essenziale, senza guizzi e invenzioni. Evidentemente nessuno si sentiva in grado di poterlo garantire o di volersi prendere un rischio eccessivo. Su questo aspetto servirà il Semplici versione psicologo, per far sì che la squadra impari ad aver ragione anche delle squadre che – per scelta o necessità – si mettono dietro e difendono a oltranza. Era già successo col Frosinone, il problema è riemerso.
LE LACUNE DIFENSIVE /Il reparto è un po’ in sofferenza e comprende anche i laterali, basti vedere l’inspiegabile giocata di Lazzari per l’1-1 del Genoa. La SPAL subisce troppi gol e quando li concede lo fa con una certa facilità. I biancazzurri stanno pagando una coperta corta (Djourou lontano dalla miglior forma, Simic acciaccato, Bonifazi in ritardo di condizione) e una serie di incertezze individuali che iniziano a costare care. Le soluzioni in teoria sono già in casa, ma non è detto che possano funzionare. In altre parole: se non si riesce a recuperare Djourou e Simic a livelli di affidabilità accettabili è possibile che la società debba guardare con attenzione al mercato, magari per tentare di pescare un altro jolly come fu Cionek a gennaio 2018.
NEGATIVITA’/ La vittoria che manca da quasi due mesi sta iniziando ad appesantire il clima attorno alla squadra. I giocatori senz’altro lo avvertono e non è detto che trasformino questa pressione in energia positiva per tentare di far svoltare la situazione. Questo continuo richiamo all’occasione imperdibile – riproposto ciclicamente contro Frosinone, Cagliari ed Empoli – è davvero opportuno alla vigilia della partita contro il Chievo? Banalmente: arrivare a questa partita con aspettative di vittoria certa significa aver capito poco del Chievo della gestione Di Carlo, raggiunto dal Parma (ah, il tanto invidiato Parma) solo grazie ad una prodezza su calcio di punizione. Quella di domenica sarà una battaglia vera e propria e per aver ragione dei gialloblù ci sarà da sudare. L’ennesima dimostrazione del fatto che in serie A non ci si rimane per diritto divino, ma solo mettendo in campo tutto quello che si ha, con la consapevolezza di dover (anche) soffrire. In campo e sugli spalti.