Ultima partita in casa di un fantastico 2018, schiacciata tra un cotechino e una salama, in un tripudio di cappelletti. Le tv come oramai da prassi la fanno da padrone, ma noi, imperterriti, abbandoniamo le famiglie ed i caldi giacigli, per scaldarci l’un l’altro fianco a fianco sui gradoni del Mazza. I miei trigliceridi sono oramai diventati quadrigliceridi, in alcune parti del percorso sanguigno forse, mi si annidano pure dei quintigliceridi. Mi alzo da tavola e sento gli applausi partire pure dal presepe (cit.). Parto da Comacchio: con buona pace della mia famiglia con abbondante anticipo. Mi esce dalla bocca una coda di rospo, che nonostante un ottimo Pinot grigio, non sono riuscito ad annegare. La Super è sempre immutata ed immutabile, due paia di calze, Radio Freccia, libera come noi, due sciarpe, una al polso ed una al collo, cuffia della curva Ovest, cappellino da elfo e caracollo verso Ferrara, anzi verso il tempio. Il tempo passa, ma l’emozione di andare nel mio stadio, a trovare i miei amici ed a tifare per la mia squadra non cala di un micron. Non credo centri l’ottimismo (io non lo sono per natura), credo sia la sete di passione, la dipendenza dalla sghizuiglia (termine intraducibile) che pressappoco ricorda onomatopeicamente il friccicore che si prova durante l’esaltazione, farfalle nelle stomaco alla ferrarese. La SPAL è una fuga dalla realtà che in alcuni momenti della vita mi è stata di grande aiuto nel riuscire a superare i momenti bui e di questo gliene sarò eternamente grato.
Nel barettino all’angolo, oramai battezzato Bar Trentino 2, mi fermo con alcuni amici per scaldarmi con un antico punch al rum, odore e sapore vintage che mi riporta alla memoria quando alcune decine di anni fa, assieme alla morosa, assistetti ad un infuocato quasi derby di hockey fra l’Alleghe ed il Bolzano. Al quarto punch divenni capo degli ultras dell’Alleghe, bestemmiavo in veneto ed insolentivo il capitano degli altoatesini, sporgendomi a tutto busto dalla balaustra. Ma quella è un’altra storia. Via Paolo V, come da prassi millenaria, ci affaccia sulla coda per l’ingresso in curva. Anche la coda ha il suo fascino, si abbracciano amici, ci si racconta mirabolanti avventure, trasferte epiche, gol al millesimo minuto di recupero, appartenenza, legame inscindibile con la tua gente. Valori che vanno ricordati sempre, anche a fine partita. Entriamo nella pancia del curvone, soliti posti, gli altri tre settori sono ancora semi deserti, freddo umido, gente satolla, ma ci siamo. Entrano i portieri, applausi. Poco dopo sulle note dei Metallica entrano i nostri. E qui vorrei fare una formale richiesta alla società: rimettiamo gli AC/DC come colonna sonora dell’ingresso in campo, mi sembrava che portassero meglio. À la guerre comme à la guerre.
La curva canta, balliamo, ci scaldiamo, teniamo alto il ritmo ed i ragazzi spingono, primo tempo sotto la curva. Floccari insegna come si stoppa il pallone a tutta la serie A. L’Udinese difende bene, in tanti dietro la linea del pallone, sbagliamo tutti i calci d’angolo e sprechiamo punizioni a favore. Petagnone colpisce la traversa: i legni stanno cominciando ad ossidarmi i testicoli. Dalla! Tira! Passa! Pressa! Ogni mister presente sugli spalti (circa tredicimila), senza contare quelli collegati alle tv ha il suo suggerimento da dare alla squadra. Lancia lungo, ma chi lancia? E poi chi la prende? Soliti consigli, solite critiche. Io mi arrogo, il diritto di NON critica: posso, oppure devo chiedere l’autorizzazione a qualcuno? A me va bene così, i ragazzi lottano e sudano, ci provano, combattono. Cambia schema, cambia gioco, vogliamo il bel gioco. Sono temi che non mi interessano, il bel gioco lo lascio a Botafogo-Fluminense, io non vado allo stadio per vedere giocare bene. Certo che partite come SPAL-Atalanta andrebbero riviste almeno due volte a settimana, ma in questo momento siamo un po’ ingroppati, potremmo fare meglio, ma anche peggio, vedi le squadre che stanno dietro di noi, abbiamo una media di un punto a partita, forse poco, ma siamo a più quattro sulla zona calda. Il ritorno sarà più difficile, dicono le migliaia di diplomati a Coverciano. Ma ne siamo proprio sicuri? Nel senso, non è che la SPAL gioca meglio in trasferta che in casa, visti i punti fatti e soprattutto, visto il nostro tipo di gioco? Non lo so e neppure voglio saperlo, il futuro non va spoilerato. Va vissuto.
Io mi ricordo (e forse anche il direttore) cosa scrivevo sette o otto anni fa dalle pagine di un forum sulla squadra di allora, gente che insultava la nostra maglia, gente non degna di calpestare l’erba del Mazza, dirigenti da Audax, che si sedevano sulla poltrona del Commendatore. Ma quello era il passato, non troppo lontano. Ora viviamo nel futuro, viviamo oltre il sogno. Sarò smentito o ci azzeccherò? Boh, non è questo il punto. Anzi teniamoci stretto il punto, ed andiamo (io no, è risaputo che sono un trasfertista di merda), a chiudere il cerchio con la storia, a San Siro, vendichiamo Oriano, cancelliamo Novellino e salutiamo questo fantastico 2018, con la speranza che il 2019 sia altrettanto onirico. Buon anno e grazie SPAL, per ciò che rappresenti, per tutti noi.