Fa l’allenatore professionista da 15 anni.
Ha frequentato i corsi e i master (a numero chiuso) di Coverciano.
Conosce l’ambiente e le caratteristiche precise dei giocatori che ha a disposizione.
Vede i suoi giocatori in allenamento per 6 giorni su 7, anche più di una volta al giorno.
Ha la possibilità di consultare dati prestazionali rilevati in allenamento e in partita.
Ha la possibilità di ricevere opinioni e consigli da uno staff tecnico che è pagato espressamente per fare questo.
Ha la possibilità di confrontarsi con uno staff medico che può fornire un quadro chiaro della condizione fisica dei giocatori.
Ha la possibilità di valutare quali giocatori sono nelle migliori condizioni psicologiche, soppesando anche gli aspetti extra-calcistici della loro vita.
Ha la possibilità di rivedere la partita assieme ai giocatori e allo staff per analizzare gli errori e apportare dei correttivi.
Ha accesso a ore e ore di filmati per predisporre la migliore strategia possibile in relazione degli avversari.
Eppure Leonardo Semplici si ritrova a leggere di gente che lo accusa di aver sbagliato la formazione dopo una partita persa con un gol di scarto. Peraltro dopo tre vittorie consecutive. Come se la gestione di una squadra di serie A fosse un videogioco in cui i valori sono assoluti e le variabili – di ogni tipo – non contano.
Per carità, a tutti è garantita la libertà di opinione e non se ne fa una questione di lesa maestà: il mister è il primo a fregarsene e ad andare per la sua strada. Ma in presenza dei presupposti elencati sopra magari sarebbe consigliabile avere più rispetto e soprattutto equilibrio nei giudizi. Altrimenti vale davvero tutto in un dibattito pubblico sempre più povero di contenuti e quindi deprimente. Semplici è fallibile come ogni altro essere umano, come ogni altro professionista, come qualunque allenatore in qualunque categoria. Ma i risultati al momento parlano in maniera più che eloquente per lui: SPAL virtualmente salva per 31 giornate su 31, avviata sulla giusta carreggiata per rimanerci fino alla 38^. Davvero, di cosa stiamo parlando esattamente?
La critica alla formazione di per sé non sta in piedi, perché è l’equivalente della critica ad un artista per l’uso di una tonalità di colore al posto di un’altra. O la critica per la collocazione di una precisa nota sul pentagramma al posto di un’altra. Ci devono essere conoscenza, cognizione di causa, visione d’insieme. Se mancano, diventa inutile chiacchiericcio fine a se stesso. Non ne sentiamo forse a sufficienza in altri ambiti, di questi tempi?