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In un momento nel quale si parla di nuovo di curve e di ultras per motivi lontani dalla loro ragion d’essere, ospitiamo volentieri un intervento di Daniele Vecchi, giornalista (ma non solo) che da anni gira in lungo e largo l’Italia calcistica (e non solo) per lavoro, sempre con i colori biancazzurri nel cuore.

La Curva Ovest: mentalità, casa e approccio alla vita. Luogo per famiglie, adrenalina e romanticismo. Ci sono decine e decine di famiglie in Curva: famiglie con bambini, adolescenti, mamme e papà felici. Ci sono centinaia di romantici in Ovest: gente, la mia gente, che sogna ad occhi aperti ogni volta che esce di casa e va verso lo stadio. In Curva Ovest vi sono famiglie con mentalità, famiglie che non si assoggettano al plastificato prodotto calcio del terzo millennio, famiglie che vivono la passione e l’amore per una squadra per una città per una civiltà in maniera totalmente spontanea e aggregativa, una passione VERA e non indotta e indottrinata da Kiss Cam, da spot magnificenti, o da roboanti impianti di amplificazione. Non ho bisogno della Kiss Cam per baciare il mio amore, mia figlia o per abbracciare i miei amici e fratelli. Non ho bisogno di nulla e non ho paura di nulla se sono tra la mia gente. Sono un ultras semplice. Sono uno dei tanti. Uno di una delle tante generazioni che si sono alternate e si alterneranno in Curva. “Quelli che bastano” dice il due aste: parole sante. Sono uno dei tanti, con la mia sciarpa, con la mia bandiera. Canto, sempre.

Mai smesso di cantare, anche quest’anno sotto 0-3 con il Frosinone, mentre i triboloni mai cuntent mugugnavano, con il Foggia che recupera tre gol nel 1981 e Musiello che esulta sbeffeggiando la Ovest, a Sesto San Giovanni in quattro in Coppa Italia sotto la neve nel 1995, o a Lecce nel 1993 dove volarono due torce in campo al pareggio di Nappi. Sono uno dei tanti, il mio supporto prescinde dal risultato, la mia passione esplode assieme alla mia gente in Curva Ovest e in giro per l’Italia, non c’è soluzione di continuità e non c’è spiegazione razionale. I proclami dei media generalisti negli ultimi trent’anni hanno sempre ripetuto il vuoto mantra “riportiamo le famiglie allo stadio“. Ebbene cari media, arrivate tardi, arrivate lunghi, e soprattutto il vostro dozzinale qualunquismo su questo argomento vi trova ancora una volta impreparati e poco ferrati. Le famiglie le vedo in Curva Ovest, famiglie felici, motivate, sorridenti e soprattutto non lobotomizzate dal bombardamento mediatico del selfie automatico e della autorappresentazione ad un evento. La partita della SPAL non è un evento. E’ un rituale. E’ un’esperienza di vita. E’ vita totale.

E’ fratellanza, aggregazione, tristezza, felicità, sconforto, entusiasmo, tonsille, batticuore, lacrime, gola bruciata, ricchezza umana e libertà. Sempre stato e sempre sarà, in 50 o in 5000, sia che vinca sia che perda. Se poi per una volta in 50 anni si ha la fortuna di avere una gestione societaria seria, solida e consapevole, e si ha la fortuna l’ingegno e il talento di trasformare uno stadio quasi in disarmo in un diamante di prima grandezza, di tramutarlo in un autentico gioiello che rende omaggio e fa ulteriormente risplendere la Curva Ovest come il cuore pulsante di un meraviglioso old fashioned english style stadium, allora tutto si aggiusta, e le delusioni degli ultimi 10-20-30-40 anni si attenuano e si sopiscono un po’. “Vincere da noi è diverso“. “Nessuno potrà mai provare quello che proviamo noi quando vinciamo“. “Il nostro derby non è come gli altri“, “Ma cosa ne sapete voi…“. Quante volte negli anni si è sentita questa boriosa autoreferenzialità e autocelebrazione da parte di questa o quella tifoseria o da parte di questo o quel club? Decine di volte. Tifosi e città che si autoelevano senza apparente motivo a culla della passione sportiva, nel nome di chissà quale presunto maggiore calore umano o fantomatica marcia in più passionale. Bullshit, dicono gli inglesi. Tradotto: stronzate. Boria autoincensante.

Umiltà e mentalità, senza guardare agli altri, senza fare a gara a chi mangia più hamburger, basarsi sulle proprie forze, essere sempre sé stessi, far di necessità virtù nei momenti di difficoltà, e anteporre sempre le esigenze della Curva a quelle dei singoli, e talvolta anche a quelle della squadra e della società. Questa dovrebbe essere sempre la attitudine di una Curva e di una Tifoseria. Il mondo ultras, cavia per sperimentazioni sociali di repressione, è in trasformazione ormai da parecchi anni, da quando la stretta della repressione e della schedatura sistematica si è fatta asfissiante e sistematica, dentro e fuori dal campo. Tutto pare essere studiato a tavolino per togliere, scoraggiare, imbrigliare e fisicamente cancellare gli ultras dallo stadio. Non è vittimismo o mania di persecuzione, il disegno per annientare il movimento e regalare posti preziosi all'”Evento”, è chiaro, è tutto lì da vedere. A questo si aggiungono in giro per l’Italia i gruppi ultras “affaristi“, che hanno fatto della propria curva un luogo a scopo di lucro, e si aggiungono anche i famigerati “ultras da tastiera“, quelli che certi della impunità non possono esimersi dal vomitare ingiurie offese e minacce dalla propria comodo e soprattutto anonimo IP, evitando di prendersi le proprie responsabilità. In questo momento storico non proprio florido e tranquillo per chi vive la propria passione sportiva da ultras, vi sono dei miracoli. Miracoli guidati da spontaneismo amicizia e aggregazione, voglia di stare insieme e determinazione, ostentazione dei propri colori e del proprio stile di vita nonostante tutto e in faccia a tutto e tutti. Ragazze, ragazzi, madri, padri, figli e figlie, orgogliosi di ciò che rappresentano, che si ritrovano, fanno sacrifici, investono tempo ingegno e denaro, passano ore e giorni e settimane a preparare, a pianificare, a organizzare tifo, trasferte, coreografie, riunioni, solidarietà, beneficenza (senza sbandierarla e senza farsene un vanto per mera autocelebrazione). Senza alcun tornaconto personale.

La voglia di stare insieme, di condividere passione e stile di vita con altre persone, di qualsiasi tipo, di qualsiasi estrazione sociale e di qualsiasi fede politica, è il motore della aggregazione in Curva Ovest. E i risultati si vedono. Da ovunque in Italia e nel mondo arrivano sinceri ed entusiastici complimenti alla Curva Ovest, si guarda al settore su via Ortigara come a una specie di miracolo, un dodicesimo uomo che si fa sentire in campo e fuori, in ogni stadio dove gioca la SPAL. Romantic old fashioned football in Ferrara. S.P.A.L. Società polisportiva Ars et Labor. Curva Ovest. 8 Settembre.
Cuore e Anima della SPAL. Calcio di altri tempi, tifo di altri tempi, stadio di altri tempi, società e gestione di altri tempi.
La globalizzazione e la spersonalizzazione imposte dalle necessità affaristiche del calcio moderno che ormai hanno piegato moltissime piazze e mentalità, sembra non avere ancora trovato terreno fertile a Ferrara, nella piccola cittadina di provincia fiera della propria storia, dei propri colori, dei propri pregi e dei propri difetti, e anche del proprio recente passato non propriamente glorioso, ma sempre utile per ricordare ai triboloni mai cuntent da dove siamo venuti e cosa abbiamo passato, prima di battere la Juventus. Vorrei che fosse per sempre con Te.

Daniele Vecchi è uno scrittore e giornalista, ma anche commentatore in lingua inglese per Rai Sport ed Eurosport e producer televisivo per Lega Calcio Serie A Tim. Da sempre ha la SPAL e la Curva Ovest nel cuore.