Ho perso le parole, come quella canzone di quel cantautore che non mi piace per niente. Non so se sia giusto scrivere se non si ha nulla di intelligente da dire, forse sbaglio, forse non dovrei. Non sono un fine analista, tanto meno un giornalista, non faccio parte della schiera di allenatori e proto-allenatori, di dirigenti coi soldi degli altri, non sono neppure un nonostante tutto. E allora chi sono?
Sono tifoso, sono partigiano, parteggio e ricordo. Ricordo soprattutto, ho ancora buona la memoria lontana, magari aggiungo un po’ nei particolari, come dice mio cugino, e quindi faccio paragoni. L’ho sempre detto e ora lo ribadisco ancora più forte: non è importante il risultato, ma la lotta, la voglia, la grinta, per intenderci quella che ci mette la parte bassa della curva. Forse è impossibile pretendere tanto. L’impegno da parte della squadra non è mai mancato, il mister raschia sul fondo del barile per dare un’opportunità a tutti. Ma questi siamo. Lo sa pure la società, anche se spesso si maschera dietro a dichiarazioni di circostanza. I fischi? Non mi sono piaciuti, io sono uscito due minuti dopo il triplice fischio, ma li ho sentiti, Il pubblico pagante non apprezza, sfoga la propria rabbia sulla stecca dell’orchestra e sui due toni sotto dei tenori. Ma non siamo a teatro. Tanti non sono lì per vedere la partita: sono lì per fare la partita, per essere della partita, per incidere sulla partita, e poi alla fine, della partita non ce ne frega quasi un cazzo.
Intendiamoci, io sono illuminista, sono per il diritto di critica, sono per il dissenso, ma sono pure con quei ragazzi che dopo la richiesta di far prendere aria agli attributi, hanno incitato la squadra. Non si può abbassare la serranda così presto, questo vale per i tifosi, per la dirigenza, per lo staff e per la squadra. Neppure bisogna nascondersi dietro a un dito. L’impegno e basta può non essere sufficiente. La grinta, che non c’è, può condurci ugualmente a giocare di sabato, ma non c’è sconfitta nel cuore di chi lotta (cit.). Ieri non abbiamo bruciato l’erba, non abbiamo azzannato i garretti, non abbiamo sgomitato contro tutto e tutti, qualcuno più di altri, ma non è sufficiente. Colpa del mister, gridano i mister. Ma quale colpa? La grinta è una caratteristica personale, prima d’essere uno schema di gioco. Lo so che andrò incontro alle critiche di chi mi ritiene l’avvocato difensore di qualcuno. Intanto io sono metalmeccanico e non avvocato, ho il diritto dissentire dai luoghi comuni, esprimo pareri e non giudizi, e soprattutto non do sentenze tecniche, non ne sono in grado. Il fatto di avere giocato a calcio, come quasi tutti, non fa di noi dei tecnici: io per primo non ci capisco un piffero di schemi, numeri e sovrapposizioni. Prendiamo atto, applaudiamo o fischiamo senza investirci ad honorem di titoli che non ci appartengono.
E quindi, caro il mio saputello (parlo da solo), che si fa? Ognuno il suo, l’abbonamento o il biglietto non sono badge di accesso alla Montedison. Andare alla SPAL non è un obbligo, non è un dovere: è una gioia, è una passione. Non si salgono i gradoni della curva da sconfitti, non si entra nel tunnel di accesso al campo con la paura. Paura di cosa? Della retrocessione? Della squadra avversaria? Non diciamo cazzate, vestire quelle strisce o sventolare quelle sciarpe è un onore, è un sogno che non svanirà neppure in primavera, è un sogno che dura da tutta la vita. Come fate a non capirlo?
Cosa urlate la vostra rabbia per una partita, non è una partita, non è sport, è troppo altro. Si ritorna alla memoria, al passato, a Gibo che sgomita in area, ai nostri idoli di bambini. Ragazzi miei, e parlo a quelli della mia età, i nostri idoli ruggivano in serie C e B, ora noi siamo in questa cazzo di serie A, e lo saremo almeno fino a maggio.
Poi, quel c’ha da gnir, nisun al sl’arcorda (Alfio Finetti).
Cerchiamo di essere felici per ciò che abbiamo, cerchiamo di trasmettere la carica, la grinta e la felicità di essere spallini ai ragazzi che indossano i pantaloni corti. A noi è già capitato di applaudire dopo mille sconfitte, ma non faremo nessun passo indietro, nemmeno per prendere la rincorsa (cit.). Forza vecchio cuore biancoazzurro.