L’8 dicembre 2014 tutti noi eravamo diversi. La nostra storia, anche personale, era diversa. I ricordi, gli attimi, le immagini e le fotografie impresse nel nostro essere tifosi viscerali, magari non tutti, avevano dei limiti. La serie A si perdeva nei fumi dei racconti degli anziani, immagini sbiadite di un mondo a noi sconosciuto e manco tanto ricercato. Mister, alla tua prima partita fu subito contestazione: una sconfitta interna con la Carrarese, squadra senz’anima, figlia di una campagna acquisti inadeguata, un dodicesimo insulsissimo posto in Lega Pro. La solita, stanca, arrancante e sofferente S.P.A.L. della mia generazione. Quante valanghe di campionati abbiamo visto da comprimari, da terra di conquista per compagni di paeselli inesistenti, quanti tacchetti hanno calpestato il Mazza senza averne rispetto. Ma noi eravamo lì. A ricordarci di Caciagli, di Galeone, di GB Fabbri, financo di De Biasi.
Poi è cambiata la storia, noi siamo diventati altro: il Mazza è tornato ciò che era e molto, molto di più. Sfioriamo i playoff in una ricorsa a perdifiato fatta di vittorie e gol in cinque mesi. Vinciamo la serie C l’anno dopo e pure la coppa di lega, vinciamo la serie B. Ma ve ne rendete conto oppure no? Noi abbiamo vissuto Terni, ve lo ricordate, oppure per voi è già una memoria acquisita e messa in un angolo? Io non sono più uscito dal Libero Liberati, piango ancora al solo pensiero. Abbiamo vinto il campionato più lungo del mondo, sono stato sei mesi senza dormire, l’ansia di quei mesi vissuti nel tentativo, poi riuscito, di scavalcare un sogno, di arrivare all’inarrivabile. Un mondo di favola, racchiuso nel cortile di via Ungarelli, dove bambini andavano alla S.P.A.L. con le sciarpe di lana fatte all’uncinetto e giocavano a calcio con magliette bianche e il numero sulla schiena scritto col pennarello. Credo che qualcuno non l’abbia ancora capito e quindi non perderò altro tempo a spiegare l’inspiegabile. Ma non finisce lì. Due anni a combattere in serie A contro dei mostri marini sputa-soldi, con giocatori pagati quando il fatturato di una grossa industria metalmeccanica. Una bomboniera di stadio dove, alle volte, ci siamo mangiati squadroni dai nomi altisonanti. A bordo di un pattino del bagno Medusa abbiamo affondato transatlantici. Capite?
Fino ad arrivare al terzo anno. Rimanesti a bordo per amore di una città, non raccontatemi che c’entrano solo i soldi, il coraggio dell’ottimismo, della competenza e della professionalità. Squadra con limiti strutturali la nostra. Chiaro, sì, cosa intendo per strutturali? Ma nonostante questo per un girone rimaniamo in gioco a pochi centimetri dalla linea di galleggiamento, addirittura vinciamo con le due squadre che giocano meglio di tutto il campionato, che si chiamano Atalanta e Lazio, pare incredibile no? In tanti ti criticavano, senza averne le competenze. Gli scontri diretti, la grinta, i moduli, i cambi, analisi non richieste di chi sputa sentenze come lanciare una merda in un ventilatore. Ma lo sappiamo: il calcio è così, i tifosi sono così. Ma noi no. Noi c’eravamo prima, ci siamo adesso e ci saremo dopo, trincea dopo trincea, generazione dopo generazione, campionati (qualunque) dopo campionati, categoria dopo categoria. Tutto al mondo passa e quasi traccia non lascia (cit.). Ma non tu Leo, tu ci hai lasciato un tatuaggio indelebile, fatto di ricordi, emozioni, gioie incontenibili inspiegabili e indescrivibili. Signorilità e dignità, questo rappresenti per me.
Ieri per un tempo c’ho creduto, Petagnone e Strefezzino hanno cantato fino all’ultimo, come una curva indomita, che è cresciuta negli anni fino ad arrivare ad un movimento che, secondo me, ha pochi eguali in Italia. Secondo tempo in cui tutti i limiti di una annata storta, nata male, continuata peggio, sono usciti, difficile combattere con la fionda contro i carri armati. Sono uscito un minuto dopo il triplice fischio. Non volevo ascoltare, non volevo vedere, eppure capivo. Poca eleganza, poca signorilità, da parte della società nel comunicarti l’esonero. Ora c’è da finire un campionato di serie A. L’unico obiettivo è la dignità, su quella nessuno mai potrà transigere, chi verrà al tuo posto sarà il mio allenatore, e lui, i giocatori e pure la proprietà dovranno ricordarsi che quella squadra per noi non è una squadra di calcio, mai lo è stata e mai lo sarà. I sogni e le utopie alle volte si avverano, ma anche spendere una vita nella loro ricerca può riempire una degna esistenza. Ora avanti, per quest’anno, per il prossimo e per l’eternità. Noi siamo la S.P.A.L., la S.P.A.L di Ferrara, il nostro acronimo, fa di noi una anomalia. Questo vogliamo restare, una barchetta biancazzurra a galla in un mare di merda.
Forza vecchio cuore biancazzurro.