In assoluto ci sono cose più importanti del calcio e della SPAL? Sicuro.
In questo drammatico momento di emergenza sanitaria globale ci sono cose più importanti del calcio e della SPAL? Innegabilmente.
Eppure parlare della SPAL, della sua gente, delle emozioni che ci ha regalato può essere comunque un buon modo per sentirci comunità e alleviare il grigiore di questo passaggio storico così complicato. Così LoSpallino.com ha scelto di riproporre la selezione di scritti realizzati dai componenti del Collettivo Laps, che da due anni a questa parte mette insieme l’opuscolo “S.P.A.L. tra le righe“, distribuito nei giorni della festa della curva Ovest. Quattordici scrittori, anzi quattordici tifosi curvaioli spallini, che con le loro parole ci proiettano nel mondo della passione biancazzurra.
— Questione di Fede —
di Michele Frabetti
(pubblicato nell’estate 2018)
Queste poche righe costituiscono la disturbante confessione (introduco già qui un termine appropriato visto il tema trattato) di un ferrarese, la qual cosa non stupirà o forse interesserà nessuno, ma essendo vita vissuta merita, anzi, ha l’obbligo di essere condivisa, anche se vagamente blasfema. Il mio intercedere, in modo sempre più incalzante, verso il materialismo storico iniziò già ai tempi dell’asilo. A quattro anni, in occasione della nascita di mia sorella, fui levato dal grembo, anzi, dalla cucina di mia madre, luogo dove lei praticava anche la nobilissima arte della sartoria, per essere incarcerato tutte le mattine presso una parastruttura penitenziale gestita da suore. L’asilo. Un luogo orribile (non è completamente vero ma è così che emerge, nitido, nei miei ricordi) composto da due edifici all’interno dei quali, divisi per fascia di imbecillità infantile, imberbi giovani cristiani in divenire venivano esposti alla dottrina cattolica elargita a suon di presepi, parabole e frequenti visite alla cappella, luogo di preghiera. Ogni mattina vomitavo, letteralmente, e ogni mattina qualche inserviente mi ripuliva e mi spediva in mezzo alla folla di infanti vocianti e, ai miei occhi, estremamente ostili. La mia lotta verso il disvelamento del plusvalore, e la colazione di mia madre, aveva avuto inizio.
Mi caricavano in auto, di prima mattina, mi scaricavano all’asilo e l’unica attività interessante era osservare, fuori dai finestrini dell’auto, cosa popolava il chilometro che divideva la mia perduta casa dall’asilo. Unica evidenza di rilievo nei paraggi dell’asilo, che esulava dalla minaccia di terminare la vita tra le suore, era la presenza di un luogo splendido, eretto proprio a lato, che mio padre chiamava Spal. Dai portoni aperti intravvedevo un prato enorme e belle tribune che, ai miei occhi, parevano create per contenere folle enormi, tutt’altra dimensione e appeal rispetto la cappella dove si affollavano una ventina di maleodoranti bimbi. E ogni giorno la Spal era lì, imponente, mentre io venivo dirottato verso la mia quotidiana e noiosa lezione di vita in attesa di esser un giorno resuscitato tra gli angioletti e sfanculando i diavoletti. Così il tempo passava e si strutturava sempre più la grande domanda sul perché tale dottrina, per quanto definita unica e giusta, fosse anche una grande rottura di palle. Come fede mi pareva un po’ una fregatura, non c’era nulla di interessante a parte la storia del giorno del giudizio, non era questione di sacro e profano, la mia necessità di credere era in attesa di qualcosa di più sostanziale. Mio padre andava alla Spal ogni domenica, spesso mancava a pranzo, mi sembrava una pratica talmente sistematica e liturgica che, quando a sette anni fui spedito ogni domenica a catechismo, non potei proprio fare a meno di notare la contemporaneità delle cose, Spal e messa, e individuare nella prima una ormai evidente trascendenza che la faceva del tutto sovrapponibile alla seconda. Della Spal si parlava tanto e io non la avevo mai vista, più o meno come lo spirito santo. Infatti c’era un solo grande problema, alla Spal non mi ci portavano ma a messa sì, e senza troppi complimenti. Pensate al parallelismo, stadio e chiesa, luoghi dove si concentrano numerose persone, che simultaneamente, attraverso un atto di fede, diventano comunità e pregano e sperano che l’oggetto della passione riviva ancora una volta con la promessa di una vita eterna. Il tutto con simboli, colori (il biancazzuro è decisamente più elegante del giallobianco vaticano, suvvia) e finanche parole e canti che sostanziano il rito. Il divieto di andare alla Spal faceva diventare epico il desiderio di conoscere la realtà, facendo divenire la polisportiva un simbolo del proibito ed inaccessibile, quindi molto più desiderabile di noiose mattinate tra confessionali intasati e sbadigli incontrollabili mentre un prete lontano leggeva ad alta voce verità riportate di terza mano.
La faccio breve, divenni presto un pessimo cattolico ma un buon spallino, dopo pochi anni iniziai a marinare la messa e a frequentare di nascosto lo stadio. Quarant’anni fa, prima dei fetidi tornelli e dei biglietti nominali on line, era possibile per un ragazzo di dodici anni andare da solo alla Spal e accomodarsi in curva tra cappotti grondanti di umidità, fiati vaporosi di sambuche e un dialetto così ricco che pareva di esser in una estrema babele estense. Lo stadio era decisamente più divertente della messa, offriva molte più possibilità di arricchirsi culturalmente, forniva curiosità sulla geografia e storia di luoghi riferiti alle squadre che si avvicendavano e sulle mamme dei giocatori o tifosi avversari, generava simpatie o antipatie ben coltivate da anni di calcio ferrarese e soprattutto ti permetteva di essere molto più partecipe e vivo, vivo vivo intendo, e non limitarsi a alzarsi e sedersi su una panca con vista inginocchiatoio. Tra l’altro tutti bestemmiavano, ma almeno alla Spal lo si faceva ad alta voce. E in tutto questo la gioia di essere tra i giusti ma incompresi, tra coloro che dovevano emanciparsi e ritrovare la propria giusta collocazione nella economia del calcio, e se questo non era materialismo storico contro la religione oppio dei popoli, ditemi voi cosa era. Avevo un unico santo, ed era Pezzato. Così alla fine capii che mi era impossibile esser doppiofedista, mi era impossibile andare a messa alla mattina quando poi dovevo andare alla Spal alla mattina avevo le farfalle allo stomaco, pensavo solo alle formazioni, alla maglia e al momento di entrare allo stadio, andare a messa infine inquinava tutte queste sensazioni e mi faceva perdere metà del gusto. Sarà banale ma il gusto di andare alla Spal era (e rimane ancora) gigioneggiare alla mattina sapendo che ci sarei andato. E se proprio dovevo riconoscere me stesso in qualcosa, questo qualcosa erano i miei colori, la storia del mio popolo che tali colori portava (sembra retorica, ma ogni cosa che riguarda la Spal poi diventa epica, pure la sfiga).
Poi venne la curva e tutto il resto, venne la storia, vennero i campioni, gli orchi, i falliti e gli illusi, i mai banali e i corrotti, vennero le lacrime, troppe, le gioie e le streghe, i pozzi neri e le favole. Vennero soprattutto i venti del passato, quelli che ci hanno fatto ricongiungere dopo quasi cinquant’anni allo stesso spirito della storia spallina, un autoriconoscimento dello spirito della Spal che finalmente si eleva (almeno un lieto fine ce lo meritiamo) nel suo ritorno in A. Un ritorno che finalmente giustifica il nostro (o almeno il mio) profondo e radicato sciovinismo, quella corretta ma spesso troppo difficile sensazione che ti faceva (o almeno mi faceva) sentire più importante di ogni altro interlocutore nel mondo del calcio ma che in serie A passava inspiegabilmente nella più assoluta indifferenza. Degli altri. Tutto questo è successo, quel che succederà e le bestemmie che mi costerà non lo posso sapere, certo quello che so è che sono stato fedele nella mia vita probabilmente solo alla Spal, la Spal alla fine è stata ed è la mia fede ma anche il mio permanente ed eterno credo laico, non per fanatismo o per mera intolleranza verso altri, ma perché in questo mondo di mezzo fatto di apparenze e prolassi mediatici, la mia verità sta nei valori, e molti di questi sono nella mia Spal, nei suoi luoghi, nei suoi colori e nella sua curva. FORZA SPAL