L’intero continente europeo rimarrà ancora a lungo alle prese con la pandemia di Sars-CoV2 e per questo le prospettive relative alle principali competizioni sportive rimangono quantomeno incerte. I rinvii di due manifestazioni come Euro 2020 e le Olimpiadi estive di Tokyo hanno fatto spazio nei calendari e alimentato l’idea di poter chiudere campionati nazionali e coppe europee in piena estate. Si tratta tuttavia di uno scenario che presenta delle difficoltà oggettive (organizzative, climatiche, regolamentari) e che potrebbe essere incompatibile con la necessità di adottare una strategia prudente per evitare rischi per la salute pubblica. Di sicuro c’è che il sistema istituzionale, inteso come intreccio tra autorità governative e soggetti deputati a gestire il pallone in tutte le sue forme, è ancora lontano da una sintesi in grado di accontentare tutti.
UEFA
La massima istituzione calcistica europea tiene nel proprio orizzonte ogni possibile scenario: dalla ripresa a maggio al sipario sui vari campionati. Di certo c’è che se ci sarà una ripresa, dovrà essere più o meno uniforme tra i vari tornei, in modo da non scompaginare il quadro delle competizioni continentali, oltre che i calendari. Il presidente della Uefa Aleksander Ceferin ha parlato di questo tema in un’intervista rilasciata lo scorso 27 marzo a Repubblica: “In questo momento drammatico la cosa più importante è la salute, uscire da questa crisi. Nessuno sa quando la pandemia finirà. Abbiamo il piano A, B o C: siamo in contatto con le leghe, con i club, c’è un gruppo di lavoro. Dobbiamo aspettare, come ogni altro settore. Le opzioni sono: ricominciare a metà maggio, a metà giugno, o alla fine di giugno. Poi, se non ci riusciamo, probabilmente la stagione è persa. C’è anche la proposta di finire questa stagione all’inizio della prossima, che comincerebbe un po’ più tardi. Vedremo la migliore soluzione per leghe e club. Mi è difficile immaginare tutte le gare a porte chiuse, ma ora non sappiamo se riprenderemo, con il pubblico o senza. Se non ci fosse alternativa, sarebbe comunque meglio finire i campionati. Posso dire che non penso alle finali di coppe europee a porte chiuse“. Al momento l’unico campionato attivo nell’intero continente è quello bielorusso.
GOVERNO
Domenica 29 marzo, attraverso un’intervista concessa al quotidiano La Repubblica, il ministro dello sport Vincenzo Spadafora ha dettato una linea molto dura: “Domani (lunedì, ndr) proporrò di prorogare per tutto aprile il blocco delle competizioni sportive di ogni ordine e grado. Ed estenderò la misura agli allenamenti, sui quali non eravamo intervenuti perché c’era ancora la possibilità che si tenessero le Olimpiadi. Riprendere il campionato di calcio il 3 maggio è irrealistico. Dal calcio di Serie A mi aspetto che le richieste siano accompagnate da una seria volontà di cambiamento: le grandi società vivono in una bolla, al di sopra delle loro possibilità, a partire dagli stipendi milionari dei calciatori. Devono capire che dopo questa crisi niente potrà essere più come prima“. I provvedimenti governativi scadranno il 3 aprile, ma verosimilmente verranno prorogati di almeno 15 giorni. Se la linea di Spadafora dovesse diventare quella dell’intero governo, il calcio dovrebbe rivedere i propri piani (ancora una volta) e considerare una ripresa il 16 maggio come migliore delle ipotesi.
FIGC
Giovedì 2 aprile, almeno nella teoria, ci sarà un nuovo consiglio federale e lì probabilmente si discuterà del da farsi, anche se l’ordine del giorno riguarderà più che altro a questioni di carattere economico e regolamentare, come ad esempio i criteri d’iscrizione per il prossimo campionato. Il presidente Gabriele Gravina, in un’intervista concessa al Corriere della Sera, ha ribadito come la priorità sia la conclusione dei campionati, in una maniera o nell’altra: “La priorità del calcio è la salute di tutti e la solidarietà. Quando torneremo a giocare dipende dal virus. Il nostro piano è chiaro: rispettare il valore della competizione sportiva. L’obiettivo è finire i campionati, arrivando alla definizione delle classifiche. Abbiamo capito che ripartire a maggio sarà difficile, ma possiamo spingerci sino a luglio. Stiamo cercando di adattare la situazione alla nostra realtà. Non vogliamo invadere la stagione che verrà perché c’è l’Europeo. Abbiamo una scadenza: chiudere entro la fine di maggio 2021. Ci guida una stella polare che sono le norme e non è facile modificarle. La serie A a 22 squadre nell’anno in cui bisogna chiudere prima non mi sembra una strada percorribile“.
LEGA
Al presidente di Lega Paolo Dal Pino non sono affatto piaciute le dichiarazioni del ministro Spadafora, tanto che nella giornata di domenica 29 marzo è addirittura stata diffusa una nota ufficiale nella quale lo stesso Del Pino ha bollato come “polemiche e demagogia” le considerazioni del ministro. Nel comunicato della Lega viene posta una certa enfasi sulla rilevanza economica del calcio nel nostro paese: “In Italia oltre 32 milioni di appassionati seguono il calcio, un fenomeno sociale ed economico che dà lavoro a più di 300mila persone generando l’1% del PIL nazionale. La Serie A da sempre svolge un riconosciuto ruolo di locomotiva del comparto, producendo direttamente ogni anno circa 3 miliardi di euro di ricavi totali e generando un indotto di 8 miliardi a beneficio dell’intera piramide calcistica, oltre a una contribuzione fiscale e previdenziale di 1 miliardo di euro. In questi anni l’importo contributivo e solidaristico della Serie A, per lo sviluppo dell’impiantistica, per la valorizzazione dei settori giovanili e per sostenere sport diversi dal calcio, è sempre cresciuto: dai 93 milioni che la Lega Serie A destinava nel primo anno della sua fondazione nel 2010, agli oltre 130 che saranno versati al termine dell’attuale stagione. Cifre importanti, sulle quali si regge l’intera filiera, che la Lega Serie A spera di continuare ad erogare anche per il futuro, a salvaguardia di tutto il movimento calcistico italiano. I numeri sopra riportati parlano da soli e non serve aggiungere altro per evidenziare il ruolo della Lega Serie A a sostegno del calcio di base e indirettamente di tutto lo sport italiano“.
Al di là delle contrapposizioni di carattere politico, i presidenti continuano ad essere moderatamente agitati, stretti come sono in una tenaglia fatta di problemi di bilancio e rivendicazioni dei calciatori. Da una parte i network televisivi potrebbero mettere in seria discussione oltre 200 milioni di euro per i diritti di trasmissione della partite, dall’altra la sola Juventus ha trovato un accordo con i propri giocatori per il taglio degli stipendi e nei prossimi giorni la trattativa tra istituzioni calcistiche e AIC (il sindacato dei calciatori) entrerà nel vivo. Oltre a questo, riportano i principali quotidiani, non c’è uniformità su modalità e tempi di conclusione della stagione 2019-2020. C’è un fronte guidato da Lazio e Napoli che chiede di programmare la ripresa delle attività, mentre un altro – formato, pare, da una dozzina di squadre – vedrebbe di buon occhio l’idea di far calare il sipario su questo campionato e di far ripartire il prossimo con 22 partecipanti, aggregando Benevento e Crotone dalla serie B. Prospettiva però che si scontra con le linee di Uefa e Figc.
AIC
Il sindacato dei calciatori al momento è impegnato su due fronti: quello delle garanzie sanitarie per un eventuale ritorno in campo e quello degli stipendi che potrebbero essere congelati dai club in assenza di un accordo. Non a caso nei prossimi giorni ci saranno dei confronti su quest’ultimo tema. In un intervista rilasciata lunedì al Corriere dello Sport, il presidente Damiano Tommasi si è espresso in questi termini: “La nostra posizione è chiara: stabilire condizioni per il futuro, in assenza della certezza di ricominciare, è difficile. C’è un tema delicato che riguarda il prolungamento della stagione a luglio. Senza un accordo tra le parti nessuno può prorogare un contratto oltre la sua scadenza. Bisognerà sedersi e parlarne. Partiamo dall’ipotesi peggiore: le parole del ministro Spadafora confermano che prima di ripartire dobbiamo mettere al sicuro la salute del Paese. Vuol dire prepararsi all’eventualità che i campionati vengano decretati chiusi. Siamo arrivato dopo un mese e mezzo a capire che dobbiamo allinearci alle direttive della comunità scientifica e del governo. Le immagini che arrivano dagli ospedali ci dicono che il nostro miglior contributo è quello di stare a casa. Chiedete ai tifosi di Brescia e di Bergamo se non sono d’accordo con me. Non so se ricominciare, anche in estate, a porte chiuse sia una condizione di sicurezza. E non dico solo quella dei calciatori. C’è sempre il rischio di spostare tra le città gruppi di persone che possono essere portatori di contagio. Saltare le ferie sarebbe l’ultimo dei problemi, siamo abituati a giocare ad agosto. Bisogna capire se si riescono a concludere tutti i tornei e quanto durerà la stagione successiva. Se invece finirà qui si dovrà scegliere alla meno peggio. Nessuna decisione accontenterà tutti, qualche danneggiato ci sarà“.
E LA SPAL?
Le dichiarazioni più recenti di un dirigente biancazzurro risalgono allo scorso 18 marzo, quando il ds Davide Vagnati ha parlato con Tuttomercatoweb. Con il presidente Mattioli e il direttore generale Gazzoli impegnati sul fronte istituzionale in Lega, non c’è ancora una posizione espressa esplicitamente dal club sulla sorte di questa stagione, a differenza di quanto accaduto nel caso di tutti le altre squadre invischiate nella lotta per la salvezza (e non solo). Sintomo di una strategia d’attesa che evidentemente punta a mantenere la SPAL fuori dal radar delle potenziali polemiche. Anche se appare ovvio come la soluzione del congelamento della serie A, con relativo allargamento a 22 partecipanti, sia lo scenario più auspicabile per gli interessi della società.