Nell’ultimo mese sarà capitato a tanti di fantasticare sulle partite non giocate dalla SPAL dall’inizio della quarantena a oggi. Abbiamo dovuto rinunciare alla tensione di sfide delicatissime, al brivido di certi errori difensivi, al luccichio nei nostri occhi quando vediamo un giocatore con la maglia biancazzurra dentro l’area di rigore e a chissà quante altre cose.
Fatto sta che Emanuele Vicentini, che può essere considerato a pieno titolo un amico de LoSpallino, ha provato a immaginare una cronaca distopica del primo match (non) giocato dopo il 3 aprile, giorno che a lungo ci era sembrato essere il primo del ritorno alla (quasi) normalità. Sampdoria-SPAL si sarebbe dovuta disputare domenica 5 aprile a Marassi.
Come il vaccino ci ha fatto sognare
di Emanuele Vicentini
Poi, venne l’epoca del virus: chi l’avrebbe mai immaginato. E dire che qualcuno l’aveva predetto e raccontato. Fino a poco fa tutti noi stimavamo che le cose più improbabili, assurde mai accadute sulla terra, diciamo dal pleistocene in avanti, fossero altre. Che ne so: l’uomo sulla luna; un’idea per rimorchiare le ragazze all’università che diventa la mamma dei social network che ci fanno tenere la testa sempre chinata sul telefono; dover dare nome e cognome per il biglietto dello stadio, oppure i Nirvana in concerto a Baricella (BO).
E poi un raffreddore, poco più di un’influenza, quindi un problema più serio ha costretto il mondo a scendere e domandarsi cosa stia succedendo e cosa ne sarà di noi. Prima una città in Cina che ora tutti conosciamo, poi l’Italia, l’Europa, tutto il mondo. Fermo, chiuso in casa, contando i troppi morti e senza la vita di prima piena di lavoro, spostamenti, incontri, concerti, partite allo stadio. La Serie A si ferma e rischia di non ripartire, d’altronde hanno rinviato anche Wimbledon e le Olimpiadi, non accadeva dai tempi della guerra, ottant’anni fa.
Poi, in questo quotidiano distopico che ci impedisce di elaborare il lutto, perché i giorni si susseguono tutti uguali e non ci sono immagini simboliche a cui poggiarsi, cominciamo ad averne i coglioni pieni. Come se ne esce? Quando riavremo la nostra razione quotidiana di baci, abbracci e spintoni in curva? La situazione appare davvero drammatica. Ma accade il miracolo: un’equipe di virologi greci, grazie a una fortuita casualità, mescola selenio, lievito di birra (si stanno preparando una pita fatta in casa, tutto il mondo è paese) e mescalina dopo 36 ore ininterrotte di lavoro, presi dalla disperazione di ospedali pieni e situazione al totale collasso. Testato il composto su un amico infettivologo gravemente colpito dal virus e volontario, questi guarisce in poche ore, con regressione completa dei sintomi. Alleluja! il mondo è salvo! C’è solo qualche piccola controindicazione, afferma l’equipe greca mentre comunica quanto scoperto ai colleghi di tutto il mondo per intraprendere somministrazioni di massa, al prezzo simbolico di 1 euro per le licenze di ogni paese tranne la Germania, a cui chiede — ottenendolo — l’azzeramento di tutti i debiti del loro paese attraverso un’azione delle banche tedesche prima di comunicare la miracolosa scoperta.
Le vaccinazioni di massa presto svuotano gli ospedali, portano euforia in Italia, nel mondo, nella Lega e nell’UEFA che potranno non perdere una goccia dei loro millemila milioni… ma contestualmente viene dettagliato a tutti quale sia la controindicazione: data la composizione del vaccino, una quota rilevante dei vaccinati avrà un periodo tra i 5 e i 7 giorni di violente allucinazioni, vaneggiamenti, accompagnati da forti febbri e debolezza. Probabile sensazione di viaggio nel tempo apparente. Un rischio, ma ne vale la pena: io ricevo il cerotto antipandemico il 3 aprile alle 18, torno a casa e tutto sembra andare bene.
Poi, d’un tratto, vedo un 19 gigante apparire nel muro di fronte, mentre in tv appare un enorme 92 al centro. Ok, sta cominciando penso tra me e me, mentre parte soffusa una canzone in lontananza… “ci vuole un fisico speciale, per fare quello che ti pare..” mamma mia che merda penso, mentre la tv sfuma e appare Giovanni Falcone che, sorridente dal suo scranno di Presidente della Repubblica, mi dice “vada, vada.. vada a farsi una bel giro.. si diverta in quel maledetto 1992… se solo penso che me la sono scampata per un pelo.. buon viaggio, e buona guarigione! Vedrà che tornerete in curva, e stavolta la birra sarà buona, glielo prometto!”
“Come il sogno all’incontrario!! Merda cominciamo bene…” penso tra me e me con le ultime energie, mentre sento la testa sempre più pesante, gli pesanti occhi chiudersi e riesco a malapena a controllare sul telefono: cazzo, se non ci fosse la tragedia di sto virus in atto, questo weekend sarei andato a Genova, a vedere Sampdoria-SPAL (nota per il lettore: per favore, mentre leggi continua a tenere in sottofondo l’ultimo link, vedrai che viene tutto meglio).
Lo stadio è gremito, davvero un bel colpo d’occhio. La curva della Samp ha gli striscioni come una volta, negli anni novanta. Ci sono tanti tifosi della SPAL, mescolati in gradinata nord con i genoani a dar man forte. C’è lo striscione del Gruppo D’Azione e dell’Astra Alcool, ma si faticano a sentire perché i tifosi di casa fanno davvero rumore e un’enorme fumogenata saluta l’ingresso delle squadre in campo. Noto che i giocatori hanno le maglie tradizionali, quella bellissima del Doria e quella così elegante che sembra una camicia della SPAL: i numeri vanno dall’1 all’11, le facce sono note. Fatico a capire, sudo parecchio, ma mi piace. La Samp ha il tricolore sul petto, è campione d’Italia e lotta per vincere l’ultima Coppa dei Campioni. La SPAL è nel bel mezzo di una stagione magica. Mi sento un po’ il cronista di questa partita unica.
Ecco le formazioni in campo:
Sampdoria: Pagliuca, Mannini, Katanec: Pari, Vierchowod, Lanna; Lombardo, Cerezo, Vialli, Mancini, Bonetti. All. Boskov.
SPAL: Torchia, Lancini, Paramatti; Zamuner, Servidei, Mangoni; Messersì, Brescia, Mezzini, Bottazzi, Labardi. All. Gibì Fabbri.
La Samp pare subito in palla e corre veloce sugli esterni, favorita da un manto erboso perfetto. La SPAL parte contratta, con la difesa non ben registrata e non veloce come la partita richiederebbe. AL 6′ Cerezo con un colpo al volo sfiora il palo alla destra di Torchia, al 12′ e al 16′ Mancini prima impegna il portiere biancazzurro e poi lambisce la traversa dai diciotto metri dopo elegante triangolo con il gemello del gol Gianluca Vialli. Vedere giocare la Sampdoria è un vero spettacolo, con i suoi fraseggi in velocità e una coppia d’attacco così perfettamente mixata tra forza, tecnica, ferocia, eleganza.
La SPAL è costretta a fare la partita che non voleva, costretta all’angolo dal pugile detentore della corona che punta a una vittoria per K.O. prima dell’ultima ripresa. Ma i ragazzi di G.B. hanno una pelle dura e, dopo venti minuti di tempesta, mettono fuori la testa e, quasi senza accorgersene, si ritrovano in vantaggio: Messersì sfida Lanna sulla fascia destra, lo supera e mette al centro da par suo. Sulla palla è Vierchowod, il difensore di origine russe è tra i migliori atleti dell’intero panorama nazionale, incredibilmente cicca il rinvio permettendo al pallone di proseguire la sua corsa fino all’impatto con il piede di Labardi, il quale trafigge Pagliuca con un tiro di prima rasoterra. E’ il 27′. L’inaspettato vantaggio fa esplodere in un boato i ferraresi giunti a Marassi e la panchina tutta, compreso Fabbri che si aggira in maniche di camicia lungo tutto il perimetro della panchina.
La Samp non ci sta e riprende la sua azione ancor più veemente: dopo soli 8 minuti perviene al pareggio. La palla scorre rasoterra fino a raggiungere Cerezo che serve di prima intenzione Lombardo tra le linee. Per l’ala è facile far sdraiare a terra Paramatti con un finta, che peraltro lo soffrirà per tutta la partita, e crossare al centro con un perfetto lob sul quale si avventa il centravanti della nazionale Vialli che, rubando il tempo al pur attento Servidei, impatta di testa e infila Torchia sotto la traversa. Dopo il gol, le squadre tirano un po’ il fiato e vanno negli spogliatoi con il risultato di 1–1.
Nell’intervallo, che può essere durato 5 minuti o 5 giorni, cerco di domandarmi cosa cazzo sia questa partita senza senso, ma la libidine del calcio giocato dopo mesi, unita a quella di godermi certi campioni che non vedevo da una vita, prende il sopravvento. Mi godo la partita e non mi faccio domande, come il calcio dovrebbe sempre essere.
Squadre quindi di nuovo in campo e la SPAL sembra più attenta sugli esterni, che Gibì continua a chiamare terzini e la manovra orchestrata da Zamuner lasciato libero di impostare. Gli avanti sembrano un po’ isolati, ma d’altro canto il campo di casa della Samp è imbattuto da venti turni e questo dato da solo spiega tutto. Nella Samp è sempre Vialli, come da consuetudine con i calzettoni abbassati, a cantare e portare la croce coadiuvato da Lombardo e Cerezo, mentre Bonetti e capitan Mancini non sembrano in grande giornata. Ad ogni modo la Samp torna presto padrona del campo e sono prima Katanec dalla distanza al 50′ e poi Cerezo, con una parabola arcuata dai 25 metri, a impegnare Torchia che appare sicuro. La SPAL risponde con azioni di alleggerimento in cui Mezzini è regolarmente sopraffatto dallo strapotere fisico di Vierchowod. Per almeno venti minuti è un vero tiro al bersaglio e la SPAL non riesce a uscire dal bunker: prima Cerezo centra la traversa a portiere battuto, poi Torchia salva il risultato su colpo di testa a botta sicura di Vialli imbeccato da Bonetti. Infine al 72′ la Samp meritatamente passa.
L’azione di forza è portata avanti da Vialli che punta e salta Brescia, poi supera in velocità Mignani e mette al centro dove Mancini incoccia perfettamente la palla in sforbiciata volante che non lascia scampo a Torchia, sotto la gradinata sud che esplode per il gesto del suo beniamino. Sulle ali dell’entusiasmo, e con una SPAL che pare alle corde, Mancini fino ad allora abulico, prima ha la possibilità di chiudere la gara, poi la riapre: si procura un rigore dopo un dribbling ubriacante su Lancini, ma lo sbaglia dopo una strana rincorsa sghemba che non è la prima volta che tenta. Tre minuti dopo (è il 78′) dopo l’ennesimo fallo subito da parte di Lancini, piuttosto rozzo nella marcatura, reagisce a malo modo scalciando l’avversario e viene giustamente espulso dall’arbitro Pairetto. A quel punto la SPAL prova a mettere la testa fuori dal guscio, dopo che nei precedenti 30 e passa minuti del secondo tempo aveva impensierito Pagliuca solo con un velleitario tiro dalla distanza di Zamuner. La Samp, dopo aver speso molto, cerca di tenere palla ma i ferraresi provano a prendere il controllo del gioco negli ultimi minuti, pur senza giungere al tiro.
Ormai giunti nel tempo di recupero, quando il risultato sembra ormai fissato, la palla giunge dopo un veloce fraseggio dei centrocampisti biancazzurri a Bottazzi, talentuosa mezz’ala del quale ci si chiede come mai non abbia raggiunto palcoscenici maggiori, il quale la stoppa col sinistro e se la porta avanti con il destro saltando netto Pari e Salsano, per poi calciare di sinistro un tracciante che si infila nell’angolo alla sinistra di Pagliuca, inutilmente proteso in tuffo. Sembra quasi la copia di un altro gol dello stesso Bottazzi siglato qui in Liguria, pochi mesi, o forse tanti anni or sono. Il 2–2 finale di certo non fa felici i blucerchiati, ma è il premio per una SPAL che non si è mai data per vinta.
Per un momento l’effetto del vaccino si attenua e alcune schegge di 2020 si infilano in questa visione distopica del 1992, e questa frattura si manifesta con tutta evidenza nelle interviste post gara dal ventre del Galileo Ferraris di Genova. Alla domanda incalzante di Massimo Callegari se fosse mancata la spinta dei quinti, soprattutto nel primo tempo, Boskov dice di non aver capito la domanda; su un commento sull’espulsione del capitano Mancini, il mister tira fuori dal cappello una delle sue battute “Roberto a volte avere più cervello in suo piede che in sua testa!”. Infine, un’ultima domanda sul perché la squadra abbia insistito in quel tiki taka sul finale: Vujadin prende sotto braccio il giovane cronista e insieme si incamminano fuori dalla sala stampa, mentre gli chiede se per caso abbia bevuto.
Dall’altra parte un felicissimo Gibì Fabbri gongola dopo il punto strappato sul campo dei padroni d’Italia. Intervistato da Lele Adani sull’assenza di densità in mezzo al campo e sulla necessità di una linea più alta, il mister vice campione d’Italia con il Vicenza nel ’78 si massaggia il ventre pingue e risponde sornione “C’è l’ho qui la densità e la linea alta, nel calcio ci vuol del pasione!”
Vista poi l’assenza di peso in avanti, contrastata da una costante proiezione offensiva del suo centrocampo, Adani incalza domandando se il centravanti della sua SPAL sia “lo spazio”, come un famoso club del futuro, ricevendo in cambio una sonora pedata alle terga, non prima di aver augurato a Vialli e compagni di raggiungere la finale di Coppa Campioni. L’allucinazione svanisce, o forse no… vedo stagliarsi tra le oscurità sopra la mia testa la copertina di un giornale, socchiudo gli occhi e ne leggo il titolo mentre trascinato dal vento mi atterra dritto in faccia: “Scatta l’ora legale: panico tra i socialisti”.
Oh, sembra proprio che stia partendo la prossima allucinazione: vediamo se, in questo 1992 allucinogeno grazie al virus, Tangentopoli sarà migliore dell’originale e ci regalerà anni di onestà e partecipazione.