La fase 2 dell’emergenza Covid-19 dovrà necessariamente portare a un minimo di chiarezza sulla sorte dei campionati di calcio in Italia, rimasti sospesi da inizio marzo. Dopo oltre un mese di stucchevole dibattito, governo e istituzioni del pallone sono arrivati allo scontro finale: a rivelare la contrapposizione in maniera palese hanno provveduto le disposizioni dell’ultimo decreto del presidente del consiglio e le dichiarazioni del ministro dello sport Vincenzo Spadafora.
Il dpcm del 26 aprile infatti permette la ripresa degli allenamenti solo a livello individuale dal 4 maggio, mentre per gli sport di squadra non ci sono ancora delle linee guida precise. Inizialmente era sembrato che il via libera potesse essere fissato per il 18 del mese, ma il testo del decreto non specifica alcunché al riguardo. Serviranno altri confronti e una sintesi dovrà essere raggiunta necessariamente entro la prima settimana di maggio.
Tuttavia il ministro Spadafora continua a lanciare segnali che vanno nella direzione di una chiusura anticipata della stagione 2019/2020. Le dichiarazioni rilasciate mercoledì nel corso del programma “Omnibus” di La7 hanno aumentato la pressione su Figc e Lega: “Il rischio zero non c’è. Io ho chiesto al comitato se il protocollo della Figc fosse applicabile o meno. Per esempio, siamo sicuri che la quantità di tamponi richiesta sia assecondabile? Il comitato ci ha detto che hanno problemi loro stessi per i tamponi, quindi è da valutare anche perché Serie B e Serie C magari non possono seguire il protocollo. È vero che il calcio paga tasse per sostenere tutte le altre discipline, quindi sarei un folle a demonizzare il calcio. Ma bisogna fare passi in avanti: io non posso dire oggi se fra un mese e mezzo potrà riprendere il campionato. Ad oggi sono in corso i contatti tra il comitato tecnico-scientifico e la Figc. Il protocollo presentato da quest’ultima non è stato ritenuto sufficiente dal comitato e fosse necessario un approfondimento. In questi giorni sono previste alcune audizioni presso lo stesso comitato e a quel punto si capirà. Però io ho sempre detto che la ripresa degli allenamenti non corrisponde alla ripresa del campionato. Capisco che così qualcuno possa dire che lasciamo tutto nell’incertezza, ma se così non va bene si può seguire la strada che hanno scelto la Francia o l’Olanda, ossia di fermare il calcio. Io vedo il sentiero per la ripresa della serie A sempre più stretto, però la ripresa degli allenamenti sarebbe un segnale importante soprattutto per i calciatori che in questo momento sono fermi da tante settimane e devono riprendere ad allenarsi. Se poi si dovesse riprendere sarà a porte chiuse. Ma in una squadra di calcio non ci sono solo i giocatori in campo, ci sono decine, centinaia di persone. C’è differenza sostanziale fra allenamenti e partite: gli allenamenti saranno nei propri centri. Se dovessero ricominciare le competizioni, ci sarebbero anche gli spostamenti. Questo non è detto che non possa accadere, ma dobbiamo verificare le condizioni. E capire: cosa accade se troviamo un giocatore positivo? Intanto pensiamo ad un piano B, lo chiedo alla Lega. È un appello, inizino a pensarci perché le soluzioni potrebbero essere tante. Fossi un presidente di una squadra di calcio penserei ad organizzarmi per riprendere in sicurezza il nuovo campionato, ossia quello che ripartirà a fine agosto. In questo momento le decisioni degli altri Paesi potrebbero indurre l’Italia a seguire una linea che potrebbe diventare europea. Credo che nei prossimi giorni potremmo avere una sorpresa, perché secondo me potrebbe esserci una maggioranza dei presidenti di serie A a chiederci di sospendere e prepararsi nel migliore dei modi al prossimo campionato“.
Le parole del ministro non sono ovviamente piaciute al numero uno della Figc Gabriele Gravina, che nella serata di mercoledì ha replicato a distanza: “Il piano B in caso di stop definitivo del calcio? Il mio senso di responsabilità mi porta ad avere un piano B, C, D. Ma se esso deve far rima con ‘è finita’ dico che, finché sarò presidente della Figc, non firmerò mai per il blocco dei campionati, perché sarebbe la morte del calcio italiano. Se aspettiamo il vaccino e il contagio zero, non ripartiamo neanche nel 2020-2021. Io sto tutelando gli interessi di tutti, quindi, ripeto, mi rifiuto di mettere la firma ad un blocco totale, salvo condizioni oggettive, relative alla salute dei tesserati, allenatori, staff tecnici e addetti ai lavori, ma qualcuno me lo deve dire in modo chiaro e mi deve impedire di andare avanti. Vi immaginate quanti contenziosi dovremmo affrontare in caso di stop? Chi viene promosso? Chi retrocede? Quali diritti andremo a calpestare? Tutti invocano il blocco, lo faccia il governo, ce lo imponga, io rispetterò sempre le regole. Ogni giorno devo rintuzzare attacchi e la gente non capisce o fa finta di non capire. Ribadisco ancora una volta il concetto: io la firma su un blocco del campionato non la metterò mai. Il tempo lavora a nostro favore, il danno economico è diviso per categorie: con la chiusura totale il sistema perderebbe 700-800 milioni di euro, se si dovesse giocare a porte chiuse la perdita sarebbe di 300 milioni, se si ripartisse a porte aperte la perdita ammonterebbe a 100-150 milioni, anche se quest’ultima ipotesi non è percorribile. Dobbiamo fare una riflessione: non è il caso di fare una riforma, intesa come modalità di sviluppo sostenibile e non solo per quanto riguarda il format playoff/playout? È questo il tema su cui dobbiamo concentrarci: siamo gli unici in Europa ad avere cento squadre professionistiche e non si possono più sostenere“.
Per venerdì 1 maggio è in programma un’assemblea di Lega di serie A convocata d’urgenza con sole 72 ore di preavviso. In quella sede i presidenti dei venti club proveranno a trovare ancora una volta una linea comune per fare leva sul governo. Spiega il Corriere della Sera nell’edizione del 30 aprile: “In Lega non hanno dubbi: se si decide di riavviare la produzione (gli allenamenti), è obbligatorio riprendere anche con la distribuzione del prodotto (le partite). Altrimenti si devono pagare gli stipendi dei giocatori, senza ottenere nessun vantaggio pratico. E ci sarebbe comunque il pericolo di rimanere intrappolati nelle cause con i broadcast che stanno cercando di non corrispondere l’intera ultima rata dei diritti tv. Se davvero il governo valuterà che bisogna voltar pagina e seguirà il modello francese, in tanti si metteranno l’animo in pace, ma, viene fatto notare, la scelta sarebbe comunque di tenore opposto rispetto a quelle portate avanti dai governi inglese, spagnolo e tedesco. Che tra parentesi sarebbero anche i tre campionati più vicini a quello italiano come fatturato, mentre quello francese tra i top 5 è l’ultimo“.
Le scelte di Francia e Paesi Bassi, con i rispettivi governi che hanno vietato le competizioni sportive fino a settembre, stanno creando notevoli controversie all’interno dei rispettivi movimenti calcistici e non poteva essere altrimenti. Nei prossimi giorni i vertici della federazione e della Ligue 1 francese si dovranno riunire per valutare il da farsi e stabilire quali parametri applicare per titoli, qualificazioni alle coppe, retrocessioni e promozioni. Nei Paesi Bassi la KNVB (ossia la federazione nazionale) aveva optato per un congelamento delle classifiche senza promozioni e retrocessioni, ma i club al comando della Eerste Divisie (l’equivalente della nostra serie B) hanno annunciato una battaglia legale per veder riconosciuto il loro diritto al salto di categoria.