Chissà per quanto tempo ancora non si potrà andare in trasferta. Meglio non pensarci e continuare con le passeggiate sul viale dei ricordi. Una di queste ce la propone l’amico Daniele Vecchi, che in occasione del 27° anniversario di un epico viaggio a Lecce al seguito della SPAL, riapre il cassetto della memoria, intrecciando momenti realmente vissuti con i temi dell’attualità.
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– Da un’idea di Claudio Red Forni –
Cosa ne sarebbe stato, in tempo di Coronavirus, di quei 78 squinternati che il 30 maggio 1993 intrapresero il viaggio verso Lecce, con la SPAL ormai quasi retrocessa in Serie C, in trasferta contro una squadra di alta classifica? Ovviamente con il senno di adesso sappiamo che la partita probabilmente non si sarebbe nemmeno giocata, o che alla meglio sarebbe stata giocata a porte chiuse, tra mille protocolli, sanificazioni, tamponi e protezioni. Ma lasciamo un attimo spazio alla fantasia e alla trasposizione dei fatti, tornando indietro di 27 anni. Le parole per definire il livello di igiene che aleggiava su quelle 33 ore in cui gli ammalati di SPAL coprirono i 1.729 chilometri di andata e ritorno, oggi, avrebbero spaziato tra INDECENTE, RIVOLTANTE, PERICOLOSO, DEGRADANTE, AVVILENTE, SCHIFOSO, INCOSCIENTE, VERGOGNOSO. Partenza nella notte di sabato 29 dal Bar Astra in Viale Cavour, due pullman. Nonostante la posizione della SPAL in classifica, vi era entusiasmo e goliardia, al solito. Già i saluti prima di salire sul pullman sarebbero costati centinaia di euro di multa, con baci abbracci e schiaffi di ignoranza tra i partenti, tutti contravvenendo alle rigide ma giuste regole del distanziamento sociale.
Una volta partiti in direzione Puglia, la concentrazione di corpi umani verso la parte posteriore dei torpedoni e la mancata distanza di sicurezza mantenuta dai subumani farneticanti nella notte sulla A14 avrebbero dovuto fare gridare allo scandalo e fare immediatamente emettere un urgente Decreto di Emergenza, con l’aggravante dello scambio di microgocce di saliva tra le decine di bottiglie di birra che circolavano là dietro, con tutte quelle bocche assetate costrette ad avvinghiarsi a pochi colli di bottiglia, ben presto prosciugati. In uno dei due pullman, quello più “vivace”, Chewbe (il popolare personaggio di Star Wars) con il megafono allietava tutti i presenti con improperi nei confronti del Palio, che si sarebbe corso quella stessa domenica, motivando le condivisibili offese con le seguenti parole gridate qualche decina di volte: “UNA CITTA’ COL FIATO SOSPESO, E VOI CORRETE IL PALIO?”. Anche in quella occasione vi fu l’ennesima violazione della normativa sul lockdown, con il passare di bocca in bocca del megafono, libero arbitrio al pensiero sociale di chiunque si approssimasse alle ultime file del pullman e avesse voglia di esprimere il proprio punto di vista al resto degli astanti.
Prime luci dell’alba, la promiscuità continua e reiterata, vi era addirittura gente che si scambiava effusioni amorose senza far parte dello stesso nucleo familiare e più semplicemente gente che russava sonoramente con il fiato d’alcool sulla spalla di altri, ancora una volta in barba alla distanza sociale. In compenso per tutto il viaggio, Word (un precursore del linguaggio e creativo inventore di espressioni onomatopeiche) ammorbò chiunque tra sedile e sedile con fantomatiche previsioni sull’allenatore della SPAL dell’anno successivo, rigorosamente scritte su un foglietto di carta. Le illazioni sul prossimo allenatore (Fascetti, diceva) riguardavano rigorosamente un eventuale campionato di serie C (ci aveva visto lungo) ma, cosa più grave, le cose che spiegava erano esternate estremamente e fastidiosamente TROPPO da vicino, alla faccia del contenimento prossemico e dell’attenzione al contagio. Lecce città, tarda mattinata, paletta della polizia. Pullman bloccati, perquisizione invasiva e agli antipodi del contenimento, ancora una volta in barba alla normativa sulla distanza sociale. Mani senza guanti dentro gli zainetti alla ricerca di chissà quale bomba atomica, mani senza guanti che nulla trovarono. L’ufficiale infine si guardò attorno, e intimò all’autista di seguirli. I pullman vennero portati in una specie di spiaggia libera in disuso, dove probabilmente la app di prenotazione di posti sulla sabbia non avrebbe funzionato. Anche qui la distanza sociale, con i piedi nell’acqua, le sguazzate di birra e le finte risse trovò l’apoteosi del proprio svilimento, travolta dalla noncuranza, dal menefreghismo e soprattutto dalla bonaria deficienza dei tifosi biancazzurri.
Si arrivò finalmente allo stadio Via Del Mare. All’entrata del settore ospiti arrivò Mimmo, il presumibile capo dei tifosi avversari, che assieme al suo luogotenente comunicò ai tifosi spallini che quel giorno in via del tutto eccezionale li avrebbero fatti assistere alla partita senza attaccarli. “E grazie al cazzo” pensò qualcuno ascoltando le sue parole. Soliti striscioni spallini: Asta Alcool, Spal Fans, Frangia, Nobiltà, Brigata 78, assieme ovviamente allo Zaganel, e un curioso ma sincero tributo alla apoteosi del succo d’uva, una pezza con scritto “Gruppo Veronelli”, nel nome di una delle tante eccellenze vinicole tanto care agli ultras ferraresi. Nei giorni successivi un noto quotidiano cittadino, parlando dei tifosi spallini presenti a Lecce e nominandone i gruppi presenti, parlò di un “Fantomatico Gruppo Vercelli”, simbolicamente schiaffeggiando le intenzioni tributarie degli appassionati del succo d’uva. Al ritmo di “chi non salta è un polentone” proveniente dalla curva leccese, le distanze sociali vennero reiteratamente violate dai tifosi spallini durante tutta la partita, per tutto il primo tempo Pablo e Sandro cantarono abbracciati saltando sputacchiandosi in faccia l’infinito coro ALE’ ALE’ SPAL ALEEEE’ ALE’ SPAL ALEEE’.Lecce in vantaggio, nella curva giallorossa migliaia di violazioni e diffusione a mille del contagio, con conseguente scoramento tra i 78, per un risultato apparentemente annunciato.
Colpo di coda biancazzurro, dopo pochi minuti arrivò la rete del pareggio spallino siglata da Nappi proprio sotto il settore ospiti, con abbracci e scambi di sudore reciproco a fior di pelle tra i tifosi ferraresi. Presi dall’entusiasmo per il gol, Atrenti e Renatino lanciarono in campo due torce, immediatamente redarguiti dalle forze dell’ordine, che ancora una volta violarono la distanza di sicurezza e strattonarono i due, probabilmente sputacchiando germi e milioni di particelle potenzialmente virali (assieme alle solite minacce ed improperi) addosso ai due malcapitati ferraresi, oltretutto rei anche di aver introdotto ed utilizzato materiale pirotecnico all’interno dello stadio. Non paghi, i tifosi spallini, contravvenendo ad ogni sorta di regola sportiva e di buon vicinato, cominciarono a rilanciare verso il settore adiacente circa la medesima totalità degli oggetti che stavano arrivando dal suddetto settore dopo il pareggio della SPAL, reagendo d’impulso ed abbassandosi alla antisportività di quei simpatici tifosi di casa che contravvenivano loro per primi a queste regole passibili di sanzioni. Incidentalmente nel settore con i tifosi spallini vi era anche un rappresentante della SPAL, tale Poretti, che cercò invano di dissuadere gli spallini a restituire le cortesie che volavano dal settore adiacente, invitandoli a mantenere la calma, prendendosi però una sonora dose di improperi e spintoni, probabilmente meritati.
Finì 1-1, i tifosi spallini tornarono ai pullman, non vi era nessuno steward che misurava la febbre o che si assicurasse della pulizia delle mani. La diffusione germinale stava vivendo il suo apice. Partenza in direzione nord per il lunghissimo viaggio interregionale, alla faccia di qualsiasi eventuale zona rossa. Dopo praticamente un’altra vita di viaggio, già tutti stremati ed infetti per la ormai fuori controllo promiscuità dell’ambiente malsano del pullman, la voce roca di Leonzio di Massa Fiscaglia tuonò, rivolta al guidatore:
“AUTISTA… NDU’ SEGNA?” – “A CERIGNOLA” rispose l’uomo al volante. “D** MAIAL SA SEN LUNTAN!”. Probabilmente chi era seduto a fianco di Leonzio fu investito da migliaia di guarnigioni di batteri e bacilli, capaci di creare impennate di febbre istantanea a tutti nel giro di quattro metri quadri, ovvero circa dodici persone (l’importanza del distanziamento!). Dopo Cerignola, arrivò la fermata all’Autogrill. Dieci pullman di perugini di ritorno da Monopoli.
Ecco.
A sen a post.
I ferraresi scesero, non senza qualche patema d’animo, in questi casi infatti il tampone può non essere sufficiente, se si tratta di ferita lacero-contusa. Vi fu indifferenza, nessuno schieramento e nessuna provocazione, tutto sembrava essere tranquillo. Un perugino isolato venne a parlare agli spallini, nello specifico con Atrenti, pure lui non rispettando la distanza sociale, e probabilmente diffondendo ulteriormente il virus. Non vi erano sentori di pericolo o di eventuale scontro, quando ad un certo punto Chewbe arrivò da dietro al perugino e gli prese il cappellino biancorosso che aveva in testa. Il perugino interdetto gli chiese una rapida spiegazione, ma Chewbe si allontanò bofonchiando una specie di “beh va beh…”. La conversazione durò ancora qualche minuto, quando il perugino ritornò, apparentemente senza reclamare nulla, verso il suo pullman. Un’ultima cosa disse, nel congedarsi da Atrenti, esprimendo una domanda tra sé e sé: “ma… comunque non ho ancora capito se il cappellino me l’ha rubato o gliel’ho regalato”. Con il sorriso più rassicurante che aveva, il lancia torce in campo rispose: Nooo, tranquillo, GLIEL’HAI REGALATO!” – apparentemente non lasciando trasparire la preoccupazione che lo stava rodendo. Il perugino se ne andò perplesso, anche se poi fortunatamente nulla accadde.
I pullman spallini ripresero la marcia, nuove masserizie abbellirono il fondale interno del torpedone, e nuove promiscuità alcoliche, alimentari e salivari vennero perpetrate, sempre con il sottofondo di Chewbe che dalla ultima fila, col megafono, continuava a ripetere “C’E’ UN PERUGINO CHIUSO NEL BAGNO!”. I chilometri venivano macinati lentamente ma inesorabilmente, il distanziamento sociale, mai esistito fino a quel momento, era ormai utopia pura. La apoteosi fu però raggiunta negli ultimi 200 chilometri di rush finale sulla A14, quando il pullman porcile era ormai diventato un unico e insano ricettacolo di cadaveri organici ed inorganici di qualsiasi tipo. Ovunque, tra i sedili e soprattutto nel corridoio, giacevano lattine e fusti di birra, bottiglie di vino, pacchetti di biscotti e di sigarette, cartacce, sputi, vomito, muco nasale, fango, cappellino del perugino e inquinamento atmosferico causato da reiterate flatulenze anali ed orali. Letteralmente una discarica lanciata ai 120 all’ora sulla A14. Ma come disse John Belushi in Animal House, “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”.
E così fu.
Accadde infatti che, stremati dal viaggio, due eroi dell’ultim’ora, Pablo e Blacky, temerari veri sprezzanti del pericolo radioattivo tendente al contagio più grave e pestilenziale, decisero, a mali estremi, di DISTENDERSI LUNGO IL CORRIDOIO, a pancia in giù e con la faccia in mezzo alla santabarbara di schifezze nauseabonde putrescenti e rivoltanti che formavano il materasso di rifiuti. La cosa veramente entusiasmante fu che riuscirono, entrambi, a dormire angelicamente per almeno un paio d’ore, fino all’arrivo al bar Astra attorno alle 7.30 di lunedì mattina, con l’edicola all’angolo con via Fausto Beretta che aveva come strillo il titolo sul pareggio della SPAL, corredato dalla foto dei tifosi a tutta pagina. I reportage tossicologici e le approfondite analisi dell’ASL sul pullman infetto post trasferta sono ancora attualmente coperti da segreto di Stato, ancora secretati negli uffici di via Cassoli, ultimo piano.
a cura di Daniele Vecchi