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Massimo Ambrosini, che di partite nella sua vita ne ha viste parecchie, nel corso della telecronaca di SPAL-Milan su Sky si è lanciato in un paragone abbastanza ardito, pochi istanti dopo l’autogol di Vicari che ha fissato il punteggio sul definitivo 2-2.

Con un collegamento che ha intrecciato rapide capacità di intuizione e spirito d’aziendalista di razza, l’ex centrocampista del Milan ha paragonato la deviazione di Vicari a quella che vide protagonista Andrés Escobar, il capitano della nazionale colombiana ai mondiali di USA 1994. Proprio in questi giorni nel palinsesto di Sky Sport è in rotazione il documentario “The two Escobars”, un’opera del 2010 che racconta la vicenda parallela del forte difensore dei Cafeteros e Pablo Escobar, uno dei più noti narcotrafficanti della storia. Visione che peraltro ci sentiamo di consigliare, in quanto si tratta di un documentario pluri-premiato e di grande spessore.

 

Il parallelo di Ambrosini, se ci si concentra sulla dinamica delle due azioni, ha un fondamento: le situazioni di gioco si assomigliano vagamente, per quanto nel caso di Escobar la posizione fosse leggermente più avanzata e centrale, e vicino a lui si trovasse un avversario (Earnie Stewart, 136 gol in carriera) in agguato. Nel caso di Vicari il pericolo imminente potrebbe essere stato da rappresentato da Leao alle sue spalle (seppure fosse un po’ in ritardo) e dal più temibile Ibrahimovic in arrivo dalle parti del secondo palo, con la per nulla scontata marcatura di Tomovic.

Il dibattito sulle effettive responsabilità di Vicari è ancora in corso tra tifosi e addetti ai lavori. L’oggetto del contendere è il concetto di errore: quello del numero 23 può essere considerato tale, al punto da attribuirgli il peccato dei due punti lasciati per strada? L’idea di chi scrive è che “errore” sia un termine improprio. Al pari di quanto fece Escobar in quel torrido pomeriggio di Pasadena, Vicari ha operato una scelta istintiva e che sotto il profilo tecnico si fatica a definire come sbagliata. In 4 casi su 5 deviazioni del genere valgono degli applausi a chi le fa, ammesso ci sia il pubblico. Forse si può parlare di giocata avventata e un filo maldestra nell’esecuzione, ma un difensore che ha giocato 100 minuti di partita in piena estate (peraltro la terza in 8 giorni), con la squadra in dieci e con un disperato bisogno di una vittoria dispone di una notevole gamma di attenuanti.

Se Vicari fosse stato l’automa difensivo che in questa circostanza gli si chiedeva di essere, avrebbe dovuto – con una certa capacità soprannaturale – rendersi conto della distanza da Leao e provare a controllare con maggior calma quel pallone, anziché scegliere di deviarlo sul fondo per concedere un calcio d’angolo. Non era affatto facile: l’azione del Milan si è sviluppata in velocità grazie a un recupero di palla propiziato da una pressione eccessivamente alta di Sala. La sua assenza nella linea arretrata non solo ha imposto alla SPAL di “scappare” rapidamente all’indietro per recuperare posizione, ma ha anche costretto Salamon ad allargarsi sulla sinistra per seguire il ben più rapido Saelemaekers. Il belga a quel punto ha fatto l’unica cosa da fare in quel momento della partita: mettere un cross teso a favore degli attaccanti in area, nella speranza che arrivasse qualcuno a raccoglierlo.

L’autogol di Vicari rimarrà come una delle fotografie di una stagione sciagurata, piena (quella sì) di errori banali, scelte sbagliate e sfortune assortite. Un po’ come il volto attonito di Andrés Escobar rappresenta ancora oggi un fotogramma-chiave del mondiale 1994 e della storia della nazionale colombiana. Vicari ed Escobar probabilmente hanno condiviso lo stesso senso di disperazione e colpa, quello di chi si rende conto che la storia avrebbe potuta essere diversa se non ci fosse stato quell’infortunio. Se ci fosse stata anche solo la possibilità di considerare un’opzione diversa nello spazio di una frazione di secondo. Hanno vissuto entrambi questa esperienza da giocatori nel fiore degli anni (26 Vicari, 27 Escobar) in una partita ricca di tensione. Escobar quel giorno non indossava la fascia da capitano solo perché Carlos Valderrama era destinato a lasciargliela dopo il mondiale. Un po’ come Floccari l’ha lasciata a Vicari dopo la sostituzione.

Escobar era noto come El Caballero del fútbol – il gentiluomo del calcio – per i modi garbati fuori dal campo e l’eleganza nell’incedere quando ne calpestava uno. Difficile che Vicari possa ispirarsi a lui in qualche modo, visto che è nato ad esattamente un mese di distanza dal giorno in cui il centrale colombiano fu assassinato a Medellìn dopo una discussione con dei balordi. Tuttavia il difensore della SPAL può quantomeno fare sue le parole che Escobar pronunciò nel 1994 in una delle sue ultime interviste: “La vita non finisce qui. Dobbiamo andare avanti, perché la vita non può finire qui. Non importa quanto sia difficile, dobbiamo rialzarci. Abbiamo solo due opzioni: o permettere alla rabbia di paralizzarci o superarla e fare del nostro meglio per aiutarci gli uni con gli altri“. Una lezione che trascende il concetto di errore.