Che dire? Forse quest’anno scriverò meno, (o forse no, quando si parla di S.P.A.L. sono completamente inaffidabile), ma non per protesta nei confronti dell’assurdità del mondo. Solo per non essere ripetitivo. Ho il grandissimo onore di scrivere della mia passione, senza freni e senza limiti, da quattro anni. Avete presente il culo? Dopo quarant’anni di appassionata militanza ho scritto di una vittoria, storica e impossibile del secondo campionato di serie B, ho tradotto (bene o male) le mie emozioni in parole in tre campionati di prima serie. Ho commentato a modo mio – quindi senza velleità giornalistiche – vittorie impensabili, coreografie da favola, lacrime, molte lacrime e magoni, in onore di una storia ricca e piena di orgoglio.
Ma ora? Che cazzo scrivo?
Attenzione, non ce l’ho con Big Pharma, col dittatore della Nonsokekazzia o col governo. Ce l’ho con sto virus merdo che mi tiene lontano dalla mia casa di cura. Pure questo l’ho già scritto negli ultimi due articoli dell’anno Coviddi. Ieri sera ho visto (udite, udite) la partita comodamente disteso sul divano del salotto, in diretta, con tutte le comodità del caso, i miei colori in tv, sul canale 57. Che poi quest’anno è la seconda di fila che vedo così, che sommate a tutte le altre volte che ho visto la mia squadra in televisione si arriva (forse) a superare le cinque o sei partite. Non provo emozioni, sono vuoto. Non c’è paragone rispetto alle volte che mi relegavo nella mia stanza-sgabuzzino, con il tv con lo schermo nero ad ascoltarmi la radiocronaca. Oppure con un telefonino giurassico che si impalla, o ancora seguendo un cronaca scritta aggiornabile, con le mani perennemente aggrappate alle estremità, o da una radio gialla apribile in due metà nei primi anni Ottanta, seduto in cerchio nel campetto di via Carlo Cattaneo. Chiaro non ho nemmeno scomodato il paragone con lo stadio e con la curva, in piedi sul mio spicchio di gradone a partecipare e vivere la partita. Dice perché non provi emozioni? Perché questa roba qui non è calcio. I mille (fortunati?) che hanno assistito alla partita al Mazza mi hanno messo un ancor maggiore tristezza, ma non per loro, o perché erano pochi o perché ho sentito un coraggioso forza SPAL e due batti mani ritmati. Loro non c’entrano, è tutto il contorno che stride.
Se poi vogliamo dirla tutta, una telecronaca così triste mi è capitata di sentirla forse mai. Le telecronache sulla R.E.I. mi davano la carica, si sentiva che chi commentava era dei nostri era l’espressione via etere di un tifo che andava oltre la mera passione sportiva, per non parlare delle immagini in bianco e nero, a risoluzione zero di Telemondo Ferrarese, sponsorizzate dal gommista di Foro Boario. Un altro mondo, un secolo fa, un pallone con gli spicchi, le scarpe nere dei giocatori. E come sempre sono fuori tema. Ma questa è la mia piccola testa, la S.P.A.L. mi fa annegare nei ricordi di quattro decenni, di una vita, di un percorso che ebbe inizio nel 1977.
Tornando alla partita: ho visto tanta roba, nei ragazzi e nel mister che rappresentano oggi il mio sogno. Ho visto, volendo per forza fare dei nomi, i fratelli Esposito, il gigante Demba, Sernicola. Bravi ragazzi, grande impegno, voglia e coraggio di rappresentare un piccola squadra di una piccola città dal grande cuore, che nel Cinquecento era New York e che solo sette o otto mesi fa era sospinta del tornado della Ovest. Una curva, la mia casa, che ha dato sfoggio di coreografie, canzoni e colori da scoppia testa. Immagini, arte e cultura che in tanti se li possono sognare. Quel vento da Ovest, manca come l’aria, manca pure il mio piccolo soffio, assieme alla geriatria dei miei compagni di gradone, da Suria che critica la squadra dal riscaldamento ma c’è sempre, da Mela che scancara due gradoni dietro, a White che mi affianca e tiene un asta del Vecchio Pigs, a tutti gli altri che mi mancano terribilmente. Ritorneremo, non so quando, non credo presto.
Continuerò, senza soluzione di continuità a vederla in tv, sicuramente molte le salterò. Auguro ai ragazzi che indossano la nostra casacchina a righe sottili di provare la pelle d’oca sentendo il boato della Ovest, ascoltando le ripetute, ascoltando il “treno” fatto col battito ritmato delle mani. Auguro ai più giovani di attaccare e correre sotto la Ovest, di segnare un gol sotto la curva. Queste immagini e questo sogno riempiono una carriera. I due capitani questo lo hanno provato, Sergio & Mirco ieri con due casacche diverse, hanno avuto il privilegio di togliersi la maglia sotto il muro della Ovest, chiedete a loro e capirete le mie parole.
“3 anni di emozioni e ricordi. La Ovest saluta Mirco Antenucci. Curva Ovest Ferrara”. Chi è uomo e indossa la nostra maglia, rimarrà per sempre uno di noi. Avanti tigrotti (cit.) fateci vedere chi siete. Anzi, chi siamo.
ps: Occorre cambiare il regolamento, un goal in rovesciata, dopo uno stop di petto, NON può essere annullato, nemmeno in caso di fuorigioco di sessanta metri. In bocca al lupo capitano. Forza vecchio cuore biancazzurro.