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Tanti auguri vecchia SPAL, ci manchi e lo so che anche noi ti manchiamo. Finisce un brutto anno e la retrocessione non c’entra. Un anno in cui il mondo ha capito il significato di vacuità, dell’essere in prestito, leggeri e flebili come un fuscello nella tempesta. Non ne usciremo migliori. Ma questo voleva essere un messaggio d’augurio e allora che sia. La lontananza è un percorso, che prima o poi finirà, ritorneremo ad abbracciarci e ad abbracciarti, ci faremo conoscere ai più giovani. Nel mentre chiedete a Sergione e Francesco, cosa significa correre sotto la Ovest con uno stadio che ti spinge, con un groppo in gola comune a migliaia di persone. Non mi soffermerò sui difetti dei ferraresi: sono molti e molto visibili, cercherò i pregi. Immaginatevi un muro che canta, sgranate gli occhi di fronte a tutte quelle bandiere, due aste, sciarpe e cappellini. Stipati come da indicazioni di legge, ma pure di più, quelle partite che quando arrivi un ora prima del fischio d’inizio devi stare tra un gradone e l’altro, come le macchine parcheggiate in Porta Po. Guardateci. Siamo lì di fronte a voi, abbiamo vinto a testa o croce e si attacca il secondo tempo sotto la curva. Sentiteli i tamburi, sembrano la batteria dei Deep Purple.

Arriveranno il caldo, il sole, la luce. Ci lamenteremo perché siamo di Ferrara e rompiamo il cazzo ad ogni stagione, c’è troppo freddo, c’è troppo caldo, c’è troppo tiepido. Ma siamo qua, in piedi a cantare. Vi trasciniamo ragazzi, il dodicesimo c’è sempre stato. Alcuni c’erano pure quando c’era il nulla, quando in campo scendevano gli zombie, quando i nostri colori erano stinti, quando ci dicevano: “Ancora alla SPAL”, “Ma esiste ancora”, “In che categoria giocate? Serie Z?”. Siamo stati fuori moda e fuori tempo. Venti ragazzi abbracciati negli spazi aperti di una curva vuota, a cantare pure nei dilettanti, amici miei che ti hanno seguita fino a Timbuctu, due macchine, dieci birre e uno striscione. Siamo ancora lì vecchia SPAL. Non ci vedi, lo stadio è vuoto e rimbomba nelle grida del silenzio. Siamo attaccati alle radioline, forse anche alle tv (ma non ci piace e mai ci piacerà), l’amore a distanza rende ciechi.

Mi rivolgo soprattutto ai ventenni che quest’anno indossano la nostra casacca elegante come un camicia di sartoria. Voi che siete all’inizio di una grande carriera, che magari più avanti giocherete di fronte a ottantamila spettatori chiudete gli occhi e ascoltate le nostre ripetute, lunghe come un bacio appassionato. Ma ne avete un idea del boato dopo un gol al novantesimo, in questa piccola bombonera incastonata nel quartiere giardino a due passi dal centro storico? Vi garantisco ragazzi, che se anche solo una volta sentirete quel grido, dico quello che noi da lassù neanche riusciamo a sentire la nostra voce, quel grido che è uno e uno soltanto e dura un secolo, e si sente fino in Foro Boario, fa tremate le quattro torri, i due Torrioni, rimbalza sulle campane del duomo, scheggia ogni diamante del palazzo, toglie l’asfalto dalla Ferrara-mare e fa volare in cielo le strisce pedonali. Ecco quel grido ve lo prometto, lo sentirete. E mai più lo scorderete.

Nessun proclama per l’anno nuovo, chi mi conosce sa che non faccio previsioni, che credo nella sfiga più che nella fortuna, solo una volta ne feci una. Una figura statuaria, appena entrata in campo, si elevò nella biosfera e con la brina sui capelli segnò il suo primo gol con i nostri colori. Lì da ateo convinto vidi la luce laggiù oltre il curvino, oltre i giardini della mutua. Stranamente quella previsione l’azzeccai. E fu l’apoteosi. La speranza che voglio condividere con voi è quella di poterci incontrare davvero, voi in campo noi sugli spalti, sperando di non morire annegato nelle lacrime di gioia, a galla sopra una leggerissima birra del bar piccolo della curva, quella con due gradi alcolici più dell’acqua. Quell’incontro, vi farà capire quanta vi siamo mancati. Le endorfine della partita allo stadio ci mancano come l’acqua nel deserto, come il vino bianco in una cena di pesce, come un Chianti davanti a una bistecca al sangue. Sembra tutto troppo, sembrano esagerate le mie parole, come sempre, un mondo reale che per novanta minuti non esiste, nessun problema, nessuna vita, nessuna angoscia, se non l’ansia per una vittoria. Ancora una, come sempre, di campionato in campionato, tutte le stagioni su quei gradoni, avvinti come l’edera ad un sogno che non muore mai, aggrappato come è alla nostra storia. Un viandante che passeggia per Via Ercole d’Este, incoccia il castello, percorre Viale Cavour e come una sirena viene attratto dal Paolo Mazza, dai suoi colori, dai suoi profumi, dalla luce delle sue torri.

Tanti auguri ragazzi, tanti auguri Mister, tanti auguri Direttore, tanti auguri Pres, tanti auguri famiglia Colombarini, tanti auguri ai lettori e allo staff de “LoSpallino”, tanti auguri a tutti noi, giovani e vecchi cuori biancazzurri.