Mentre stavo tagliando le seppie che ci saremmo fatti coi piselli, ma senza piselli perché ho dimenticato di acquistarli, pensavo. Alle volte mi allibisco delle mie capacità, tagliare e pensare quasi contemporaneamente, ma a me e dico a me, non a voi, che me ne fotte se la SPAL vince giocando bene o giocando male? Non sono sempre tre punti? Cioè se sabato avessimo vinto undici contro undici, con quattro gol in rovesciata, otto cross di rabona, tre pali colpiti in tuffo e dieci lanci di quaranta metri sullo scarpino dell’ala destra, quanti punti avremmo fatto? Tre. Dice: ma che c’entra, abbiamo giocato male, avremmo dovuto aggredire più alti (che poi io manco so che cazzo vuol dire), avremmo dovuto fraseggiare di più (mica siamo a una gara di poesia), sì ma ci manca la grinta. E chi lo dice? Avevamo 36 giocatori in diffida e oggi poi il filosofo non è neppure stato ammonito. Perché dovrebbe essere così importante, per me che non vedo la partita, una vittoria sfolgorante? Quello che mi turba e mi scazza tutta la settimana è una sconfitta giocata male, non una vittoria.
So che in tanti vorrebbero il bel gioco, calcio champagne, l’hop-hop e tiro in porta, nessun passaggio in orizzontale, corse a perdifiato col pallone tra i piedi verso la curva terrestre senza vedere la porta avversaria per intere settimane, alla Holly&Benji. Ma a che pro? Il calcio è morto e sepolto da secoli, dopo aver visto la SPAL del Sor Mario e la grande Olanda di Cruijff non c’è più nulla da inventare. Per me una vittoria della SPAL ascoltata alla radio non deve entusiasmarmi, deve solo sostenermi. Deve essere l’ossigeno per ricominciare una settimana dentro al mio bunker di cantiere dentro al petrolchimico. Nulla di più, nulla di meno. Quest’anno io lo vivo, come tutti voi da lontano e senza drammi e quello che chiedo è solo di perdere il meno possibile, perché un lunedì post sconfitta è quasi inaffrontabile. Stiamo nei playoff, che notoriamente ci hanno sempre portato un gran culo (battuta) e poi stiamo a vedere. Io di mio chiedo poco, un gol di Floccari, Paloschino in doppia cifra e qualche golletto di Luca, ragazzi che lottino fino alla fine e l’esplosione primaverile di Raúl e Tumminello. Tutto qui.
La partita l’ho ascoltata fuori dalla mia camera da eremita, assieme alla mie ragazze che si guardavano bellamente Amici di Maria De Filippi. Uff, lo so che ora direte, ma tu proprio tu che sei un fan dei Corrente Alternata e Corrente Continua ti guardi sta roba? Con la SPAL in cuffia tra tv accesa e spenta nulla cambia, i miei occhi sono sintonizzati sulle parole di Sandro e il mio neurone si comporta come quando facevo il guardiano in un magazzino vuoto. Cosa? Vabbè dopo ve la racconto. La mia piccola mente si costruisce come una specie di rendering, le immagini dei ragazzi che sgambettano dietro al pallone e non vede la realtà. Ecco perché riesco ad accettare benissimo una vittoria anche mal giocata, perché io me la ricostruisco come voglio. Molto diverso è l’accettazione della sconfitta, per metabolizzare mi occorre fino alla partita dopo, che se poi si perde anche quella mi viene una carogna che mi dura un mese.
Beh, volete sapere la storia del magazzino vuoto? Ve la racconto lo stesso. Età dell’ignoranza, fresco di diploma con 35 e due figure al Liceo Ariosto, mi lancio nel mondo del lavoro. Io e qualche amico (pagati) diamo una mano ad un tizio a traslocare la sua attività da Francolino a Malborghetto. Il tizio mi propone, senza contratto, di lavorare per lui come assistente e guardiano del suo nuovo capannone. Accetto, ma gli amici mi dicono che il personaggio paga all’inizio e poi comincia scantinare, me la segno. Primo giorno di lavoro, mi presento ben pimpante. Il capo mi lascia le consegne: “Alle dieci deve arrivare Tizio, alle undici Caio, tu gli dici questo e quello, poi nel pomeriggio arriva Bagai”.
“E poi?” dico io.
“E poi vediamo”.
Una stanzina due metri per due era il mio ufficio, con una stufetta elettrica fuori norna, all’intorno una magazzino di mila metri quadrati vuoto. VUOTO. Otto ore e non arriva anima viva. Non c’erano i telefonini, nessun computer. Fumo come due turchi. Poi improvvisamente, il genio. Vedo della carta e un nastro di carta gommata. Mi faccio una palla e mi alleno da solo nella vastità del nulla del magazzino. Corro, palleggio e mi faccio da solo la telecronaca. Mescolo i nomi: Ferioli, la dà a Ferrari, che la passa a Giani, spizzo di testa di Gibo e Cina la mette. Gooooooooooooool!. Ecco, questo per tre settimane. Poi il tizio si stufò di sentirsi chiedere i soldi tutti i santi giorni, (mi avevano detto che pagava male), quindi prevenire è meglio che curare. Forza vecchio cuore biancazzurro.