A conti fatti Andrea Catellani è arrivato alla SPAL con cinque anni di ritardo. Non come giocatore nella fase finale della sua carriera – è coetaneo, per dire, di Luca Mora (1988) – ma come dirigente. Nello specifico responsabile del settore giovanile. Un ruolo che l’ex attaccante di Reggiana, Modena e Spezia (tra le altre) probabilmente immaginava per il suo futuro, ma che gli eventi gli hanno consegnato in largo anticipo. Colpa di un’aritmia cardiaca che gli ha imposto di chiudere col calcio giocato ad appena 29 anni.
Senza più una porta avversaria da puntare (vanta 72 gol tra i professionisti) Catellani vuole togliersi nuove soddisfazioni nelle vesti di dirigente. In parte l’ha già fatto al Chievo Verona, dove ha lavorato fin dal 2018. Ora è chiamato a dare continuità al lavoro impostato da Ruggero Ludergnani, passato al Torino nel corso dell’estate.
Qual è la filosofia di settore giovanile secondo Andrea Catellani?
“Per me fare settore giovanile significa tirare fuori il massimo potenziale dai ragazzi. Credo che si debba essere totalmente al loro servizio e non viceversa. Ogni ragazzo non è un semplice numero: ha le sue caratteristiche, i suoi punti di forza e i suoi punti deboli. Sta a noi, inteso come tutte le persone che operano in questo ambito, metterlo nelle migliori condizioni per divertirsi e trovare un’ambiente che sia quanto più simile ad una famiglia. Questa è la caratteristica principale del mio settore giovanile: deve essere familiare. Un posto dove i giovani calciatori respirano fiducia e possono sbagliare, sapendo di avere supporto totale. L’errore fa parte del processo di crescita, ma sono sempre dell’idea di valorizzare il pregio anziché criticare il difetto”.
Con il passaggio di proprietà ci sono stati diversi cambiamenti nella struttura societaria. Cosa l’ha spinta a scegliere Ferrara dopo l’esperienza al Chievo? Che differenze e analogie ha riscontrato rispetto alla sua precedente esperienza?
“Sicuramente ho scelto la SPAL perché ho trovato una società che aveva svolto un grandissimo lavoro negli ultimi anni. Era stato costruito un tessuto importante, con investimenti mirati che avrebbero portato risultati importanti nel lungo termine. Credo che sia stato facile scegliere anche perché conosco la tradizione e l’attaccamento dei tifosi per questi colori. Abbiamo la grande fortuna di avere un’unica squadra per questa città: i bambini nascono in famiglie che tifano SPAL e questo aspetto, per il settore giovanile, è un grande vantaggio. Quando ho smesso di giocare ho avuto la fortuna di lavorare nel settore giovanile dell’Entella, dove ho conosciuto una realtà particolare, di piccole dimensioni ma con buone risorse da investire nel settore giovanile”.
“L’esperienza successiva a Verona è stata molto caratteristica: ero in una città dove l’80% dei tifosi tifa Hellas. Di conseguenza ho dovuto lavorare con armi diverse perché non si poteva certo puntare sull’appartenenza. Arrivato a Ferrara il primo aspetto che ho riconosciuto è stata la grande identificazione coi colori biancazzurri. Questo è il principio su cui voglio lavorare. Alla fine è stato molto semplice entrare in questa nuova realtà: grazie al lavoro del mio predecessore (Ruggero Ludergnani, ndr) era già stata inculcata una grossa cultura di investimento sul settore giovanile. Ho trovato un ambiente aperto, che punta solo ed esclusivamente al bene della società”.
Che cosa ha portato di suo in un settore giovanile già solido come quello biancazzurro?
“Fin da subito ho cercato di portare le mie idee, ma senza stravolgimenti. È stato facile applicarle in una struttura così evoluta in tema di calcio giovanile. Dopo soli tre mesi non pensavo di essere così avanti nell’ambientamento. Il fatto che la società mi abbia permesso di portare a Ferrara allenatori che prediligono la mia stessa idea di calcio è stato senza dubbio un grosso vantaggio. La mia concezione di settore giovanile è quella di costruire squadre che abbiano una forte identità, che facciano la partita e a prescindere dall’avversario possano giocare secondo il loro credo calcistico. Mi piace la costruzione del gioco dal basso e l’idea di imporre il ritmo, indipendentemente da quale potrà essere il risultato. Penso che questo sia il percorso più formativo per i ragazzi, perché permette loro di assumersi delle responsabilità, di poter scegliere e di sbagliare, ma credo che potendo andare sempre in campo con la massima ambizione di poter fare la partita, senza pensare troppo a chi si ha davanti, li porterà ad avere tantissime occasioni di crescita”.
Il collegamento con il territorio in cui si lavora ha una grande importanza strategica. Come viene gestita la rete di rapporti con le società affiliate, che in molti casi rappresentano il primo passo nella carriera di un calciatore?
“La collaborazione con le società affiliate è importantissima. Negli ultimi anni questo aspetto è stato sviluppato, ma può certamente essere migliorato. Credo però che, ancora prima di parlare di affiliazione, sia fondamentale parlare di rapporti umani. Di farsi conoscere e generare fiducia nelle persone. Credo che questo sia alla base di ciò che voglio fare in questa società: voglio che le persone ci conoscano, sappiano come lavoriamo e imparino a fidarsi di noi. Sto trasmettendo un’operatività che possa portare la SPAL al servizio delle società dilettantistiche, che la società venga identificata come un volano per la crescita di tutte queste realtà. Sono sicuro che creando questo rapporto di fiducia si possano costruire legami duraturi nel tempo, a prescindere che ci sia o meno una firma di affiliazione. L’affiliazione può essere una conseguenza di un rapporto basato tra persone. La politica di rapporti con le realtà minori sarà senza dubbio al centro del mio lavoro”.
Affiliazione ma anche scouting, per scovare anche i talenti più lontani dal territorio. Come avviene questo processo e cosa si va a considerare, prima di tutto, quando si decide di puntare su un potenziale talento?
“A me piace tanto delegare e sono circondato da persone che hanno la mia totale fiducia. Al momento delle scelte la decisione su un singolo calciatore la posso prendere io oppure allo stesso modo i miei collaboratori. Tutti abbiamo la stessa visione di quello che stiamo cercando. Per me lo scouting parte comunque sempre dal territorio. Lavorare in un settore giovanile di questo calibro significa partire dai ragazzi della zona, o al massimo delle aree limitrofe. Quando riesci a costruirti uno zoccolo duro di ragazzi provenienti dall’attività di base, che sono con te da tanti anni, è fondamentale completare le squadre con elementi che devono avere potenziale. Non ci interessa scegliere giocatori pronti nell’immediato, che possano far vincere qualche partita in più alle squadre del vivaio. Mi interessa invece avere giocatori che abbiano il potenziale per essere pronti a ridosso della prima squadra. Quello è l’obiettivo societario. Quello significa per me patrimonializzare e creare un capitale di risorse che, tra investimenti e utili, possa garantire a medio lungo termine una sostenibilità per questa proprietà”.
“Ormai il settore giovanile va considerato come il ramo di un’azienda e, di conseguenza, ogni investimento va ponderato sul medio-lungo termine. Mi piace lavorare con giocatori di proprietà che possano essere un asset per la società. Se saremo bravi a trovare l’investimento giusto e capire che tipi di giocatori verranno richiesti dal mercato potremo far valere un vantaggio competitivo. La situazione di Seck è abbastanza lampante in questo senso: non è detto che i giocatori debbano avere un percorso lineare all’interno di un settore giovanile. Magari c’è bisogno di diverse esperienze e non per forza queste devono avvenire all’interno della squadra che ne detiene il cartellino. Se c’è potenziale, prima o poi emerge”.
Come si riesce a competere con le tentazioni delle grandi squadre? Come si convince un adolescente a scegliere un club come la SPAL piuttosto che una società affermata a grandi livelli?
“Sarò onesto: credo che ad oggi la SPAL abbia ancora le dimensioni di una grande famiglia. I ragazzi vedono una società all’avanguardia per quanto riguarda le strutture e gli staff, perché credo che in questo momento a livello di tecnici abbiamo un organico tra i primi cinque in Italia. Lo dice il curriculum dei nostri allenatori. E ringrazio la società per avermi dato l’opportunità di completare i nostri organigrammi con dei nomi che rappresentano un vanto. Senza dubbio conta anche l’attenzione che ogni società riserva al settore giovanile. Questo è un aspetto che tutti ci riconoscono in Italia. Il progetto SPAL, supportato dall’entusiasmo e dalle idee del presidente Tacopina, nei prossimi anni potrà rappresentare qualcosa di davvero unico nel panorama italiano”.
Uno sguardo alle singole squadre che compongono il vivaio spallino: come sono andati questi primi mesi nella nuova stagione?
“In generale siamo molto contenti, perché questo inizio di stagione ci ha confermato la presenza di molti prospetti che possono diventare dei calciatori importanti per la nostra società. Basta guardare le convocazioni delle varie nazionali Under: spesso sono giocatori delle big più alcuni ragazzi della SPAL. Questo ci sta dando tanta forza anche nell’appeal, perché da fuori vedono che a livello nazionale c’è tanta attenzione alla nostra realtà. Quando una società dimostra coi fatti di dare spazio ai giovani poi a tutti i livelli acquisti credibilità. Dobbiamo essere bravi a tutelare quelli che sono già a buon punto e quelli che ancora devono emergere. Non mi spaventa se in questo momento qualcuno è più indietro”.