Al tròp pènsàr al deriva dal pòc capìr dice una famoso detto ferrarese e direi che l’analisi della partita potrebbe limitarsi a questo. Ma pure a meno, difatti io potrei pure non scrivere. Scrivo di emozioni, farfalle e farfalline nello stomaco, emozioni e poetiche immagini di cieli bianchi e azzurri, ma quando la S.P.A.L. perde mi si nebulizzano le palle. E dire che da spallino ci dovrei essere abituato, ma così non è, interiorizzo, metabolizzo, ma da soli 45 anni le tante sconfitte mi ammorbano, più di quanto mi esaltino le mirabolanti vittorie. Che poi alla fine non è neanche vero, ma una qualche cazzata la devo pure scrivere. Involuzione, dicono i sofisti, titic e titoc dicono gli altri. E dire che si era partiti assai bene, ce la smazzavamo in geriatria sostenendo che era meglio essere attaccati che affrontare una squadra tutta chiusa dalle parti dell’area di rigore. Vero è che abbiamo perso la monetina e già questa non è stato una grande partenza. Ma torniamo al prima.
Con tutta calma mi faccio una piadina verso le dodici e un quarto, con wurstel, stracchino, coppa (d’estate) e una Corona in lattina, nel tripudio della diversità. Gli amici miei del collettivo me ne diranno di tutti i colori, ma d’altronde, con abbinamenti del genere me lo merito. Parcheggio al solito posto, faccio il tragitto verso il tempio con un’amica e sua figlia, rimanendo estremamente concentrato nel cercare di calpestare i miei passi canonici durante il percorso. Perché se è vero come è vero che la cabala non esiste, che l’Illuminismo ha sgomberato le menti dell’umanità intera dalla superstizione, è pure vero che la scaramanzia nel calcio e nella pesca ha la sua zona franca. Entro e le note degli AC/DC mi riportano alla prima adolescenza, la mia musica da sempre da quel 1981 in cui con una BASF C90, tramite i tasti Play e Rec un compagno di classe mi registrò “For those about to rock”. Corrente alternata, corrente continua, AC/DC, puro e semplice rock and roll. Rock non come musica, ma come antro dell’anima, dove le parole non hanno importanza, dove i decibel non sono rumore ma scariche di adrenalina elettrica. Hard rock senza sconti, fine a sé stesso senza interferenze politiche, sociali, culturali, esempio di come la musica semplicemente scarica, scuote, emoziona, esplode. Dove la Gibson diavoletto di Angus viene suonata con una lametta da barba al posto del plettro, che taglia oltre alle corde della chitarra, anche i tendini ed i nervi di chi li ascolta. Ultimi, mai schiavi dello show business, la chitarra di Angus, l’urlo stridente ed acido di Brian, l’alito fetido come le fogne di Calcutta di Malcom, il rullante infinito di Phil, il basso elettrico suonato come una chitarra di Cliff, diventano un tutt’uno con il pubblico di tutte le età, razze ed estrazione sociale. Nei bagni del Red Lion Pub lessi un milione di anni fa una scritta. “Il dark è una moda il rock è una fede”. Una fede atea, blasfema, la cui unica preghiera la si suona con una chitarra elettrica. FOR THOSE ABOUT TO ROCK (WE SALUTE YOU).
Ehm, secondo me mi sono fatto prendere un attimo la mano, sarà che sto scrivendo a poco tempo dalla partita e ancora mi frullano. Che volevo dire? Ah sì, un piccolo appello agli speaker, augurare buona partita ai tifosi è come augurare buona pesca ai pescatori, porta una iazza che i gatti neri si toccano. Tempi grigi contro i grigi diceva un articolo dell’anno di GB, titolone puntualmente reiterato dopo la sconfitta odierna. Vorrei chiudere sto schifo di articolo con due note, anzi tre. Non ho apprezzato né gli applausi né i fischi: alla squadra non si può fare una critica sull’impegno e la voglia, ma la tendenza all’arruffarsi, il troppo pensare (e ritorniamo alla frase d’inizio) quello sì. In alcuni momenti della partita i ventidue in campo parevano una covata di pescegattini, tutti a mucchio, come noi bambini del Batiguàza quando giocavamo al campetto. Mille contro mille. Poi, io auguro a Pepito tutto il bene possibile, lui in quanto a sfiga c’entra assai con la spallinità, una rinascita in terra estense sarebbe un grandissima figata, una svolta per lui e pure per noi. Sperén. In ultimo, Mr. Taco ci puoi comprare il numero sette dei grigi? Pelato e simpatico come un riccio nelle mutande, ma ovunque e veramente tignoso. E comunque con la pioggia o col sereno, nella gioia e nel pianto, biancazzurro è il nostro vanto. Che rima di merda. Forza vecchio cuore biancazzurro.
foto: Filippo Rubin