Quando Salvatore Esposito arrivava alla SPAL dall’Inter il capitano della prima squadra era l’indimenticato Mirco Antenucci. La squadra di Semplici lottava alla prima stagione di A mentre il ragazzo di Castellammare veniva aggregato alla squadra Primavera. Era il gennaio 2018 ed Esposito veniva dalla trafila nelle giovanili nerazzurre.
All’epoca era il ragazzo bravo a tirare le punizioni, quindi la riserva di Viviani. A giugno di quest’anno sembrava pronto a fare la valigia e invece oggi la SPAL non può più fare a meno di lui. Tanto che al braccio sinistro porta la fascia che lo eleva ufficialmente a leader del gruppo. A guidarlo non è solo la maturità di un giocatore arrivato alla quarta stagione in serie B, ma anche una spiritualità profonda di cui ha potuto parlare nel corso di una tavola rotonda organizzata dal Serra Club di Ferrara, intitolata “Sport e Spiritualità“, alla quale hanno preso parte anche Alessandro Duran (ex campione europeo e mondiale di pugilato), Mauro Malaguti (Il Resto del Carlino), Sara Bonora (giocatrice e allenatrice Tchoukball Ferrara), Don Massimo Vacchetti (Diocesi di Bologna) e il direttore generale della SPAL Andrea Gazzoli.
Dalle storie Instagram pre partita con la Madonna al bacio all’anello e gli sguardi al cielo, dietro al Salvatore Esposito capitano biancazzurro e ragazzo di ventidue anni c’è molto di più, con la fede cattolica elemento cardine della vita privata e professionale: “Per me la fede e la scaramanzia sono cose differenti. Vengo da una famiglia molto credente e praticante e non mi vergogno a dire di esserlo anche io. Sono consapevole che nello sport sia difficile trovare ragazzi che vanno in chiesa o che credono in qualcosa in generale, ma io lo sono e mi sento fortunato. Le foto e la Madonna che posto su Instagram il giorno della partita sono come un rito, ma non mi prendo la responsabilità di dire che sia una cosa scaramantica. Ho ascoltato la storia di un campione (Alessandro Duran) e posso dire di aver imparato da questo racconto. Qualsiasi cosa dirò io passerà in secondo piano, perché abbiamo potuto sentire una persona che ha fatto sì che la fede lo aiutasse in una carriera importantissima”.
“È veramente difficile dare dei numeri su quanti calciatori al giorno d’oggi siano credenti. Al Chievo eravamo due o tre, alla SPAL siamo un po’ di più. Poi vai in Nazionale e c’è mister Mancini che è molto credente e a fine allenamento fa la messa. È difficile fare un percorso da soli, dipende dal contesto in cui sei: è più una cultura che ti trasmette la famiglia. È anche purtroppo una cosa che sta venendo a scemare e non bisognerebbe nascondersi: a oggi molti giovani si vergognano per il giudizio degli altri anche solo sul fatto di andare in chiesa. Avere qualcosa in cui credere è invece qualcosa che ti dà forza e secondo me è un valore aggiunto”.
Archiviato il lato spirituale, evidentemente rilevante, non poteva mancare qualche piccola curiosità sulla sfera privata del numero cinque, partendo da un quadretto abbastanza singolare andato in scena nella partita contro il Cosenza. In tribuna era presente, come spesso accade, la famiglia Esposito (mamma e papà), accompagnati dalla sorella, la quale sedeva a fianco del compagno Agostino Camigliano, difensore del Cosenza squalificato per il match contro i biancazzurri: “Pur separando la scaramanzia dalla fede, io sono molto scaramantico e lo è anche mio papà. Sabato mia sorella ha dovuto tifare per la SPAL anche perché sennò lui non l’avrebbe fatta venire allo stadio (ride, ndr). Mio papà ci ha trasmesso questa passione, siamo una famiglia molto legata al calcio e siamo molto uniti anche tra di noi. Gioco a calcio io come i miei due fratelli (Sebastiano è all’Anderlecht ed è passato a Ferrara, mentre Francesco Pio è nell’Inter Primavera) e anche mio cognato (Camigliano), ma sono certo che per mia sorella venisse prima il fratello che il fidanzato”.
E poi il capitolo Nazionale, la luccicante parentesi (ancora in corso) che ha messo in vetrina il gioiello biancazzurro e gli ha forse dato quel qualcosa in più che lo rende a oggi il giocatore più determinante dell’undici di mister De Rossi. E proprio DDR è protagonista di un aneddoto precedente al suo insediamento sulla panchina estense, e raccontato da Esposito: “È iniziato tutto quasi per caso. Ero in Under 21 a fare uno stage al quale ha assistito mister Mancini. Finiti quei due giorni sono tornato a casa: la sera ero appena arrivato e il team manager mi chiama dicendomi che dovevo tornare a Coverciano perché Mancini mi voleva. Pensavo fosse uno scherzo e volesse solo accertarsi che fossimo arrivati, anche perché avevamo passato il viaggio tra taxi e autobus. Gli ho chiesto di non scherzare e magari l’ho detto in altro modo (ride, ndr), soprattutto dopo un viaggio come quello. E invece era tutto vero. Non l’ho detto a nessuno, neanche ai miei genitori. Ovviamente poi non ho dormito: la convocazione è una cosa bellissima ma la paura di sedermi a tavola con gente come Bonucci, Donnarumma… mi dava timore, anche se poi mi hanno fatto sentire tutti in famiglia. Il CT è una persona umilissima che prova a mettere tutti a proprio agio e fa sentire tutti importanti. I compagni sono stati fantastici e mi sono sentito davvero a casa per tutto il mese e mezzo che sono stato con loro. L’insegnamento che ho portato via è che tutti i grandi campioni sono molto umili e non è una cosa da poco”.
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“Nei giorni di stage, siccome eravamo tanti, Mancini e lo staff ci dividevano a gruppetti. Io sono capitato con De Rossi, che è sempre stato il mio idolo. Nel possesso palla non ho azzeccato un passaggio, ho detto ’sono morto, la prima volta in nazionale così’ (ride, ndr). Poi in partitella ho fatto un bel passaggio e De Rossi mi ha detto ‘bravo Salva’. De Rossi mi aveva chiamato per nome, è stato incredibile, mi conosceva. Da lì poi è andato tutto benissimo”.
“Ho un bellissimo rapporto con il mister, che va al di là del calcio. Sono contento perché credo che nel mio ruolo mi possa dare tanto, così come può farlo anche fuori dal campo, con i valori giusti per andare avanti. Il mister è una persona umilissima, fantastica. È la prima volta che lo dico, e non sono una persona che dice le cose tanto per dirle e anzi alcune volte forse avrei fatto meglio a stare zitto (con probabile riferimento al post partita di SPAL-Cosenza 2-2, dello scorso campionato), ma per me da quando De Rossi è allenatore della SPAL è anche una responsabilità in più. Io ci tengo a fare bene per me, ci tengo a fare bene per i miei compagni e per la piazza, ma d’ora in poi ci terrò a fare bene anche per De Rossi che seppur in poco tempo mi ha già dato tantissimo”.