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Qualche appunto sparso, a mente fredda, sulla sesta (!) sconfitta in casa della SPAL nella stagione 2022/2023.

Rimettere insieme i cocci, per il bene di tutti

Nelle situazioni di crisi, di qualunque genere, scatta sempre la più classica delle cacce al responsabile. Nel caso della SPAL c’è chi indica Tacopina, chi Lupo, chi De Rossi, chi la squadra. Per fortuna magazzinieri, autisti e accompagnatori vari rimangono esenti da rimostranze. Evitando di fare divisioni un po’ salomoniche, forse è il caso di guardare al merito della situazione. Se la SPAL si è chiusa nel silenzio dopo la partita col Bari è perché ci sono dei cocci da provare a rimettere insieme. Ammesso sia realmente possibile farlo. L’apparente unità di intenti è andata in frantumi sotto gli occhi di tutti con le dichiarazioni del venerdì di DDR, ma già da tempo si era intuito che la catena decisionale all’interno della società s’era aggrovigliata al punto tale da aver causato più di un conflitto. Sabato la SPAL ha scelto di tacere – come organizzazione – perché dopo le bordate dell’allenatore non c’era ancora stato il tempo materiale per un serio confronto interno alla presenza di Tacopina. Che non ha preso per niente bene le parole del suo vecchio amico. De Rossi ha pur fatto dei distinguo, parlando del presidente come di un suo alleato, ma con le sue dichiarazioni ha messo sul banco degli imputati l’intera struttura, JT compreso. Non la migliore delle idee se il proprietario è particolarmente attento all’immagine, sua e dell’azienda che sovrintende. Si cercherà quindi di valutare tutto con lucidità, consapevoli che uno tra De Rossi e Lupo è vicino al capolinea. Chi dei due rischi di più è complicato da dire. Tacopina non può permettersi un fallimento sportivo delle proporzioni di una retrocessione in serie C e De Rossi non può concedersi di passare per un epigono di Di Biagio, se non peggio. L’obiettivo comune deve essere la salvaguardia della SPAL, non quella degli interessi di parte.

DDR ora è davvero in discussione

Si diceva che a Tacopina non è piaciuta l’uscita critica di De Rossi. Ma al presidente non stanno piacendo nemmeno i risultati che la sua gestione tecnica sta producendo e si troverà quindi a doverli imputare a qualcuno. Il sospettato numero è uno è De Rossi stesso. Perché sì, c’è un’amicizia, c’è uno star-power che ha permesso di portare qui Nainggolan, ma alla fine parlano i risultati. Che per un americano sono – di norma – la principale stella polare. Tutti gli allenatori di serie B con medie inferiori, uguali o poco superiori al punto a partita sono stati a un certo punto esonerati dai rispettivi presidenti. Venturato compreso col suo 1,12 in otto giornate. Gli ultimi in ordine di tempo sono Bucchi (1,13) e Cannavaro (0,94). Due che peraltro hanno portato via punti al Paolo Mazza per guadagnare tempo e fiducia. In categoria rimangono in due a rappresentare un’eccezione: Gorini al Cittadella (1,17) e appunto DDR alla SPAL (1,00). Considerato che il Cittadella vive i cambi di allenatore come un evento quasi epocale, si fa presto a capire come la SPAL sia finita col diventare un caso unico incartandosi nelle proprie contraddizioni. I numeri dicono che la scelta di De Rossi finora è stata infelice. C’è un campione di 15 partite a certificarlo e sempre meno spazio in avanti per consentire altri margini d’errore.

Certe scelte sono complicate da capire

Semplificando all’osso: nei post-partita delle ultime due partite casalinghe (Ascoli e quindi Bari) entrambi i tecnici avversari hanno detto – in un modo o nell’altro – che per fare male alla SPAL è bastato aspettare pazientemente per poi correre in contropiede e colpire. Sintomo di un piano abbastanza monocorde da parte della squadra di De Rossi, che muove la palla fino alla trequarti opposta senza mai sapere davvero che fare o spara traversoni su traversoni in area per un centravanti (Moncini) che non ha nel dominio del gioco aereo la sua principale caratteristica. Solo nel quarto d’ora iniziale la SPAL si è fatta infilare tre volte dagli scatti del trio d’attacco del Bari e già quello sarebbe dovuto essere un indicatore sufficiente di una strategia da modificare, a prescindere dalla disposizione dei tre difensori. E quando la strategia è stata modificata, in nome soprattutto della disperazione, qualcosa in più si è visto e ha consentito di andare vicino alla rimonta completa.

Almeno Nainggolan e Fetfa riconciliano un po’ col calcio

Fetfatzidis si era già presentato a Cagliari consentendo di creare un paio di occasioni pericolose, Nainggolan ha fatto ancora meglio firmando un assist e un gol. Ma già appena entrato in campo si era prodotto in un cambio di gioco a tutto campo eseguito con precisione millimetrica, tanto da scatenare un “oooh” di stupore e ammirazione da parte del pubblico. Che i due siano fuori categoria già si sapeva e vederli in azione – a prescindere dal risultato di squadra – ci fa capire quanto sia bello avere giocatori del genere. Sono quelli che per cui si paga volentieri il biglietto. Un’altra evidenza, meno confortante, è quella della loro condizione atletica. Per quanto De Rossi abbia ripetuto di aver trovato il greco e il Ninja meglio di quanto pensasse, è chiaro che avranno bisogno almeno di un mesetto per essere in grado di reggere una partita intera (e ce ne sarebbe tanto bisogno). In più non sembra si possa contare granché su di loro per la fase difensiva. Fetfa ha dato una mano finché ha avuto una buona riserva d’ossigeno, Nainggolan è sembrato un po’ più disinteressato alla questione.

Non c’è solo affetto negli applausi ad Antenucci

Mentre si discute animatamente sui social dell’inappropriatezza degli inusuali applausi indirizzati ad Antenucci subito dopo il suo gol, è il caso di riflettere un po’ sull’accoglienza che il pubblico del Mazza ha riservato all’ex capitano. Di giocatori che si possono concedere un mezzo giro di campo finale come il suo, in uno stadio che non vede la propria squadra vincere da ottobre e in cui si teme seriamente per la retrocessione, ce ne sono oggettivamente pochi. Al di là delle varie sensibilità sull’argomento c’è un elemento che va tenuto in considerazione: Antenucci è stato certamente omaggiato in quel modo per ciò che ha rappresentato per la storia della SPAL e per la brava persona che ha dimostrato d’essere, ma dentro quegli applausi c’era anche una sorta di lamento per una profonda crisi di rappresentanza. Oggi con la maglia biancazzurra non c’è nessuno in grado di innescare un processo di identificazione e di vero attaccamento. E manca da anni. Ci sono diversi bravi soldatini (es.: Dickmann, Celia) ma nessuno realmente in grado di entrare nell’immaginario collettivo come hanno fatto Antenucci, Mora, Floccari, Schiattarella. Certo, fare un campionato con almeno tre vittorie consecutive aiuterebbe. Ma non c’è solo quello.