foto Filippo Rubin
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Credo che l’immagine del fallimento di una stagione e di un non-progetto sia indissolubilmente il calcione a tutta gamba rifilato da Mr. Z a un avversario a centrocampo dopo avere perso la ventiseiesima palla della sua partita. Ci sarà qualche raffinato cultore della psiche calcistica dei ragazzi che indossano i pantaloncini corti e rincorrono un pallone che lo chiamerà un fallo di frustrazione. Di frustrazione? Ok, faccio un respiro e ne faccio un altro, mi allontano dalla tastiera, riporto il computer nella camerina, lo riattacco alla corrente. Sfioro il tasto Canc, faccio yoga, mi guardo allo specchio e cerco di auto-ipnotizzarmi, mi pizzico una guancia, vado in frigo a prendere una birra. Ah no, sticazzi dei trigliceridi che hanno deciso di farmi morire di stenti, ma sano. Mi accascio sul divano e penso. Certo non vorrei farla semplice sulla storia dello stipendio e del gioco, ma abbozzo una manciata di parole nella mia testa e provo a sputarle su di un foglio di scrittura. Il problema è che quelli che martedì come me apriranno un tornello con un badge e sentiranno un trillo metallico della loro galera all’interno di un petrolchimico, di una fabbrica, di un ufficio, di un’aula, di un reparto ospedaliero, che tipo di fallo frustrazione possono fare? La coltellata alla giugulare? Fare esplodere una centrale termica condominiale? Il lancio indistinto di Molotov contro gli uffici dei capi? Non credo di essere stato abbastanza chiaro, ma fa niente. Non riesco a spiegare la mia di frustrazione dopo la millesima partita da vincere che non abbiamo vinto, una costante della nostra vita di spallini. Chi era quel tizio che diceva di un atteggiamento di negatività dell’ambente esterno? La curva per poco non la vince da sola questa partita.

Direi che ora si può pure esprimere un parere sulle responsabilità di questo fetente campionato, una squadra costruita con i piedi, nessun progetto tecnico, la gestione aberrante di un capitale umano che per i dirigenti ha il valore di una azienda e per noi ha il valore di una vita vissuta tifando, gridando, perdendo voce e salute, per qualcuno perdendo pure la libertà personale. Un progetto iniziato smantellando la nostra storia, fatta di uomini che avevano davvero a cuore la S.P.A.L. per il semplice fatto di averne fatto parte. Per ritornare al calcione da cinque giornate di squalifica. Credo di non avere mai visto niente di simile, né alla Fulgor e né tantomeno ai Tre Campi. Capitava spesso nel cortile, quando da bambini si utilizzava la violenza per aggiudicarsi i mini tornei estivi giocati sul cemento vivo. Ecco, lì qualche volta l’ho vista una tenca del genere. Non vorrei ritornare sulla partita da vincere, ma andrei ancora più indietro, ai tempi della stupid question formulata in conferenza stampa da The Voice a Mr. President: siamo ancora così sicuri che la domanda fosse così stupida? O forse era l’occhio lungo di un giornalista esperto che aveva già capito il possibile epilogo di questo campionato?

Non me la sento di prendermela coi singoli giocatori, anche se avendo giocato un paio di partite mi accorgo di errori che normalmente sono gestiti dai mister degli Allievi: tipo i cross dalla trequarti, i lanci dal centrocampo verso la porta, la gestione di una palla vinta in area che invece di essere scaraventata in avanti rimane tra i piedi del terzino che cerca nuovamente la punta avversaria. Oppure giocatori che in avanti si auto-marcano nascondendosi dietro a chiunque abbia una maglia diversa dalla loro. Poi sì qualcosa di positivo io l’ho pure visto. Moncini che come sempre dà l’anima, che segna un rigore con una palla pesante cinque chili, che si propone sull’ala destra e crossa. Lui che dovrebbe essere il terminale offensivo e non il propositore, e poi il nostro numero cinque. Contiliano sembra abbia duecento partite di esperienza in categoria, ha un sinistro educato, è tatticamente intelligente, entra in scivolata, recupera, si propone, crossa e si vede che ci mette qualche cosa in più. Lui con quella casacca addosso è nato, i suoi parenti per parte materna sono nati a 50 metri da dove sono nato io, è una specie di catarsi: il numero sulla schiena, la grinta, la voglia. Ci rappresenta, rappresenta tutti i bambini che da un secolo sognano quella maglia. Ho invidiato il bimbo che si è accaparrato la sua casacchina, è stato l’unico giocatore che si è preso uno scroscio di applausi da tutta la Ovest. Ora il futuro sembra scritto. Io e altri, sicuramente non tutti, ci saremo anche l’anno prossimo. Abbonati e carichi come le mine. Ma voi, dirigenza in testa, ci sarete e avrete un progetto in cui al centro c’è la S.P.A.L. e non solo il business? Oppure, calcolatrice alla mano, ci abbandonerete come molti altri prima di voi? Domanda stupida? Non credo, esistono solo risposte stupide. Forza vecchio cuore biancazzurro.

ps.: Prima di scrivere questo testo non avevo ancora visto le immagini del gol di Maistro annullato dopo cinque interminabili minuti. Mi chiedo come possa essere ancora classificabile alle voce sport questo carrozzone mediatico, puzzolente, dove una I.A. gestita da gente che gioca al piccolo chimico con le pieghe del regolamento decide a mo’ di entità suprema la vita o morte (sportiva, ma non solo), di una comunità, di una intera città. Dov’è l’errore evidente del signor arbitro? Dove doveva mettersi le braccia Moncini, girato di spalle su quel contrasto? Se questi due punti fossero il discrimine tra il mantenimento della categoria e la retrocessione, quanto ci verrà a costare questa gentile interpretazione regolamentare? Ancora qualcuno si ostina a chiamare questa roba qua sport? Sentitamente ringrazio gli operatori che dal campo e davanti a un monitor hanno ucciso, da molto tempo, l’ex sport più bello del mondo.