“Porta una bandiera, colora la tua curva” così ci chiedono i ragazzi sempre a guardia della nostra fede. E io, ligio ai dettami della curva, riporto con me Old Pigs, il mio due aste storico che dall’inverno del 2016 si innalza, spesso girato a rovescio, a sostegno dei nostri colori. Era rimasto relegato per un po’ dove in genere se ne stanno le scope e gli stracci. Me ne entro bel bello dall’entrata lato tribuna, gli steward abilitati mi palpeggiano senza malizia: il ragazzo srotola il due aste, sono millenni che entro, non ci saranno problemi. Ma ecco che da laggiù verso i tornelli si avvicina impettito un capetto, lo si evince dal gilet arancio fluo e non giallo come quello dei sottoposti. Controlla minuziosamente e scuote la testa e fa: “Non ci siamo“. “In che senso?“. “Altezza delle aste non regolamentare, superano il metro e cinquanta“. Mi si chiude la vena, soffio tra naso e bocca per riaprirla, ho una certa età: “Guarda, questo due aste da almeno sette anni e nelle poche trasferte che ho fatto lui è sempre stato con me“. “Mi dispiace ma le regole sono regole“.
Scende il traliccio della RAI, sfilo le aste e le lascio a terra, bestemmio fino all’ultimo diacono di tutte le religioni conosciute e sconosciute, entro dal tornello dove il sindaco mi stava già aspettando. Brevemente racconto la storiella, ma ho un fumamento inguinale con pochi precedenti. Risalgo i gradoni, muffo ai massimi livelli. Su in piccionaia racconto la cosa agli adepti, mi guardo in giro e le bandiere della mia squadra sventolano dall’alto dei loro tubi tre volte più alti dei miei due RK elettrici. Ma è normale: una curva vive di colore e bandiere, non esiste calcio senza una pezza, un due aste, una bandiera. Solo che i miei tubi giacciono a terra a ingresso curva. La faccio corta: cerco un responsabile, ribalto col gomito una birra a un ragazzo. Il referente è molto gentile, mi recupera i supporti e io pago la birra versata. Rovesciare una birra è come sparare a Bambi, imperdonabile. Articolo zero di ogni decreto: il buon senso (n.d.r.).
Ora credo che elogiare la curva stia diventando pleonastico (azz, ho mangiato uno Zanichelli), ma non si può non farlo. Senza ombra di dubbio è l’elemento che c’entra meno con la categoria, che non se la merita e stona in questo misero ambito. La partita, almeno quella parte di gara giocata, dice ancora che siamo afflitti da un male oscuro che è diventato oramai genetico, forse irreversibile. Cambiano le categorie, le proprietà, le dirigenze i giocatori, ma i difetti atavici rimangono. Compassati e perennemente in ritardo: palla troppo tra i piedi e quasi mai giocata veloce, problemi in ogni reparto. In sintesi: possiamo solo migliorare e speriamo di farlo. All’intervallo scendo i gradoni, saluto zia Pol, incontro la Noemi, la Cloe e il Funky. Nel frattempo i presagi dell’imminente diluvio.
Tre immagini della serata: lassù oltre la copertura del curvino, mentre le nuvole si incazzano e riversano acqua e grandine, vedo un signore anziano con la barba fino ai piedi, un bastone ricurvo che ci indica la strada verso un barcone (un’ arca?) attraccato in corso Isonzo. Seconda immagine: Tom Cruise sempre dalla copertura, ci chiama alla lotta contro gli alieni nella guerra dei mondi, mentre io penso alla mia macchina con i due vetri appena sostituiti. Terza immagine: il presidente che sotto al diluvio percorre la linea del centrocampo, afferra il pallone, viene sotto la curva e in segno di riappacificazione (!) lancia il pallone. Nessun commento, una sola domanda: perché?
Vorrei concludere queste mie farneticazioni con alcune domande, che da sempre crucciano il genere umano:
1. Siamo soli nell’universo?
2. Cosa c’era prima del big bang?
3. Dentro ai buchi neri dove si va a finire?
4. Perché essere spallino è così difficile?
Forza vecchio cuore biancazzurro.