Armageddon, il giudizio finale, l’apocalisse. Questa è la percezione che si ha guardando la nostra squadra dagli spalti. L’attesa della catastrofe è anch’essa catastrofe. L’impegno, le corse a vuoto, gli errori che spesso aumentano l’autostima di noi calciatori mancati sono la summa di annate ammalorate da promesse a vuoto, mai mantenute, neppure sfiorate. Credo che di tutte le componenti della nostra realtà sportiva cittadina vecchia di centoventi anni l’unica che è sempre in positivo è quella dei tifosi. Vedere i ragazzi giovani cantare e ballare in curva al cospetto di una realtà travolgente all’incontrario, mentre quelli in campo sembrano non sapere qual è lo scopo del gioco è davvero avvilente. Quasi cinquemila abbonati a inizio stagione in seguito a una retrocessione che ci fa sanguinare ancora, ottomila presenze raggiunte diverse volte a inizio stagione, mi paiono l’esatto contrario di quella negatività di cui il pubblico è stato accusato in alcune occasioni.
Questa proprietà sta scalando la classifica delle peggiori viste a queste latitudini: in diversi non la vedono come me, io invece penso che l’aver investito moltissimi soldi, appianato debiti, acquistato giocatori su giocatori e avere risultati come questi sia un fallimento epocale, oltre che un’aggravante. Il rinnovamento che doveva dare nuova linfa alla società ha previsto mettere alla porta uomini che la S.P.A.L. ce l’avevano nel cuore davvero come Floccari, Zamuner e Mora.
Per fortuna succedono anche cose belle in mezzo a tanta desolazione. Come l’assemblea pubblica sulla situazione del marchio. Nell’ultima fanzine della curva (la 131) viene spiegato perché i colori e i simboli sono importanti. Mille persone (per gli organizzatori) e dieci (per la questura) hanno partecipato e non sono stati indifferenti (con buona pace del compianto Nino). Sul palco si sono succeduti ragazzi della curva Ovest Ferrara, i nostri fratelli della Nord di Ancona, l’avvocato Pancaldi che ha spiegato la fattibilità del progetto, Valentina Ferozzi del Centro coordinamento S.P.A.L. club, l’assessore allo sport in rappresentanza del Comune, moderati da un improbabile Pippo Baudo. Fondamentale e chiarificatore l’intervento dell’avvocato che ha raccontato i passaggi storici del marchio S.P.A.L. avuti negli anni passati, in cui personaggi alla stregua del gatto e la volpe di Bennato ci hanno costretto a giocare con nomi e loghi inguardabili e terribili. I ragazzi della Nord ci hanno raccontato la loro più che decennale battaglia per l’ottenimento del marchio, facendoci capire che a mani nude si può combattere contro un regime del mondo del calcio composto da squali che si nutrono delle sardine di provincia, dove i tifosi sono solo fruitori di un immondo spettacolo che li tratta alla stregua dei consumatori di un ipermercato. Grande rispetto e grande speranza.
La battaglia di buonsenso che i tifosi hanno intrapreso è solo la ricerca di una tranquillità, di una messa in sicurezza di un simbolo che rappresenta un’intera comunità. I nostri nonni, i primi torpedoni di tifosi che negli anni Venti seguivano giovani atleti in pantaloni a tre quarti con baffoni e brillantina, impomatati nelle loro belle divise in lana grossa. I due gemelli del gol Mario Romani e Aldo Barbieri che in due hanno segnato 220 volte. La rinascita dopo le bombe della guerra, gli anni d’oro Cinquanta e Sessanta in cui Oscar IL capitano insegnava calcio su e giù per lo stivale. I pantaloni a zampa degli anni Settanta quando la S.P.A.L. del paradiso del sor Mario insegnava il calcio totale prima della grande Olanda e secoli prima di Sacchi. Gli anni Ottanta della banda della Rocca, Galeone e i suoi ragazzi ci divertivano la domenica e loro si divertivano al mercoledì. I Novanta di Giobatta, il fine secolo di De Biasi, il disastroso XXI secolo, fino all’apoteosi delle apoteosi di Mister Easy e degli eroi che fecero l’impresa. Questo è il nostro marchio e la nostra storia, chi non lo ha chiaro è bene che studi. Forza vecchio cuore biancazzurro.