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Il lupo grigio (Canis lupus Linnaeus, 1758), detto anche lupo comune o semplicemente lupo, è un canide lupino. I maschi raggiungono i 35-40 kg. Anche se pare ne esistano di peso superiore ai 70 kg. È un animale astuto, intelligente, comunitario, solidale, endemico da sempre degli Appennini. Da secoli pareva estinto, almeno in pianura, ma da quasi dieci anni si è ripresentato pure nella valli del piano, giù fino nella bassa padana. Nelle notte di plenilunio, quando l’inverno intiepidisce, nei terreni incolti, dove l’erba spiana, quando le tenebre sono cariche di nebbia e pioggia, oppure è la pioggia che si carica di nebbia, il lupo appare. Entra sul prato verde, dove i Leopardi marchigiani cercano di azzannare la sua prole e in poco tempo rincorre tutte le bestie maculate. Non per smacchiarle, proprio per mangiarsele. Digrigna i denti scoprendo le gengive, assale le povere bestie partendo dagli stinchi, gli morde la caviglie, li rincorre e colpendoli al garrese li fa stramazzare a terra. Quindi si nutre di loro. Oddio non che il leopardo sia il suo cibo preferito: la carne è un po’ stopposa, ma l’accanimento nella difesa della sua prole lo trasforma in una belva. Bentornato lupo di Roccavivara, ti stavamo aspettando.

La girata al volo con conseguente frantumazione della rete e l’esplosione di gioia nella curva retrostante sono di quelle di una volta. Di quelle che pare avessimo segnato contro… non so, non ha importanza, una maglia simile io l’ho indossata nell’Ugo Costa, quando giocavo assieme a campioni del calibro di Piro, Felix, Stena, Gamba, Johnny e altri. Ecco pare avessimo segnato all’Ugo Costa, alla Roma, al Ravenna, per noi non fa differenza, un gol della S.P.A.L. è un gol della S.P.A.L. e no, non ditemi di andarci piano, non ditemi dei però. Non ho voglia di ascoltarli, non ho cambiato idea su nulla, ma venerdì la mia squadra ha vinto, ha segnato un gol, uno ci è stato annullato, abbiamo preso un palo e una traversa, ne abbiamo sbagliato uno fatto, tra l’altro giocando in dieci contro undici, roba che non capitava da un secolo, forse di più. Era da troppo tempo che non vedevo la mia gente così. Ho scorto occhi lucidi, ho visto bambini e vecchi felici, ho visto e sentito abbracci forti, potenti, grida sguaiate. Loro erano scarsi, sì lo erano, e con ciò? Quante squadre scarse sono venute dalle nostre parti e hanno pascolato al Mazza mentre i nostri undici ragazzotti si nascondevano timorosi dietro i fili d’erba? Non so cosa capiterà nelle prossime partite, lo vedremo. Ma intanto lasciateci festeggiare, lasciate che ci abbracciamo. In campo ho visto la voglia e soprattutto il Lupo, l’ultimo gladiatore di una coorte che ci ha fatto impazzire. Quella banda di uomini, tecnici, dirigenti che ci ha sbattuto in prima pagina in ambito nazionale, quel gruppo che ha reso reale l’utopia.

Questa vittoria, di misura, contro una delle squadre più deboli del campionato, la voglio dedicare ai ragazzi e alle ragazze della curva, a quelli che in duecento vanno ancora in trasferta, fregandosene di ciò che ritornano a dire un sacco di persone che in curva ci venivano in serie A: “Ancora alla S.P.A.L. andate?”. Sì, ci andiamo perché noi siamo quella squadra. Quella di venerdì è una vittoria che voglio dedicare ai ragazzi che non possono seguire la loro squadra perché accusati di ipotesi di reato, perché il garantismo in Italia funziona solo coi nostri e contro quegli altri. Un garantismo talmente peloso che induce i funzionari di partito a dire: “Attenzione bisogna prima aspettare i tre gradi di giudizio” prima di incolpare l’amico loro colto con le mani nella marmellata, mentre gli stessi chiosano “hanno fatto bene a dargli il Daspo a quella gentaglia”, solo perché etichettati come Ultras e magari da un lato della strada guardandosi in faccia con un altro gruppo di Ultras si sono presi a parole non prettamente da educande sventolandosi pure qualche dito medio. La legge è uguale per tutti? Quasi mai.

Bene ragazzi miei, avevo voglia di scrivere senza incazzarmi con la mia squadra, avevo voglia di raccontarvi le emozioni che proviamo ancora là sotto e là sopra in curva dove fa più calor. Basta davvero poco per accenderci, è come soffiare sotto la cenere. Il fuoco sacro non è mai spento: regalateci, grinta, cattiveria, morsi nelle chiappe degli avversari e noi saremo ciò che sempre siamo stati, una tempesta d’amore per i nostri colori. Ora per favore nessun passo indietro, nemmeno per prendere la rincorsa diceva un medico argentino tanti anni fa. Abbiate voglia e coraggio come lo avete avuto di fronte alla Recanatese. Ricordatevi chi siete, chi siamo, sparigliate le carte, invertite la tendenza di questo schifoso campionato e poi al futuro ci penseremo dopo. Intanto mettiamo in sicurezza questa squallida categoria. Forza vecchio cuore biancazzurro.