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Il giorno di S.P.A.L.– Pineto non ero in curva con la mia gente. Ero a Madrid con famiglia e amici, un bellissimo viaggio organizzato da mesi. Sì, un leggero senso di colpa lo avevo. Avevo sempre in mano il cellulare con gli aggiornamenti e alle foto della coreografia mi si è incastrata una stella cadente in un occhio. Sapere che la sfida fondamentale della stagione – per mantenere la fottutissima categoria – fosse col Pineto, senza nessuna offesa per la compagine avversaria e per il suoi tifosi mi ingastriva abbastanza. Il Pineto me lo immagino in una locandina appesa fuori dal bar Nando in via Frutteti, fronteggiare il mio Porta Mare. Il medesimo giorno della sfida epocale al Mazza a Madrid si fronteggiavano due squadrette di bassa lega, roba per pochi adepti. Alle nove di sera si prefigurava El Clasico. Cumuli di coppe e campionati messi insieme, la camiseta blanca contro i blaugrana, roba da far tremare le vene ai polsi. Ma io tremavo a ogni collegamento sul cellulare per controllare l’andamento dei miei contro i ragazzi del Mare Pineta Camping. Lo 0-0 imperversa fino a quando controllo il telefono e vedo 2-0 per noi. Sono in coda per salire sul pullman di ritorno da Toledo a Madrid, urlo come un forsennato. La signora davanti a me per poco non si getta in mezzo alla strada in preda al panico con gli stessi occhi di Wendy, ma io non ho neppure la mannaia. La gente in coda pensa a un attacco terroristico, ma non è nulla di così cruento, è solo il raddoppio di Valentini. Sono felice.

Ritorniamo a Madrid e in metro vedo qualche sparuta e ritardataria sciarpa blanca, del Barca nessuno, la città pare non accorgersi della partita che sta per andare in onda al Santiago Bernabeu. Io mi immagino invece la mia gente felice, abbracciarsi in curva e in tutto lo stadio per lo scampato pericolo. Ma vi rendete conto? S.P.A.L.–Pineto meglio di Real–Barcellona. Sono a dieci chilometri da uno degli stadi più belli e iconici del mondo e sogno il Mazza: ma che cazzo hanno quelle righette sottili da potermi stregare così tanto? Forse essere nato nella città dove per secoli si è lavorata la canapa da zucchero lascia un retrogusto di follia nel DNA, forse Basaglia e Slavich hanno aperto troppo presto le porte dei manicomi, forse l’atavica malaria ci fa percepire il modo in maniera spallocentrica, o forse sto scrivendo una caterva di cazzate. Ma così è. Per sottolineare ancora di più questo nostro folle amore il giorno prima del ritorno facciamo tappa, su mia richiesta, al mitico impianto dedicato al Presidentissimo. No, non al Commendatore Paolo Mazza, ma a Santiago Bernabeu, quello del grande Real, come se adesso fosse piccolo (ndr). Dall’esterno uno stadio fantasmagorico, San Siro e l’Olimpico al cospetto sembrano la Fulgor. Un’astronave incastonata a pochi chilometri dal centro di Madrid. Emozione? Zero, nessun sussulto. Entriamo allo store, maglie bianche a profusione, numeri sulla maglia tipo il mio 5 abbinate a un tizio che pare forte, ma di cui non ricordo il nome. Il numero 14 sulla manica destra. Pensavo fosse un omaggio allo storio e temuto avversario El Flaco, ma invece pare essere in numero dello coppe campioni vinte. E quindi?

Bambini e adulti entusiasti si fanno fotografare (pagando lautamente) abbracciati alla mascotte dei Blancos, io faccio due foto di sguincio all’impianto e una all’ingresso. Indosso una felpa della mia squadra e con il dito indico il nostro scudo. Mia moglie riesce a trovare la bazza per me e Davide per entrare e fare il giro turistico dell’impianto. Venticinque euro, ma non mi va. Come entrare alla Scala il giorno della prima: roba da borghesi e io sono fieramente proletario (viva il 25 aprile). Ho visto molti store, maglie a prezzi astronomici, l’unica che mia ha colpito è la riproduzione di quella del Pélé bianco, ma non mi scompongo, sta gente non c’entra un cazzo con noi. Vi dico che non baratterei la nostra coppa dell’amicizia Italo-Svizzera per tutte le coppe dei Campioni di Real e Barcellona. Nessuna Copa del Rey per il nostro secondo posto in coppa Italia, nessuna Liga per i nostri due campionati di serie B. Non farei cambio tra Alfredo Di Stefano con Oscar Massei (IL Capitano). La loro opulenza contro la nostra miseria, la loro fortuna contro la nostra sfiga, i loro 80mila, contro i nostri 9.500 di domenica scorsa. Nessuna invidia, nessun rimpianto, d’altronde loro sono solo il Real Madrid, mentre noi siamo la Società Polisportiva Ars et Labor. Loro sono nati solo quattro anni prima di noi, ma loro sono un equipo de footbal, noi siamo l’eternità.
Forza vecchio cuore biancoazzurro.