Per quello che abbiamo visto finora il decennio spallino iniziato nel 2020 è quello dell’instabilità. Dall’addio alla serie A quasi nulla ha girato per il verso giusto (di certo non sul campo) e con l’avvento di Joe Tacopina i cambiamenti hanno avuto un’accelerazione ancora più decisa.
In questi quattro anni sulla panchina della SPAL sono passati in totale dieci allenatori: Semplici, Di Biagio, Marino, Rastelli, Clotet, Venturato, De Rossi, Oddo, Di Carlo, Colucci e poi di nuovo Di Carlo. L’ultimo ad avere l’opportunità di riprendere un lavoro a cavallo tra una stagione e la seguente è stato Venturato, ma senza che potesse contare su un supporto forte e convinto da parte dell’ambiente, a partire dai vertici societari. Questo dà l’idea in termini piuttosto chiari della mancanza di continuità del progetto tecnico. La SPAL ha vissuto di rivoluzioni continue, anche all’intero delle stesse stagioni e questo si è riflesso profondamente sulle vicende delle varie squadre costruite negli anni. Soprattutto perché un errore fatto oggi può avere conseguenze anche per i tre anni successivi, se non di più. Basta leggere i bilanci per rendersene conto.
Per la terza estate consecutiva in via Copparo si rischia nuovamente di ripartire da zero dopo un’altra delusione. Sicuramente vedremo il quarto ds della gestione-Tacopina (dopo Tarantino, Lupo e Fusco – Zamuner era stato “ereditato”) e il suo insediamento potrebbe coincidere con un progetto diverso, che potrebbe anche non includere Di Carlo nonostante numeri solidissimi nel suo secondo mandato. Tacopina finora si è dimostrato mediamente impaziente e disposto a tutto pur di ottenere i risultati che vorrebbe. Ma stavolta ha l’opportunità di valorizzare quello che di buono c’è stato all’interno di una stagione ben al di sotto delle aspettative. Non si può vedere un lato positivo in una retrocessione e una salvezza sofferta in serie C, questo è evidente, ma un campionato terminato ampiamente in crescendo forse merita una riflessione più approfondita. Ancor di più se si considera poi l’entusiasmo tanto ricercato con impegno dai tifosi, capaci di superare fattori e controversie per il bene della SPAL, che ha contraddistinto la squadra e il suo stesso popolo dalla primavera in poi. Si è discusso, anche su queste pagine, e lo si continuerà a fare, delle ragioni della conferma di Mimmo Di Carlo sulla panchina biancazzurra.
Nelle ultime quattro annate sportive la SPAL ha sempre optato per un cambio radicale dopo ogni campionato deludente. La retrocessione dalla serie A alla B forse avrebbe richiesto una rifondazione ancora più profonda, ma le mani legate del post-Covid hanno lasciato proprietà e dirigenza in mezzo al guado, fino all’arrivo di Tacopina. Che al termine del suo primo anno ha stravolto tutto, salvo poi cambiare rotta dopo appena otto partite. Non sembra un caso che buona parte dell’opinione pubblica sia più o meno concorde nel sostenere che senza l’esonero di Venturato la SPAL non si troverebbe dov’è oggi. Tanti sostengono la stessa tesi anche per Mimmo Di Carlo, seppure le situazioni appaiano abbastanza diverse. Lo stesso Di Carlo, appena tornato, ha ammesso i propri errori e ha dimostrato di averne fatto tesoro. Ergo, se non fosse stato esonerato dopo la partita di Recanati, probabilmente la SPAL non avrebbe fatto un girone di ritorno del genere. A margine della trasferta di Olbia sempre Di Carlo ha però sottolineato come si sia “tracciata una strada“, come la SPAL oggi sia una squadra forte soprattutto mentalmente e come un ulteriore rifondazione andrebbe a delegittimare e spazzare via una squadra ed un progetto già partito e promettente.
La domanda ora è: ha senso ripartire nuovamente da zero togliendo di mezzo anche quanto di buono fatto e visto da febbraio in poi? Lasciamo da parte il tema relativo all’allenatore che non potrà essere districato in assenza di chiarezza sul prossimo responsabile dell’area tecnica. La SPAL di oggi conta su una rosa di 32 giocatori, ai quali si aggiungeranno diversi rientri dai prestiti (Puletto, Dumbravanu, Rosafio ma anche La Mantia, Thiam e tanti altri). Peda è sicuro partente in quanto già ceduto al Palermo la scorsa estate, altri prestiti saranno da valutare (Ghiringhelli, Zilli, Petrovic, Dalmonte su tutti), altri sono in scadenza con situazioni personali e sportive diverse (Siligardi, Valentini, Edera). Vale ancora il discorso del “a fine anno via tutti” che ormai è diventato un ritornello abituale? Si pensi, a esempio, all’ultima partita casalinga, SPAL-Pineto. Questa la formazione: Galeotti; Ghiringhelli, Peda, Valentini, Tripaldelli; Edera, Buchel, Nador, Dalmonte; Petrovic, Zilli. Quanti tra questi, a mente lucida, non si vorrebbero più vedere in maglia biancazzurra?
Premesso che Ghiringhelli, Peda, Dalmonte, Petrovic e Zilli sono prestiti e non tutti facili da confermare (Peda impossibile, Ghiringhelli e Zilli con cifre da serie B tutte da valutare), e che Edera e Valentini vanno in scadenza a giugno, quello appena visto è un undici di cui non ci si libererebbe a cuor leggero se posto in continuità di guida tecnica e con le premesse viste negli ultimi mesi. Ci sono i ragazzi cresciuti o passati nel settore giovanile: Puletto, Rao, Nador, Galeotti, Saiani, Contiliano, Angeletti e Meneghetti che ha debuttato a Olbia. Di questi forse il solo Orfei è parso leggermente più in difficoltà, con Angeletti (2005) che a settembre avrà un anno in più per essere maturato soprattutto fisicamente e psicologicamente. Gli arrivi della scorsa estate, su tutti Carraro: è partito molto male ma nel girone di ritorno ha offerto prestazioni da migliore in campo nelle due partite prima di fermarsi per infortunio, e dovesse confermarsi su quei livelli non sarebbe certo da considerare un esubero. Valentini e Bassoli sono due interpreti di esperienza: l’ex Pordenone è già stato confermato e sembrano esserci buone possibilità anche per l’argentino. Fiordaliso e Tripaldelli dopo un anno e mezzo complicatissimo hanno fatto un girone di ritorno su livelli più che accettabili. Dalmonte è giocatore di categoria superiore, dovesse rimanere sarebbe valore aggiunto, e lo stesso discorso si può fare per Buchel, che ha un altro anno di contratto. Ci sono poi altri interpreti che non hanno reso secondo aspettative e necessità, ma fa parte del percorso, specie se ci si trova nelle condizioni in cui si è trovata la SPAL quest’anno. Se rifondazione dovrà essere almeno che venga effettuata per togliere ciò che davvero non funziona, sia a livello tecnico sia per quanto riguarda le dinamiche di potere nello spogliatoio.
Non si parla di confermare in blocco: per puntare in alto servono titolari di livello diverso e ad oggi la SPAL ne ha solo in parte. L’invito è però a un’attenta analisi, che tenga conto di due fattori: il primo, l’inutilità ormai comprovata del ripartire da zero. Il secondo: la capacità, lucida e analitica, di saper cogliere i lati positivi di un Di Carlo bis che ha dimostrato come questa squadra non fosse completamente da buttare via una volta corretta con tre o quattro innesti. La continuità a un progetto tecnico, che lo stesso Fusco durante la sua ultima conferenza stampa ha definito un valore, passa anche da fallimenti e delusioni: l’Inter di Inzaghi ha perso uno scudetto perlopiù per l’errore di un singolo e una finale di Champions prima di conquistare la seconda stella lungamente celebrata. Più vicino a casa, il Cesena ha dominato il campionato quest’anno, ma se si guarda la sua storia, è fallito nel 2018 e mentre la SPAL tornava in B, chiudeva la serie C al 13° posto. È arrivato poi settimo, terzo e secondo perdendo la semifinale playoff prima di essere pronto al salto. Il Cesena terzo, secondo e poi primo ha portato un unico filo conduttore: Domenico Toscano in panchina, confermato nonostante l’eliminazione ad un passo dalla serie B lo scorso anno. La SPAL di Tacopina avrebbe fatto lo stesso? Improbabile.
Per una volta i risultati della coda finale del campionato non hanno trasmesso un senso di disarmo e, anzi, hanno riportato entusiasmo e voglia di vedere dove sarebbe potuto arrivare questo gruppo lungamente (e giustamente) contestato. Una base promettente che mancava dal 2020 sembra esserci: è davvero il caso di azzerarla e fare un altro salto nel buio?