foto Filippo Rubin
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Generalmente d’estate c’è caldo, si suda e sotto il solleone non picchio sulla tastiera di un computer per scrivere articoli di S.P.A.L. C’è ancora tempo per soffrire, per sentirsi le falene nello stomaco, per i crampi di discesa dai gradoni della Ovest. Ma quest’anno la mia ossessione non mi ha quasi mai abbandonato, ne ho parlato in diverse presentazioni del libro “Vista dalla curva – Memorie di uno spallopatico“, (no, non volevo fare alcuna marchetta), ma ella (l’ossessione) non mi ha mai lasciato solo. Come poi a tutti noi.

Niente di tranquillo sotto la canicola, scure nubi ruotano su di noi come sul Pet Sematary cantato dai Ramones: la società che gestisce i nostri colori cerca tutte le strade per abbattere la nostra passione dalle conferenze stampa alle rassicurazioni che regolarmente vengono disattese, dall’anti-empatia con cui si approccia a qualunque tema spallino. Non voglio nemmeno parlare delle scelte tecniche, dei progetti che non si vedono, delle bollette non pagate, è troppo presto per farsi il foie gras de canard, poi è lunga arrivare in maggio. Volevo soffermarmi invece sugli abbonamenti. Martedì, giusto in tempo per avere lo sconto sulla prelazione, sono andato allo S.P.A.L. Point. E ho trovato la coda! Non chilometrica, non massacrante come ai bei tempi, ma una dignitosa coda di qualche decina di minuti. Ecco, lì ho provato una sensazione di rabbia e orgoglio (per citare la buonanima dell’Oriana). Amici, conoscenti, colleghi di lavoro, facce viste e mai conosciute erano in attesa di sottoscrivere per diciannove partite il loro tagliandino, ognuno a casa propria, nel loro settore, sulla propria mattonella, sul gradone, sulla poltroncina numerata, a fianco agli amici, a contatto di spalla col dottore, il professore, l’operaio, il disoccupato. All’interno del loro mondo, del nostro mondo.

Il vento del cambiamento: non più confini e non più frontiere, dentro a quello stadio che noi riconosciamo come ambiente famigliare, come il bar, la chiesa, la sezione del partito, l’unico vero centro di aggregazione culturale aperto a tutti. Questo mi causa orgoglio, mi fa capire che il ponte e non il muro costruito negli anni ha dato i propri frutti, che le generazioni che si sono succedute a sollevare da terra una bandiera spesso infangata, spesso sbrecciata, sono ancora tutte lì. Non importa se vive o meno. Fanno parte di quel turbinio socio-psico-patologico che sono i tifosi della S.P.A.L. A sentirci parlare all’uscita dal campo diversi mesi fa, contando le lamentele, i piagnistei, le incazzature, si sarebbe potuto supporre che nel prossimo campionato avrebbero sottoscritto l’abbonamento otto, al massimo dieci tifosi. Mentre ora in questo esatto istante siamo vicini ai duemila abbonati, con davanti molte settimane ancora prima della fine della campagna. È esattamente questo che nel contempo mi causa rabbia: come è possibile non capire che tesoretto si nasconde sotto a questa malsana passione? Alla domenica o quando cazzo decide la pay tv a Ferrara si va alla S.P.A.L., in salute e in malattia, con la pioggia o col sereno, a Pasqua e a Natale, a San Giorgio o il primo di maggio.

La spallopatia esiste, anche se nei tomi di medicina non la trovate. Viene inoculata dalle zanzare con le ciocie della bassa, la si respira direttamente dalla nebbia, la si assume per via orale miscelata nel batù dei cappelletti, è atavica come la malaria, la pellagra e l’anemia mediterranea. I batteri si sviluppano nei maceri, nel canale Boicelli, nel Canalone, nella Gramicia e in ogni zona umida della provincia, facendo scopa con l’umidità che abbiamo noi sotto i capelli. Questo volevo dire in una torrida sera di ferra-luglio, con ancora troppo tempo prima di soffrire come le bestie, abbracciati e appiccicaticci in quel luogo che sarà per sempre casa nostra. Forza vecchio cuore biancazzurro.



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