Nonostante i mille anni di militanza la prima di campionato è un po’ come il primo giorno di scuola. L’approssimarsi del malinconico settembre, la cartella da preparare, pitturini e pastelli da mettere in ordine, una merendina Fiesta spappolata tra i libri e il ciclo delle stagioni riprende il suo ritmo. Con la differenza che con l’aumentare dell’età il tempo inizia a correre come un pazzo e gli anni si fumano da soli come una Marlboro in bocca durante una volata in moto, senza casco.
Dette queste cazzate, il mondo ritrova le sue certezze, giù dal ponte dell’Impero mi aspetta il sindaco del Batiguàza in carica dai tempi in cui il caro leader divenne padre della Corea moderna, per nulla scalfitto dalle comunali di inizio estate. Da bambino, a Fiera di Primiero, mio nonno Vanes comprava tutte le mattine Il Resto del Carlino per seguire la campagna acquisti. In questi anni di modernità il calciomercato inventato dal commendatore è divenuto un gioco a scacchi d’attesa, i ragni nei portafogli delle società combattono tra loro per accaparrarsi gli ultimi moscerini. In un mondo del pallone sempre più spostato nelle alte sfere del nulla cosmico.
L’entrata è uguale dalla notte dei tempi, indipendentemente dalla categoria, quel sapore dolce del ritorno a casa, la curva che si riempie poco alla volta, l’ingresso dei ragazzi di cui in non conosco né nome né volto. Se non ci fosse il dottore a spiegarmi i ruoli io manco li riconoscerei se non fosse per i magnifici colori che indossano. La maglia più bella del mondo, per distacco. E la curva? C’entra con la terza serie come un gnic durante la preghiera del “Credo”: sontuosa, ripetute lunghe, tambureggiante, aggressiva, decisiva, risolutiva. Quando vinciamo la monetina e nel secondo tempo i ragazzi ci corrono incontro sembrano sospinti da un vento caldo, avvolgente, che cerca il contatto col suo popolo. Ma la sostanza pare non cambiare, noi giochiamo, ci impegniamo, ci mettiamo la gamba, ma loro zac, due azioni e due gol. E quindi che si fa, si perde? Ma manco per l’anima dello spiriripicchio. Abbiamo visto la voglia, abbiamo visto la sostanza, abbiamo cercato la velocità. Sì, la squadra è incompleta, ma c’è aggressività, in certi momenti sembriamo aggressivi come il lupo della Tasmania, il mister in tuta a bordo campo smadonna come un carpentiere. Bene, sono belle novità nei confronti del recente passato.
Piccolo intermezzo pubblicitario: lo sapevi che Cristiano Mazzoni ha pubblicato una raccolta dei suoi scritti? Si chiama “Vista dalla curva: memorie di uno spallopatico, 2016-2019” e raccoglie una selezione, piena di fotografie, che abbraccia il triennio d’oro biancazzurro. Anche Luca Mora l’ha apprezzato. Lo si può ordinare online e ritirare, oppure riceverlo comodamente a casa.
Cosa mi è piaciuto? Radrezza a centrocampo che cercava di continuo la palla, i mediani cercavano pure la gamba, Iceman il centravanti venuto dal freddo sportella in area e pure fuori, Arena, i cambi azzeccati. Il Lupo quando entra e mostra i denti fa ancora paura, si vede che ha seguito con me un training di sforbiciate a Porto Garibaldi, per poco non ne mette una al primo pallone toccato. È giovane, ma se continua a seguire i miei tutorial prima della fine del campionato ne imbrocca una e crolla lo stadio. È il caso di esaltarsi? Assolutamente no, però ci sono molti, ottimi segnali. Quei quasi settemila all’esordio in terza serie dopo due campionati aberranti, dove non si è riusciti a fare una O con un bicchiere, dove dirigenza, staff tecnico e squadra hanno sbagliato lo scibile umano, sono la riprova delle potenzialità che abbiamo. Come comunità intendo, noi siamo spallopatici, spaldipendenti, non c’è SERT che possa curarci, nessun metadone per disintossicarci, abbiamo bisogno della nostra squadra.
E niente, come prima non c’è male, rinforziamo la squadra dove serve, con gente che ci veda come il coronamento di una carriera, che abbia la fame di un lupo delle valli di Campotto, tgnizzi come una crosta di formaggio nel brodo di fagioli, pungenti come l’odore di una salamina, corposi come il clinto. In poche parole degni di una curva Ovest indomita e ruggente, come quella di venerdì sera. All’arrembaggio tigrotti (cit.). Forza vecchio cuore biancazzurro.