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Vabbé, il bicchiere mezzo pieno, una rondine non fa primavera, il campionato è lungo, la palla è rotonda, non alimentiamo falsi entusiasmi, e via di fila con altro mezzo milione di frasi fatte e banalità del genere. Detto questo, io per primo quando si parla di S.P.A.L. ho la coerenza di un camaleonte in una piscina di M&M’s. Non riesco ad affrontare il tema senza grandi entusiasmi e grandi disperazioni. La passione e l’amore non passano per il cervello, creano meduse con il cuore di un bufalo. I dati, la competenza, gli schemi, l’attesa titubante di una conferma partita dopo partita non fanno per me.

Io lunedì ho visto un primo tempo sontuoso, erano anni che non vedevo così tanti scambi veloci, così tante ripartenze che sublimavano nella corsa sulla fascia e nel cross. Un gioco facile, senza arcani tatticistici, dove un fluidificante mancino della stazza di uno stopper la mette in mezzo in maniera molto educata. Dove un capitano bi-ventenne eccelle nel colpo di testa meglio di dieci anni fa, dove un ragazzo prodotto del vivaio gioca a piede invertito rispetto alla propria fascia di competenza e migliora di partita in partita. Per almeno un’ora i difensori difendono, gli attaccanti attaccano e i centrocampisti centrocampano. Insomma un bel vedere.

Piccolo intermezzo pubblicitario: lo sapevi che Cristiano Mazzoni ha pubblicato una raccolta dei suoi scritti? Si chiama “Vista dalla curva: memorie di uno spallopatico, 2016-2019” e raccoglie una selezione, piena di fotografie, che abbraccia il triennio d’oro biancazzurro. Sergio Floccari ne ha scritto la prefazione e anche Luca Mora l’ha apprezzato. Lo si può ordinare online e ritirare, oppure riceverlo comodamente a casa.

Ma andiamo con ordine. Prima della partita la curva celebra i suoi lutti di una settimana che definire fecale è un eufemismo. Fiori e striscioni per chi non c’è più e per l’immenso dolore che emerge dal cuore della nostra tifoseria. Un secondo anello ricco di vita e d’affetto, nella certezza che tutto può passare tranne l’amore, quello no, non passa mai. Perché alla fine a noi basta poco, che poi forse non è poco. Noi vogliamo stare insieme in un posto ricco di storia, gioia e amicizia, dove un gruppo di ragazzi di ogni età indossa la nostra maglia e ne è consapevole. Dove si canta, ci si abbraccia, si sbraita, dove i sentimenti non conoscono la moderazione e il rispetto va meritato.

Per tornare poi all’emblema di questa squadra, il suo capitano, numero sette sulla schiena per farci capire che no, non è un attaccante come gli altri. Conosce il mestiere, ha tecnica, grinta e senso tattico, non ha età anagrafica. A un cross perfetto risponde con una girata di testa in anticipo da manuale illustrato del giuoco del calcio. A noi questo serve, serve la vittoria, per spazzare via i brutti pensieri, per credere nei sogni, per modificare il concetto stesso di realtà.

Dice, ma è una partita di pallone? No, oramai lo abbiamo detto mille volte, non lo è. È un’altra cosa, non la puoi capire da fuori, dal tuo divano, non la puoi capire se con quei colori non ci sei cresciuto, vissuto e invecchiato. È un sentimento puro, che si ripropone ogni volta che sali quei gradoni, è uno scoglio, un isola galleggiante, che mai ti abbandonerà. Aggregazione, parola in disuso in un mondo dove migliaia di solitudini si uniscono solo per convenienza, dove le persone innaffiano il proprio orto senza occuparsi minimamente dell’aridità che c’è oltre la rete, mentre noi cantiamo stonati in un coro, dove ogni goccia diventa un mare. Dove ogni sogno diventa un’utopia, vestita di bianco e d’azzurro, a righe strette, dove ogni gol è l’apoteosi della nostra atavica felicità. Forza vecchio cuore biancazzurro.