foto Filippo Rubin
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Al lunedì, che delusione, andare in fabbrica al servizio del padrone…” (semi-cit.). Il trillo quasi impercettibile del tornello l’ho raccontato mille volte, ma il lunedì post sconfitta è assolutamente odioso, fastidioso, ti annichilisce, marxianamente ti aliena. Indosso una felpa dei Pigs, ho le mani in tasca, sguardo basso, non ho voglia di vedere candele bianche e rosse, magazzini, catenelle divisorie che mi indicano il percorso pedonale per recarmi alla mia cella. Soffio, come uno sbuffo di vapore dentro al tratturo, distrattamente saluto, alimento il mio unico neurone con un filo di gas. E poi mi chiedo se sarà giusto tribolare così per sta squadraccia, perché sta roba che mi attanaglia dalla più tenera età riesce ad amplificare così tanto gli umori. Nessuno ci costringe alla sofferenza. Ma poi lo so che non è così, non si può essere ciò che non si è, non si può sfuggire dal destino di essere spallino (che rima di merda). Il vento ti soffia in faccia la neve (cit.) e forse adesso mi sto facendo prendere troppo. Sta cazzo di malattia ti cambia l’umore di partita in partita e ti sbatte contro il muro.

In tanti oramai pensiamo che gli anni belli non siano mai esistiti, alle volte penso che siano frutto di un’allucinazione collettiva, una sorta di mega sbronza psicotropa durata alcuni secondi, ma che noi abbiamo percepito come se fosse durata anni, invece è stato uno schiocco di dita, un battito di ciglia, una bestemmia secca e gutturale che si è persa tra i meandri di una valle senza eco. Le promesse e le premesse, ci parlavano di “modello Atalanta”, di progetti triennali per la serie A, di valorizzazione del vivaio, dei nostri giovani talenti all’arrembaggio nel calcio dei grandi. E invece? E invece stiamo vedendo questo inutile campionato, dove chiunque indossi un paio di pantaloncini corti può venire in casa nostra e farla da padrone. Ma che roba è questa qua? Tempo fa scrissi che per la serie A eravamo una barchetta di carta in mezzo ai transatlantici, ma ora in terza serie lo siamo ancora. Un’Entella, ma anche una seconda squadra che neanche dovrebbe esistere, o una qualunque altra equipe di pedatori ci prende per il culo.

Piccolo intermezzo pubblicitario: lo sapevi che Cristiano Mazzoni ha pubblicato una raccolta dei suoi scritti? Si chiama “Vista dalla curva: memorie di uno spallopatico, 2016-2019” e raccoglie una selezione, piena di fotografie, che abbraccia il triennio d’oro biancazzurro. Sergio Floccari ne ha scritto la prefazione e anche Luca Mora l’ha apprezzato. Lo si può ordinare online e ritirare, oppure riceverlo comodamente a casa.

Io mi immagino come venga preparata la partita contro la S.P.A.L. da parte di un allenatore avversario: “Allora ragazzi, non preoccupatevi, state tranquilli tanto prima o poi loro la cazzata la fanno. Quindi tu, numero nove porta le paglie, tienile nascoste nella manica della maglietta, quando vedi che loro giochicchiano puoi pure fumartene una, tanto poi ci cascano sempre. La cazzata in uscita, un rilancio sbagliato, un incaponirsi con la palla in mezzo ai piedi, loro la regalano a tutti, perché a noi non dovrebbero farlo? Basta che corricchiate un pochetto, un minimo di attenzione e arriva il nostro momento. Ma sì, hanno una curva da serie A, ma a noi che ci frega, noi siamo — nome della squadra – e abbiamo vinto gli esordienti nel 1978, non ci importa di loro, i nostri ventotto tifosi sono contenti di noi. Loro sono una specie di boriosi simil-americani che pensano gli sia dovuto qualche cosa, ma non sono buoni, stoppano la palla a cinque metri dal piede, sbagliano le ripartenze, ci marcano dalla parte sbagliata. Hanno solo quel vecchio capitano che si danna l’anima e uno discreto sulla fascia sinistra. E noi che facciamo? Attacchiamo a destra, facile no? Dai ragazzi in campo, tanto questi non ci fanno paura“.

Esatto, non facciamo paura a nessuno. Sugli spalti vinciamo sempre. In campo, invece, non vinciamo mai. Sì, meritiamo di più, meritiamo un progetto vero, meritiamo rispetto per la nostra storia (il migliore in campo è stato, per distacco, Oscar Massei), meritiamo di essere attraenti, meritiamo di poter sperare, meritiamo di avere dei sogni. Non ci meritiamo una proprietà così, lontana anni luce da ciò che siamo, da quello che rappresentiamo per una intera comunità. Il nostro acronimo è latino, da noi non si mangiano gli hot-dog e la Coca-Cola, ma una fetta di salamina al cucchiaio e un tossico bicchiere di Clinto (fuori legge). Forza vecchio cuore biancazzurro.