foto Roberto Manderioli
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Nemmeno la dodicesima sconfitta stagionale su un totale di 25 gare ufficiali sembra scalfire la posizione di Andrea Dossena sulla panchina della SPAL. Ma dopo la prestazione imbarazzante del “Cabassi” sembra essere d’obbligo una riflessione interna che guardi alla realtà attuale, ma soprattutto ai potenziali sviluppi futuri. Sull’argomento nessuno si vuole esprimere. Né in via ufficiale, né informalmente. Che sia una segnale in una direzione o in un’altra è difficile da dire. Ma ormai sono diversi – e inquietanti – gli elementi che messi in fila restituiscono la sensazione di un progetto tecnico che sta andando a sbattere. Davvero Tacopina/Follano vogliono correre il rischio di intestarsi un’altra catastrofe sportiva?

La SPAL delle prime cinque gare del girone d’andata aveva fatto 7 punti. Quella delle prime cinque del girone di ritorno ne ha messi insieme 6. Con l’ulteriore aggravante di aver incontrato nell’ultimo mese diverse squadre apparentemente convalescenti. Si pensi al Perugia, al Sestri Levante, al Carpi stesso che non segnava da metà dicembre e in casa non festeggiava addirittura da ottobre.

Se nelle prime settimane si parlava di un necessario rodaggio per una squadra messa insieme in ritardo, ora ci si racconta che bisogna aspettare i rinforzi e mandare in condizione i rientranti dagli infortuni. Già, ma il tassametro corre e le giornate che la SPAL ha trascorso in zona playout dalla terza in poi sono 19. Dossena ha detto più volte di non voler guardare la classifica perché gli fa troppo male, ma forse ora è il caso di stamparne una copia su un foglio bello grande e appenderlo alla porta dello spogliatoio. Ci sono 42 punti disponibili e per pensare di salvarsi senza gli spareggi (che con questa squadra sarebbero una condanna anticipata) ne andrebbero presi almeno una ventina. Dove e come è un mistero, visto che di 6 vittorie stagionali almeno 4 hanno richiesto sofferenze assurde. Le uniche eccezioni sono state Sestri e Legnago. Un quadro desolante.

Da settembre a oggi abbiamo assistito a umiliazioni senza precedenti (i 4 gol a Campobasso, i 5 a Pontedera), una conversione a U dell’idea di gioco e una nuova inversione di marcia, scelte bizzarre non sempre dettate da un’infermeria strapiena. Quella degli infortuni rappresenta senz’altro un’attenuante per l’allenatore, ma non è un mistero che più di qualcuno abbia sollevato dubbi sui suoi metodi di preparazione. Nessuno mette in dubbio la passione per questo lavoro, l’impegno e la buona fede di Andrea Dossena. Ma se un allenatore non riesce a portare a casa i risultati, né a trasmettere le sue idee a un gruppo che sembra spesso non averne, allora è necessario prendere in considerazione un avvicendamento. A meno di stravolgere la squadra nella settimana che rimane di mercato (e non succederà) non ci sono altre vie per togliere alibi a uno spogliatoio che evidentemente manca della carica necessaria per tirarsi fuori dall’attuale situazione. Antenucci assicura che tutti stanno remando nella stessa direzione, ma essere professionali non significa necessariamente essere coinvolti e fiduciosi.

Ci stava la volontà di impostare un percorso con un singolo allenatore dopo anni di giravolte spesso surreali, ma se dopo 25 partite le sconfitte rappresentano la larga maggioranza (48%) dei risultati raccolti c’è chiaramente qualcosa che non va. Dossena non può certo intestarsi gli errori fatti da proprietà e direttore sportivo, ma la sua posizione è l’unica che può essere messa seriamente in discussione a stagione in corso per modificare un andamento così scarso. Tacopina in passato ha staccato la spina per molto meno. Cacciò Clotet per differenza di vedute sul mercato e Venturato perché inviso ad alcuni giocatori ritenuti importanti. Si rimangiò piuttosto in fretta l’investimento (onerosissimo) su De Rossi e lasciò andare Di Carlo perché a conti fatti “ha fallito l’obiettivo” (dei playoff). Ora sembra accettare di vedere una SPAL a rischio playout, una squadra che se va in vantaggio ha paura di perderlo e se va in svantaggio non ha le forze per ribaltarlo.

È comprensibile che negli uffici di via Copparo ci sia la paura di fare un altro passo falso. Che si preferisca proseguire con chi conosce già tutti i problemi, nella speranza di trovare a un certo punto la formula giusta. Ci sta anche che ci si preoccupi di un contratto fino a giugno 2026 in un momento in cui le risorse scarseggiano e il budget va ridotto. Ma rischiare di sprofondare in nome dell’austerità non sembra la più brillante delle strategie. Di allenatori disposti a fare un sacrificio economico pur di allenare la SPAL ce ne sono a dozzine. Anche di validi. Se la SPAL non farà vedere segni di vita nella fondamentale partita contro il Milan Futuro andranno presi in esame dei candidati, perché ora come ora la spirale negativa sembra avvicinarsi all’irreversibilità.

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