Grazie capitano: le parole credo non siano sufficienti a spiegarti il nostro amore per te, una storia che parte da lontano, come hanno scritto i ragazzi della Curva nella fanzine di sabato. Io da lontano, sotto al mio plastichino nero, mentre cantavo “Un capitano, c’è solo un capitano”, mi sono immaginato i tuoi occhi fieri da uomo del sud che si imbrillantavano, inumidirsi con una goccia di nostalgia.
Sei e per sempre lo sarai nell’Olimpo dei giocatori che hanno dato tutto per la nostra maglia, la più bella del mondo, con i numeri, i tuoi gol, la maggioranza dei quali non scontati, bombe da fuori area, tiri a giro, acrobazie, serpentine, in poche parole il Lupo di Roccavivara, che ha sbranato generazioni di difensori. Non c’è stata una partita in cui tu sia entrato morbido, tenero o svogliato, in tre categorie diverse.
Diciotto, undici, cinque e poi ancora cinque e undici, questi sono i numeri. Hai avuto il privilegio di fare parte di quella squadra da sogno che ha fatto l’impresa, anzi, le imprese. Quegli uomini, prima che calciatori, che dopo cinquanta anni ci hanno riportato nella massima serie, quella serie A che la mia generazione mai aveva visto al Mazza. Quali parole ci possono essere per descriverti? Mi vengono in mente solo iperboli, aggettivi, come grinta, rabbia, forza, classe, eleganza e vittoria. Mirco hai sempre vinto, come la curva Ovest, tu, noi, non siamo mai retrocessi, siamo rimasti in una categoria differente, perché siamo di una categoria differente.
Non ti meriti l’epilogo di questi anni tristi. Hai trovato allenatori di un’incompetenza abissale, direttori sportivi che non hanno capito che l’attacco andava costruito per te, per le tue caratteristiche, per la tua forza. Non ricordo una seconda punta più forte di te all’ombra delle quattro torri, perché ricordiamolo ai fenomeni che si siedono in panchina che quello è il tuo ruolo, ma che tu essendo otto spanne superiore alla media della categoria ti sei adattato a fare la prima punta. Non dimentichiamoci di questi dettagli.
In questi ultimi due anni sei stato un lupo senza branco, anche quando entri tre minuti si vede chi sei, non solo i tuoi gol, ma le tue entrate in scivolata a centrocampo, le tue spallate a bambini ipertrofici da sbatterli contro i cartelloni pubblicitari ci fanno capire il tuo carattere. Tu sei uno di noi, tu sei la nostra rappresentanza in campo, hai la nostra fame, la nostra voglia, sei un ultras con la maglia numero sette, che dall’Olimpico a Pontedera lotta per i colori del cielo. Ecco questo sei capitano e noi ti ringrazieremo in eterno.
Vederti scaldare per tutto il secondo tempo di sabato mi ha messo una rabbia che non ti dico, non voglio sentire pippe di moduli, “non può giocare a tre”, “la squadra non lo supporta”, “mancano spalle adeguate”, “non pressa sui portatori di palla”, ma che cazzo dite? Siete tutti impazziti, mister per primo? Se io fossi in panchina (e non lo sono), ti darei la maglia numero sette e le altre dieci le estrarrei da un cappello, tanto nulla cambia. Senza i tuoi undici gol saremmo retrocessi da due mesi. Meglio che chiuda perché mi sta salendo la rabbia di anni di sofferenze, dove le uniche certezze sono la nostra storia, la nostra curva e il nostro capitano.
Cinquantadue volte grazie capitano, sarai per sempre il lupo che ci ha trascinato su palcoscenici fantasmagorici, che ha creato parabole contro le leggi della fisica, come il quarto gol di Empoli e come la girata da fermo contro il Parma. Perché esiste solo l’eternità per raccontare uomini come te. Forza vecchio cuore biancazzurro.
— Cristiano Mazzoni è nato nell’autunno caldo del 1969 a Ferrara, in borgata. Ha scritto qualche libro, ma non è scrittore, compone parole in colonna, ma non è poeta, collabora con alcune testate giornalistiche ma non è giornalista. Lavora come impiegato metalmeccanico e scrive di SPAL quando se la sente