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Perché ho avuto come l’impressione che mi stessero rubando il tempo e tu mi rubi l’amore (cit.), sì Kom, oggi ho proprio bisogno delle tue parole, perché di mie ne ho poche. In sintesi la riflessione di oggi si potrebbe chiudere qui, nulla di più e nulla di meno. In pratica il solito, partite come quella di venerdì ne ho viste a migliaia, decine di trilioni di partite in ogni categoria, in ogni era, a ogni età. Pubblico delle grandi occasioni, la curva piena, ottomila cuori che aspettano solo una gioia e tu, come sempre ci tradisci. Una caratteristica del tifoso spallino è quella di essere becco: un amore travolgente, passionale, carnale e poi Lei la scappatella te la piazza sempre.

L’ho già scritto, non vorrei ripetermi (e voi direte: maiàl st’ié pés…) ma da miei studi scientifici e dalla collaborazione con un amico archeologo che ascolta musica indie, il Mazza è costruito sopra un cimitero Etrusco. E ciò porta una sfiga atavica, incommensurabile, imprescindibile. La sconfitta col Perugia nulla c’azzecca con la sfortuna. Magari fosse così. Abbiamo visto grinta, tigna, voglia di ripartire, cattiveria agonistica. Nel Perugia. Invece noi abbiamo presentato la sequela di problemi che ci portiamo dentro dal 1907. Nessuna tragedia, ci mancherebbe, il campionato dura un secolo. Ma perdere in serie C, ancora di più che in altre categorie, mi sbriciola le gonadi, mi fa suicidare gli ormoni, il mio livello di testosterone a fine partita è come quello di un Paguro Bernardo o Paguro l’Eremita. Femmina.

Mi contorce perdere in terza serie. Venerdì sembravamo dei pugili (Butto perdonami per le cazzate che sto per scrivere) leziosi, una specie di Sumbu Kalambay con le scarpette con le frappe, che per un caso abbastanza fortuito alla prima ripresa azzecca un montante. L’avversario traballa, poco per la verità, e noi come un pugile timoroso ci piazziamo in un angolo e abbandoniamo il centro. Ci mettiamo i guantoni davanti alla faccia, così non vediamo nemmeno arrivare i pugni e l’avversario ci martella gli avambracci, poi i fianchi, che non ci copriamo nemmeno coi gomiti. Le corde ci sostengono e lasciamo partire dei pugnetti degni di Biancaneve. L’avversario si incazza e ci infila due tozze sui denti da farci sputare fuori la protezione. Gong, match finito, noi lividi e loro bianchi come il culetto di un bambino.

Non andatemi su per una braga: ho capito, non voglio fare alcuna tragedia, ma per uno spallopatico cronico all’ultimo stadio come me, una sconfitta così è devastante. Come dice il Funky: uscire dalla stadio e vedere ottomila Remì (senza famiglia) con lo stesso sguardo della puntata in cui è morta la scimmietta fa male al cuore. Eppure c’era tutto per potere fare bene: la curva, cazzo che curva. Ruggisce da subito e soffia alle spalle dei nostri alleggerendogli la corsa verso Est. Dovrebbero galleggiare sui cori e sui boati, ma è un fuoco di paglia. Due copponi, meritati, prima dell’intervallo e ciao. Scendo al bar con la stessa faccia di uno che ha appena slamato un Black Bass da tre chili: guardo l’amo senza esca e vedo con la coda dell’occhio il pesce verdone che con un colpo di coda se ne va verso il suo canneto, facendomi gestacci con la pinna caudale.

Lassù in loggione siamo in tanti, mio cugino e suo figlio ritornano in curva. Normalmente una certezza di vittoria, ma niente. Di fianco a me il Cavallo con la morosa e so per certo della presenza di ex capi cantiere e capi squadra sparpagliati per la curva. Il clima è fin troppo caldo, vedo un piccione morto da secoli ancora aggrappato alla copertura della curva, sto cazzo di cimitero Etrusco. Niente, mi passa poco, terzo fischio e a casa.

Vado a prendere le mie ragazze a Portomaggiore e penso che in campo c’erano ragazzi dello stesso anno delle mie piccoline e questo mi rincuora. Io alla loro età giocavo nell’Under 18 dell’Ugo Costa e mi emozionavo pure nei tornei serali, quindi avanti, nessuna paura, mandiamo a fanculo gli Etruschi e ricominciamo. Poi è pur vero che esistono anche alternative alla S.P.A.L.. Sono a conoscenza di una fantastica e esilarante programmazione cinematografica di film del neorealismo francese degli anni Cinquanta e Sessanta, come pure i dibattiti su Geova e la fine del mondo. Roba da sbellicarsi dalle risate. Forza vecchio cuore biancazzurro.